POVERO GIUDA!

Photo of Carl AndersonTu hai cominciato a credere veramente che queste voci di Dio siano vere.
Tu hai cominciato ad essere più importante delle cose che dici.
Pensano di aver trovato il nuovo messia e ti faranno del male quando capiranno di essersi sbagliati.
Tutti i tuoi seguaci sono ciechi, c’è troppo cielo nelle loro menti.
Heaven on their minds.

tumblr_lmxr08LxY41qjdpq8o1_500«Giuda cominciò con sottrarre qualche denaro dalla cassa comune. Dice niente questo a certi amministratori del denaro pubblico?». Come informano tutti i quotidiani di oggi, quello appena citato è uno dei passaggi dell’omelia proferita ieri da padre Raniero Cantalamessa, «predicatore pontificio», durante la celebrazione della Passione nella basilica vaticana, presieduta da Papa Francesco. Pur di vendere all’indignato – e, ahimè, incosciente – gregge un po’ di rancida mercanzia “populista”, la Chiesa Francescana maltratta indegnamente quella che forse è la vera figura tragica della nota vicenda che portò Gesù al supplizio e infine alla croce.  Per molti aspetti la figura di Giuda appare, almeno ai miei occhi profani, ancora più tragica di quella del suo amatissimo Maestro, e non certo per le miserevoli ragioni addotte da Canta(male!)lamessa per conto di una Chiesa che cerca di recuperare una parte della popolarità persa negli ultimi tempi.

Povero Giuda, gettato in pasto al popolo assetato di “etica pubblica”, bramoso di una frusta moralmente ineccepibile.

Ma vediamo qualche altra perla di saggezza “populista”: «L’attaccamento al denaro, dice la Scrittura, è la radice di tutti i mali. Dietro ogni male della nostra società c’è il denaro, o almeno c’è anche il denaro». Non c’e dubbio. Il denaro (marxianamente, non francescanamente) come espressione dei vigenti rapporti sociali di dominio e di sfruttamento, il denaro come equivalente universale nella relazione di compravendita, il denaro come merce perfetta, il denaro come suprema potenza ipnotica: «Come il cervo mugghia in cerca d’acqua corrente, così [la nostra] anima invoca denaro, l’unica ricchezza» (Marx, Il Capitale, I).

«Cosa c’è – ha chiesto padre Cantalamessa – dietro il commercio della droga che distrugge tante vite umane, lo sfruttamento della prostituzione, il fenomeno delle varie mafie, la corruzione politica, la fabbricazione e il commercio delle armi, e perfino – cosa orribile a dirsi – alla vendita di organi umani tolti a dei bambini?». Ho la risposta: la bronzea legge del massimo profitto, la stessa che informa il civile e normale sfruttamento dei salariati in ogni luogo di questo capitalistico pianeta. «E la crisi finanziaria che il mondo ha attraversato e che questo Paese sta ancora attraversando, non è dovuta in buona parte all’esecranda bramosia di denaro?» Trattasi, caro padre, dell’«esecranda», quanto necessaria a rapporti sociali immutati, bramosia di profitto, la quale presuppone e pone sempre di nuovo il dominio del Capitale, Moloch sociale che se la ride bellamente dinanzi al ridicolo dualismo tra “economia buona” («eticamente e socialmente responsabile») ed “economia cattiva” (speculativa, illegale, corrotta, ecc.) posto dai buoni di spirito, laici o religiosi che siano.

«L’attaccamento al denaro, dice la Scrittura, è la radice di tutti i mali». Lo stesso Satana, osserva il padre cappuccino, si spiega con l’esistenza del vitello d’oro. «Dietro ogni male della nostra società c’è il denaro, o almeno c’è anche il denaro». Nella società-mondo del XXI secolo la radice del male si chiama essenzialmente Capitalismo. In effetti, non è una questione di Demonio ma di Dominio. Almeno questo postula la mia bizzarra “Teologia della Liberazione”.

Per “scagionare” Giuda, o quantomeno per testimoniare il mio disprezzo per ogni forma di “populismo” e di demagogia, ripubblico un breve post (La straordinaria potenza della poesia e dell’amore nel giovane Hegel) scritto due anni fa.

CA-JesusLa poesia seppellirà il Leviatano

«Se c’è l’idea dell’umanità non c’è idea dello Stato, poiché lo Stato è qualcosa di meccanico. Noi dobbiamo pertanto porci oltre lo Stato! – Infatti ogni Stato non può trattare i liberi uomini che come ruote di un ingranaggio meccanico, e questo non deve avvenire; è necessario dunque che lo Stato scomparisca. Intendo qui stendere i principi per una storia dell’umanità e mettere a nudo la miseria dello Stato, della costituzione, del governo e della legislazione, che pure è opera dell’uomo … La poesia riceverà con ciò una più alta dignità, essa ritornerà a essere ciò che era in principio – maestra dell’umanità. Non più lo sguardo sprezzante, il cieco tremare del popolo di fronte ai suoi sapienti e ai suoi preti. Allora soltanto ci attende uguale educazione di tutte le facoltà, del singolo come di tutti gli individui. Non sarà più repressa nessuna facoltà. Allora, libertà universale e uguaglianza di spiriti!» (G. W. F. Hegel, manoscritto del 1797, in A Massolo, La storia della filosofia come problema, pp. 249-252, Vallecchi, 1967).

judas_christ_e_maddyL’amore che salva e concilia

Non è forse Giuda Iscariota la vera figura tragica nella vicenda che portò il Figlio dell’uomo a riconciliarsi col Padre attraverso l’accidentato percorso che conosciamo? Mercé un sussulto d’indignazione del tutto umano, egli mise involontariamente in moto un meccanismo, architettato dall’Alto, che alla fine lo stritolerà, spiritualmente e fisicamente, fino alle estreme e più dolorose conseguenze. L’incontro con Maria di Betania fu in qualche modo fatale al più vilipeso, e tutto sommato incompreso, dei dodici fratelli in amore.

«Mentre Gesù era a Betania, in casa di Simone il lebbroso, venne a lui una donna che aveva un vaso di alabastro pieno d’olio profumato di gran valore e lo versò sul capo di lui che stava a tavola. Veduto ciò, i discepoli si indignarono e dissero: “Perché questo spreco? Questo, infatti, si sarebbe potuto vendere caro e dare il denaro ai poveri”. Ma Gesù se ne accorse e disse loro: “Perché date noia a questa donna? Ha fatto una buona azione verso di me … Versando quest’olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura”» (Matteo, 26, 45-6).

Pare che Giuda tenesse la cassa comune del piccolo gruppo di discepoli che si raccolse intorno al Maestro. Di qui la responsabilità che egli, più degli altri, avvertiva circa il buon uso del denaro, forse raccolto a prezzo di estenuanti elemosine. Probabilmente fu lì che Giuda si sentì in qualche modo tradito da Gesù, che gli apparve fin troppo gravato di umanissime debolezze. In quel momento, forse, l’apostolo credette di aver penetrato la sostanza umana del Maestro, e non gli piacque affatto: «Anche Lui sedotto dalla vanità. Belle parole, certo, ma poi, quando si presenta l’occasione… Che peccato!» L’astuta dialettica della Redenzione Universale aveva fatto la sua mossa, alle spalle di Giuda, e forse dello stesso Gesù.

Ma ascoltiamo il giovane Hegel: «Mai la voce del sentimento incorrotto, del cuore puro, e la prepotenza dell’intelletto sono state l’un l’altra opposte in maniera più bella che nel racconto del vangelo, in cui Gesù accoglie con piacere ed amore l’unguento per il suo corpo da una donna malfamata, come pubblica effusione, che non si lascia sviare dalla gente circostante, di un’anima bella compenetrata da costrizione, fiducia ed amore; dove tuttavia alcuni sui apostoli ebbero un cuore troppo freddo per sentire la profondità di questo sentimento muliebre, il suo bel sacrificio fatto di fiducia, e non poterono quindi che fare quel freddo commento, abbellito con il pretesto dell’interesse per la carità» (F. W. Hegel, Religione popolare e cristianesimo, in Scritti teologici giovanili, I, p. 40, Guida editori, 1977).

L’intuizione immediata del cuore di Maria di Betania rese possibile quella penetrazione nel divino mistero che a Giuda fu preclusa a causa del suo zelo intriso di razionale indignazione, che lo rese cieco dinanzi alla Verità, ossia alla natura realmente divina di Gesù, probabilmente già presago della propria imminente riconciliazione col Padre. Presago, forse, ma certamente ancora aperto a esiti per lui migliori, sorridenti alla vita, anche alla sua.

Nonostante la ragione formale fosse tutta dalla parte dell’onesto militante di una causa dai contorni ancora incerti, la Verità gli voltò le spalle, preferendo mostrarsi agli occhi della «donna malfamata», le cui grazie entrarono in perfetta armonia con la Grazia, a conferma che la Verità si sposa sempre con la Bellezza. Là dove non arriva, non può arrivare, il freddo ragionamento, il pensiero che calcola, arriva invece l’amore, il quale getta ponti sull’abisso dell’inconoscibile.

«Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella di nome Maria la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua Parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma Gesù le rispose: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte buona, che non le sarà tolta”» (Luca 10,38-42). Marta di Betania, la buona donna di casa tutta presa dalle faccende domestiche, immersa nelle piccole quotidiane preoccupazioni che riempiono la vita, giorno dopo giorno, anno dopo anno, fino alla fine dei giorni, fino allo svuotarsi della clessidra, non comprese che ciò che gli stava dinnanzi era un Uomo-Evento, la cui sola presenza chiedeva a tutti nientemeno che la cessazione, hic et nunc, della vita normale, il precipitare stesso della normalità nell’abisso improvvisamente scavato dall’Eccezione. Ma l’eccellente massaia vide solo una sorella sfaticata, rapita dalle parole di un uomo forse avvezzo agli unguenti costosi, non certo alle case degli umili.

L’amore permise dunque a Maria di Betania, probabilmente non ancora del tutto impigliata nella grigia e fitta rete della normalità familiare, di accedere alla Verità, la quale le suggerì di abbandonare le «molte cose» per concentrarsi sulla sola cosa davvero importante. Questo rese felice Gesù e segnò il destino di Giuda, forse sacrificato sull’altare dell’indifferenza e della normalità, dove pregava ogni giorno la cara Marta.

4 pensieri su “POVERO GIUDA!

  1. Solo la segnalazione di un piccolo refuso. Il grande intellettuale autore de “La storia della filosofia come problema” da cui tu citi il brano hegeliano è Arturo Massolo. Noto tra l’altro in quest’occasione che non esiste una pagina wiki su di lui, e questo è davvero un segno dei tempi. Un saluto.

  2. Pingback: -Un Giuda senza fine- | valeriagaudi

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