L’odissea non è solo all’alba, ma ad ogni secondo che il Capitale manda in terra. E dappertutto.
I pacifisti sono come ipnotizzati dalla sfinge Obama: come sarebbe stato tutto più semplice, se al suo posto ci fosse stato il bianco, petroliere, conservatore e guerrafondaio Bush, antropologicamente «imperialista»! E invece… Invece tocca farsi questa scottante domanda: è possibile che l’imperialismo non abbia né colore (oltre quello dei soldi e del petrolio) né ideologia (che non sia quella che emana dalla potenza sistemica di un Paese)? Oh, amletico dubbio!
Ci mancava la ciliegina sopra l’escrementizia torta tricolore di questi italianissimi giorni di festeggiamento, ed eccola arrivare, forse inaspettata – ma quanto opportuna! –, sotto forma di patriottismo bellico, l’espressione più violenta e verace della Sacra Unità Nazionale.
Per tranquillare le coscienze progressiste, il Presidentissimo Napolitano ha immediatamente fatto sapere che la Missione italiana in Libia si muove perfettamente dentro la cornice costituzionale dell’Articolo 11. Che sollievo! In effetti, basta chiamare la guerra «ingerenza umanitaria», peraltro esercitata sotto l’egida dell’ONU, questo brutto simulacro di «democrazia planetaria», e il gioco di prestigio è fatto. È dalla missione in Libano dell’’82 che l’Italia sposta truppe a destra e a manca, nel pieno rispetto della Costituzione «nata dalla resistenza» (appunto!), e solo gli ingenui possono credere alla natura pacifista del mitico articolo 11, peraltro impostoci – alla stessa stregua di Germania e Giappone – dagli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale.
Il generale Franco Angioni, che della missione libanese del 1982 fu il primo comandante, e che oggi milita nei ranghi del partito democratico, ha dichiarato all’Unità del 20 Marzo che «l’etica ha preso il sopravvento». Finalmente! Quindi la missione internazionale in Libia sarebbe una questione di valori. E non c’è dubbio: di valori… di scambio.
A ragione il riluttante Bossi teme che i francesi e gli inglesi vogliono soffiarci il nostro gas e il nostro petrolio, senza contare il disastro che si annuncia con lo tsunami dei profughi di guerra: «con la scusa dell’intervento umanitario stanno tentando di mettercela in quel posto» (Il Giornale, 20 Marzo 2011). Oh, amabile schiettezza del reazionario che non si vergogna di apparire tale! Come sempre, bisogna ascoltare e leggere i politici che non hanno la fregola del politicamente corretto per apprendere qualche verità intorno a questo tristo mondo. E, detto per inciso, la parlamentare leghista eletta a Lampedusa non è affatto una stravaganza della pur bizzarra politica italiota. I giorni a seguire si incaricheranno di dimostrarlo, anche perché la sua politica leghista rischia di venir scavalcata a “destra” dai suoi compaesani.
Valentino Parlato ha giustamente osservato che in questa faccenda i valori etici stanno a zero, perché siamo in presenza di «un conflitto per il petrolio» (Il Manifesto, 20 Marzo 2011). Stimo assistendo, ha continuato il vecchio leader della sinistra dura e pura, «alla rinascita del famoso imperialismo». No, perché «rinascita»? In realtà, il «famoso» Imperialismo non solo non è mai uscito dalla scena (magari per far posto al più intellettualmente sofisticato e politicamente ambiguo «Impero» alla Toni Negri), ma si è col tempo espanso, radicato e rafforzato su scala planetaria sotto forma di economia capitalistica. Tutto il pianeta giace sotto il plumbeo cielo dei rapporti sociali capitalistici. Il «fatto bellico», come diceva quello, non è che la continuazione del «fatto politico» con altri mezzi, e quest’ultimo, a sua volta e «in ultima analisi», si fonda sul «fatto economico», lungo una «filiera dialettica» di reciproche influenze di «struttura» e «sovrastruttura» che qui sarebbe fin troppo pletorico illuminare. Ma quando c’è di mezzi il petrolio, non c’è «filiera dialettica» che tenga!
Gli Stati non agiscono mai sulla base di considerazioni etiche o «umanitarie», o sulla scorta di coerenze politiche e – siamo seri! – ideali, ma unicamente su input di precisi interessi strategici di varia natura (economica, politica, militare, ecc.). Il fatto che oggi tutti i leader «alleati», da Berlusconi a Obama, da Sarkozy a Cameron, stiano mettendo in scena l’apoteosi dell’ipocrisia, ebbene questo non è nemmeno un buon argomento di polemica, talmente suona scontato. È la realpolitik degli Stati, di questi mostri a sangue freddo, bellezza!
Le stesse Organizzazioni Non Governative, che si stanno anche loro mobilitando in gran fretta per soccorrere le vittime degli «effetti collaterali», sono, loro malgrado, perfettamente integrate nel Sistema della competizione globale tra gli Stati, in tempo di «pace» come in tempo di guerra, perché il cattivo mondo ha estremo bisogno dei buoni di spirito, grasso – o balsamo – per i duri ingranaggi del dominio. Anche la prassi «umanitaria» delle ONG non è che la continuazione della guerra generale contro l’umanità portata avanti con altri mezzi. Ma non è un po’ esagerato mettere sullo stesso piano di responsabilità il militare che spara e il chirurgo che interviene sulle vittime della guerra? Domanda legittima. Il fatto è che non sono io ad operare questo cinico riduzionismo etico, ma la fin troppo astuta dialettica del dominio, che mi limito a illuminare, per poterla infilzare almeno sul piano della critica politica.
Certo, scrive Parlato, Gheddafi è sempre stato un feroce dittatore, e tuttavia poteva almeno vantare una funzione nel quadro dell’indipendenza nazionale del suo Paese, senza contare il fatto che noi italiani forse siamo sul punto in cui dovremo rimpiangerlo. Per il “comunista” del Manifesto gli interessi nazionali, della Libia e dell’Italia, sono dunque valori che conservano un grande significato. E ha ragione da vendere, sebbene sia una ragione ultrareazionaria. Valentino Parlato vive perennemente nel rimpianto: «forse sarebbe stato meglio morire democristiani e craxiani, anziché berlusconiani», si lamenta sovente. Forse ci conveniva lasciare Gheddafi al suo posto. Qualcuno lo conforti, compassionevolmente.
A proposito di interessi nazionali: il fascistissimo Padellaro ha scritto, sul Fatto del 20 Marzo, che bisogna cacciare immediatamente il puttaniere Berlusconi, perché senza riacquistare il prestigio nazionale che merita, l’Italia non potrà competere con la leadership anglo-francese. Nonostante quel che dice il Ministro La Russa, se il Cavaliere di Arcore rimane in sella dovremo consegnare le nostre chiavi di casa ai francesi e agli inglesi: che disdetta! Prego, provvedere con un bel colpo di Stato. L’Egitto, dopo tutto, insegna…
sciroppato con molto interesse. caro nostromo non è la prima volta
che leggo i tuoi punti di vista tramite maurizio.
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