Nella repressione di giornalisti e di dissidenti politici e religiosi in atto in Cina e a Cuba Fulvio Scaglione sente puzza di «socialismo reale». «Non siamo tornati ai gulag del socialismo reale, e la Cuba e la Cina di oggi non sono più quelle di ieri. Ma episodi come questi, tra l’altro non isolati bensì ricorrenti, non possono essere nemmeno sottovalutati. È palese in molti Paesi la pretesa di entrare nella modernità a colpi di riforme solo economiche. L’esempio della Cina è più che chiaro. Ma anche dall’assai più modesta Cuba si levano squilli di tromba» (Ostinati contro la storia, Avvenire, 6 ottobre 2012).
Il giornalista del quotidiano cattolico “sente” «odore di socialismo reale» là dove il mio naso ha sempre “sentito” il nauseabondo puzzo del reale Capitalismo, ancorché di Stato e spacciato per Socialismo, per la gioia di tutte le classi dominanti del pianeta, le quali hanno potuto dire agli sfruttati e agli oppressi d’ogni latitudine che al Sol dell’Avvenire è da preferirsi di gran lunga quello che passa il convento capitalistico. Giusta la massina “modificata” di Churchill: il Capitalismo fa certamente schifo, nessuno può negarlo; ma in fatto di schifezze il Socialismo lo batte alla grande! Sennonché, come non mi stanco di ripetere (ma repetita iuvant?), il famigerato «Socialismo reale» non ha mai avuto nulla a che fare con il Socialismo, né con quello “reale” né con quello immaginario.
Paesi come la Russia di Stalin, la Cina di Mao e la Cuba di Fidel Castro sono entrati nella «modernità», ossia nella dimensione capitalistica, seguendo un percorso tracciato dalla loro storia e dal processo sociale mondiale segnato dal Capitalismo giunto nella sua piena maturità imperialistica. Il rigurgito anacronistico del «socialismo reale» in Cina e a Cuba lamentato da Scaglione segnala la perdurante vitalità, nonostante evidenti acciacchi, del sistema politico-ideologico-istituzionale nato in quei Paesi oltre mezzo secolo fa sotto il segno della rivincita nazionale e della riforma sociale – borghese, al netto delle bandire rosse sventolate, degli slogan “proletari” gridati e dei pugni chiusi agitati contro i «nemici del popolo e del Socialismo». Nessuno oggi può dire quando quel vecchio sistema esalerà l’ultimo respiro e quale nuovo sistema lo rimpiazzerà. (Pare che persino la Corea del Nord, la patria del “Socialismo Atomico”, si stia aprendo a una timida riforma economica: ma che sia timida, mi raccomando!).
Da sempre mi batto per affermare la tesi secondo la quale il cosiddetto Libro Nero del Comunismo non è che un capitolo particolarmente escrementizio del Libro Nero del Capitalismo, nelle cui pagine i «diritti umani», difesi dall’Avvenire in quanto «principi decisivi per il progresso e il benessere dei popoli», fanno capo a un’ideologia che cela la reale assenza di umanità in tutto il pianeta, oggi interamente sussunto sotto il rapporto sociale di dominio e di sfruttamento Capitale-Lavoro salariato. L’esistenza di questo rapporto sociale nega in radice la stessa possibilità di un’esistenza autenticamente umana, tanto in regime di democrazia quanto in regime di dittatura.
La stessa strage di cristiani in molti Paesi africani non è estranea alla logica capitalistica del profitto, che si manifesta nella lotta per la spartizione del plusvalore, dei mercati, delle materie prime e delle… anime. Come in Cina e a Cuba il ridicolo armamentario ideologico “socialista” veicola una politica interna repressiva e conservatrice, e una politica estera aggressiva, analogamente in quei Paesi la lotta religiosa cela uno scontro sociale assai profano, la cui posta in gioco è il potere: economico, politico, ideologico.
Non difendo la tesi del «Socialismo reale» come reale Capitalismo (più o meno di Stato) perché ne sono particolarmente affezionato, ma perché sostengo la possibilità, intonsa e sempre più attuale, della Comunità umanizzata, come possiamo concepirla a partire dalla Società-Mondo del XXI secolo. Inutile dire che in questo sforzo ho sempre trovato gli apologeti – dichiarati e camuffati – del «Socialismo reale» in guisa di arcigni avversari. Più che «odore di muffa», come scrive l’Avvenire, questi personaggi emanano un lezzo che sarebbe indelicato chiamare per nome e cognome. Ma ci siamo capiti lo stesso, nevvero?
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