MIGLIORISMO E PEGGIORISMO. OBAMA E LATOUCHE

Mentre per il Presidente neoeletto, nonché campione mondiale dei “socialmente corretti” (destrorsi o sinistrorsi che siano), Barack Obama «il meglio deve ancora arrivare», per il guru della decrescita e del Capitalismo dal volto umano (mi scuso per l’orribile ossimoro) Serge Latouche è piuttosto il peggio che deve ancora bussare alle nostre porte. Lo scenario internazionale, a cominciare dalla bruciante – oggi in senso letterale! – questione greca sembrerebbe dare ragione al “peggiorista”.

Ma è piuttosto nella ricetta proposta dallo Scienziato francese per evitare al Bel Paese il baratro di una crisi economico-sociale senza fine, con tanto di prospettiva autoritaria incombente, che personalmente trovo il peggio del… meglio. Meglio qui inteso come massima espressione del pensiero post-progressista mondiale. Infatti, cosa propone il Nostro all’Italia? È presto detto: «Frugalità e riaffermazione della supremazia della piccola impresa, che ha rappresentato per cinquanta anni il tessuto connettivo del Paese, la sua peculiarità» (dalla Conferenza di Latouche all’Università di Roma del 7 novembre 2012). Insomma, un po’ di cattocomunismo old style, riverniciato con i colori dell’ambientalismo frugale, e un po’ di leghismo dei distretti industriali, quello che già agli inizi degli anni Novanta lanciava l’allarme sui «frutti avvelenati» della globalizzazione e, soprattutto, sull’ascesa del Capitalismo cinese, un concorrente imbattibile nel medio periodo. Sotto questo aspetto il declinante Bossi può ancora vantare sui no-global e sui tanti progressisti che allora tifavano per il Clinton della liberalizzazione economica a tutto campo, a iniziare dalla Finanza, la palma dell’originalità padana.

Agli astanti dell’Aula Magna romana Latouche ha ripetuto il suo mantra decrescista radicato su una concezione a dir poco semplificata della realtà capitalistica di questo inizio secolo, declinata essenzialmente nei termini di un difetto di pensiero a carico dei leader politici mondiali e degli stessi economisti mainstream, impigliati nel vecchio paradigma di progresso economico. Sulla locandina che presentava l’evento romano si legge: «Quello che sta accadendo in campo ambientale, economico e sociale è il risultato di una concezione di progresso che non tiene conto dei limiti naturali e temporali e che alla cooperazione sostituisce la competizione ed il confitto. Invertire la rotta prima di emergenze e disastri a cui potrebbero corrispondere svolte autoritarie forse è ancora possibile, ma ciò implica un cambiamento culturale ed una presa di coscienza urgente e di portata globale».

A mio modesto avviso quello che ci sta accadendo è in primo luogo il risultato di una prassi sociale dominata dagli interessi economici, il cui superamento postula non una generica, e francamente sempre più fumosa e ambigua «rivoluzione culturale», che include anche esempi concreti di economia “altra”, ma il superamento rivoluzionario dei rapporti sociali capitalistici. Ogni terza via è, oggi come sempre, aria fritta, più o meno ecosostenibile… Ciò che va radicalmente contestata non è la «religione della crescita», i cui sacerdoti provengono anche dalle fila dei progressisti neokeynesiani, come giustamente osserva Latouche, ma la dittatura del profitto, la quale prende corpo appunto sulla base dei vigenti rapporti sociali di dominio e di sfruttamento, e non a causa dei soliti quattro gatti (l’1% della popolazione mondiale?) assetati di profitto, possibilmente speculativo e distruttivo sul piano ambientale.

La Conferenza di Latouche recava questo titolo: Quale rapporto fra economia, ecologia e filosofia? L’occasione della crisi. Per quanto riguarda la domanda credo di aver risposto, sebbene sommariamente: il rapporto sociale capitalistico che trasforma ogni cosa, a iniziare dall’individuo, in risorsa economicamente utile, profittevole, con ciò che ne consegue sul piano della sua intera esistenza, incluso il suo rapporto con la natura. Per quanto riguarda la crisi come eccezionale opportunità, si tratta a mio avviso di coglierla come conferma della natura altamente contraddittoria e altamente disumana della Società-Mondo del XXI secolo, con ciò che ne consegue sul piano della prassi politica, a cominciare dal rifiuto di ogni politica dei sacrifici, non importa se confezionata dai cultori della crescita o dai sacerdoti del Capitalismo «piccolo, frugale e pulito».

A proposito di Obama! Secondo il Corriere della Sera il passaggio chiave del discorso obamiano ricorda quanto disse Ronald Reagan ai suoi sostenitori nel 1984, festeggiando il suo secondo mandato: «Non avete ancora visto niente». Sembra una minaccia, più che una promessa!

Rimando a:
Capitalismo e termodinamica. L’entropia (forse) ci salverà;
La decrescita di Latouche mi fa crescere;
Decrescita. Ma di che cosa? Ovvero: La decrescita non ci salverà nemmeno l’anima.

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