PICCONARE LA COSTITUZIONE È GIUSTO

Costituzione_a_medLeggo su Uninomade che «la critica della costituzione è necessaria»: come non condividere questa posizione. Chi mi conosce bene sa che da oltre trent’anni non faccio altro che criticare la Sacra Carta, nel tentativo – quasi disperato, lo riconosco – di veicolare qualche posizione minimamente “classista” approfittando delle pur piccole smagliature che non hanno smesso di aprirsi, qui e là, sul corpo del regime «nato dalla resistenza».

A proposito della mitologia resistenzialista, in un articolo pubblicato su una modesta rivista locale (Filo Rosso) nel gennaio 1992, intitolato, chissà poi perché, Per una critica marxista della Costituzione italiana, riportavo la citazione che segue, tratta da un breve saggio storico di De Paolis: «Sono la monarchia, il capitale finanziario e la burocrazia che decidono la caduta di Mussolini e, soprattutto, le sorti disastrose della guerra, e non “l’insurrezione spontanea” della popolazione» (in Tesi e Antitesi, G. D’Anna editore). Poco oltre citavo un articolo di Luciano Canfora pubblicato sul Manifesto del 18 luglio ’91, che allora suscitò molto scandalo presso i corifei della leggenda resistenzialista perché criticava appunto i miti e le forzature storiografiche riguardanti la Resistenza. In particolare egli definiva «schematica» la lettura che gli intellettuali legati “organicamente” alla sinistra ufficiale avevano fatto del conflitto sviluppatosi nell’Italia centro-settentrionale nel periodo 1943-45 al solo scopo di «legittimare la sinistra, in particolare i comunisti», nonché per «restituire dignità al Paese che aveva saputo “liberarsi da sé” e che dunque non andava trattato come un vinto». Per la verità anche la DC di De Gasperi cavalcò la patriottica balla speculativa della sconfitta solo a metà, in grazia dell’epopea rosso-bianca resistenzialista, meritandosi la giusta e sarcastica ironia degli angloamericani che avevano preso a calci sul deretano il Bel Paese appena qualche anno prima.

E difatti, la più grossolana delle forzature nella memorialistica resistenzialista Canfora la individuava «nell’attribuire alla lotta partigiana il ruolo decisivo nella “liberazione”, sebbene in realtà il ruolo decisivo dovesse attribuirsi piuttosto all’evoluzione bellica complessiva». Come si vede, nulla che uno storico o un politico non assoggettato alla dittatura ideologica resistenzialista non sapesse già. Ma allora il “popolo di sinistra” lapidò il povero Canfora sull’altare del “revisionismo storico”.

Una critica vera, cioè radicale – nel senso marxiano, non marxista del concetto – della Costituzione non può non fare i conti con questa storia, cosa che postula un giudizio sulla natura sociale della Seconda guerra mondiale (a mio avviso imperialista esattamente come lo fu la prima) e della Russia di Stalin (un Capitalismo-Imperialismo camuffato da «Patria del Socialismo»), vero paradigma degli intellettuali “comunisti” che allora scrissero la storia per conto della classe dominante italiana e del PCI di Togliatti.

CB6338A0205879D7E93CF9B2F264Che il Collettivo Uninomade sconti dei forti limiti sul piano dell’elaborazione teorica e politica a causa di quella cattiva storia, lo si capisce anche da quanto segue: «Quando diciamo che la Costituzione del 1948 è esangue e non restaurabile, ci trattano da nemici della patria. Recitate un De Profundis non solo di quella Carta ma della democrazia, ci ripetono. Davvero? Non sarà invece che proprio attorno al ripetersi di quelle difese (ormai puramente ideologiche) si consuma quel po’ di democrazia che resta in Italia?». Ora, che la Costituzione del 1948 sia «esangue e non restaurabile» lo aveva capito anche il Picconatore Cossiga, il quale, sempre più isolato e inascoltato, spese gli ultimi due anni della sua “folle” presidenza nel tentativo di promuovere una «pacifica e ordinata» transizione dalla Prima alla Seconda Repubblica, in modo da mettere il Paese nelle condizioni di affrontare adeguatamente le sfide che il «nuovo ordine mondiale» post Muro di Berlino lanciava a tutti gli attori dell’economia mondiale e della politica internazionale. «Temo un’Algeria italiana», diceva sempre più spesso l’indimenticato Ministro degli Interni alludendo alla crisi della Quarta Repubblica francese (1958). Invece arrivò la più modesta, e più confacente all’italica tradizione, “rivoluzione” manettara. Certo, poi arrivò anche Silvio Berlusconi, giusto per ridicolizzare chi si aspettava dal crollo del famigerato Pentapartito il Sol dell’Avvenire: «forse ci conveniva morire democristiani!»

Ma ancorché esangue e – ormai da parecchi lustri – obsoleta, la Costituzione italiana è in primo luogo la Costituzione che sancisce sul piano giuridico, politico e ideologico il dominio delle classi dominanti italiane nel contesto delle relazioni interimperialistiche – peraltro assai mutate rispetto al quadro internazionale che rese possibile la Repubblica democratica fondata sullo sfruttamento del lavoro.

Non si tratta di ragionare con la testa rivolta all’indietro, ma di dare un fondamento teoricamente e politicamente solido alla sacrosanta esigenza di criticare la legge fondamentare dello Stato italiano. La stessa elaborazione del concetto di Comune, che sta al centro dell’iniziativa politica di Uninomade, arranca tra mille aporie e contorsioni dottrinarie proprio perché il suo pensiero dominante non riesce a fare i conti con la storia della Prima Repubblica, a cominciare dagli eventi di portata mondiale che la resero possibile. Naturalmente alludo anche, se non soprattutto, alla storia del “Movimento Operaio Internazionale” di matrice stalinista, nel cui seno prese corpo l’idea di un “Comunismo” che negava in radice la stessa speranza di emancipazione e di liberazione delle classi dominate e dell’intera umanità.

Di qui anche quel cincischiare penosamente intorno ai concetti di sovranità popolare (sebbene, in questo caso, con la lodevole intenzione di metterlo in questione al cospetto del dogmatismo costituzionale), e di libertà: «In primo luogo, parliamo di libertà. Un solo esempio, ma crediamo suggestivo: dov’è più – sulla base della Costituzione del ’48 – la libertà di espressione quando ci si confronti alla prepotenza del potere finanziario e della proprietà privata nei media?». Ma il punto vero è un altro: può esistere la libertà sulla base della vigente società capitalistica? Altro che «dov’è più»: piuttosto dov’è mai stata la libertà? La libertà tout court, non solo quella «di espressione», che presa nel suo specifico politico e giuridico non ha molto senso, almeno per chi scrive. «Comune e sovranità popolare stanno su sponde diverse: in mezzo, ci passano tutte le metamorfosi soggettive di questi anni, le trasformazioni del lavoro e della produzione, la forza emergente del lavoro vivo, dinamiche che – già dagli anni Sessanta e Settanta – hanno messo attivamente in crisi il nocciolo della mediazione». A parte il solito gergo benicomunista fecondato dallo spirito (Santo?) dell’eterna rivoluzione, c’è da chiedersi a quale «nocciolo della mediazione» si fa riferimento. Si allude forse alla balla speculativa della Costituzione come espressione di una mirabile, ancorché fragile e poi superata, sintesi di interessi di classe contrapposti, secondo la nota vulgata togliattiana e cattostatalista? Alla Costituzione come «primo momento di un processo teso a realizzare mediazioni sociali più avanzate», come recitava l’intelligenza sinistrorsa del tempo che fu?

«Se non ci scapasse da ridere, vorremmo chiedere ai nostri interlocutori, spesso su questo argomento prolissi, di declinare con noi “moneta-bene comune”: cosa concluderebbero? Che lo Stato-nazione va ricostruito oppure che la Costituzione del ’48 va trasformata? È evidente che se rispondessero nel primo modo, dovremmo chiamare il 118» (Collettivo Uninomade). Se non mi scappasse da ridere, e se non conoscessi bene i miei polli, chiederei: ma state parlando sul serio, o volete prendere in giro (notate la sapienza diplomatica) i vostri interlocutori? Moneta-bene comune? Cose da pazzi! Mi correggo: da feticisti.

4 pensieri su “PICCONARE LA COSTITUZIONE È GIUSTO

  1. “declinare con noi moneta-bene comune”: cosa intendono costoro con questa formula? altrimenti non colgo in pieno la tua sferzata finale …. saluti

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