PER CHI SUONA L’AGENDA

cartoon-1E allora, non chiedere mai per chi suoni la campana. Essa suona per te.

Sostenere, come fanno in molti, soprattutto a “sinistra” e nella “destra populista”, che Monti vuole portare quel che resta dello scalpo dei lavoratori italiani a Berlino, a Francoforte e a Bruxelles significa quantomeno non aver ben compreso la portata sociale dell’attacco alle condizioni di lavoro e di esistenza delle classi subalterne del Bel Paese  (e ovviamente degli altri Paesi europei) da parte del Capitale – italiano, europeo, mondiale. Non si tratta dell’Agenda Monti piuttosto che dell’Agenda Bersani-Vendola, della “sinistra” o della “destra”, del “populismo” o del “responsabilismo”, del “liberismo” ovvero del “keynesismo”: nel Capitalismo la congiura sociale contro i dannati del lavoro salariato si dà naturalmente, spontaneamente, al di là delle forzature ideologiche e della volontà  di chicchessia. Infatti, è sull’altare del Dio Profitto, una divinità che estende la propria maligna giurisdizione su tutto il pianeta, che la classe dirigente di questo Paese vuole deporre il nostro scalpo. E deve farlo con assoluta necessità, se vuole mantenere fede alla sua funzione sociale.

A suo tempo il progressista Gerhard Schröder, con la sua Agenda (lacrime e sangue) 2010, portò lo scalpo dei lavoratori tedeschi (in attività, in mobilità, in disoccupazione e in pensione) sull’altare degli interessi generali della Germania, vale a dire della classe dominante tedesca, e ancora più precisamente: del sistema capitalistico tedesco colto nella sua totalità (la potenza sociale che cura i cittadini dalla culla alla bara), com’è corretto fare se non si vuol perdere il filo conduttore della politica dei governi e dei partiti devoti alla Patria. Secondo Paolo Valentino «Schröder aveva varato la più radicale e dolorosa riforma del welfare tedesco dai tempi di Bismarck» (Intervista all’ex Cancelliere socialdemocratico, Corriera della Sera, 31 maggio 2012). Detto di passaggio, a ulteriore conferma della dimensione sociale, e non meramente ideologica o nazionale dei problemi sul tappeto, allora Schröder trovò per così dire ispirazione dall’Agenda Blair, scritta sulla pelle dei sudditi salariati di sua Maestà dall’ex campione del progressismo europeo, poi caduto rapidamente in disgrazia a causa dell’intervento armato in Iraq  della coalizione dei “volenterosi”.

«È d’obbligo riconoscere», scriveva il cancelliere socialdemocratico nel 2002 su Handelsblatt, «che i tempi della ridistribuzione di guadagni in crescita sono finiti. Oggi non si possono più soddisfare nuove richieste e rivendicazioni. Se vogliamo preservare un solido benessere e uno sviluppo sostenibile venendo incontro a nuove esigenze di giustizia, dovremo invece ridimensionare molte rivendicazioni e anche sopprimere prestazioni che mezzo secolo fa potevano essere giustificate ma che hanno perduto oggi il loro carattere pressante … A fronte della realtà demografica siamo giunti alla conclusione che il finanziamento delle pensioni non può più essere garantito in via esclusiva da un sistema a ripartizione e da contribuzioni calcolate in base al reddito da lavoro». Salari, mercato del lavoro, redistribuzione del reddito, sanità, pensioni: le «riforme strutturali» dell’Agenda Schröder spaziavano in ogni comparto dell’Azienda Tedesca, allora ancora impegnata a digerire il grosso pasto della riunificazione. Con il solito sciovinistico compiacimento, soprattutto i cugini francesi parlarono della Germania come della «malata d’Europa», una vecchia e arrugginita locomotiva incapace di portare “a tutto vapore” il treno europeo dentro la nuova dimensione della globalizzazione segnata dall’ascesa delle nuove potenze capitalistiche mondiali. Il Paese teutonico appariva ai francesi così mal ridotto, da spingerli a far circolare la «generosa proposta» di una condivisione franco-tedesca del seggio francese nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

«In Germania, però, hanno riflettuto sui propri problemi e trovato le soluzioni», dice Oscar Giannino; «Innanzitutto hanno abbassato le spese e le imposte, che erano altissime. Poi si sono reinventati il welfare, troppo costoso e concentrato sulle emergenze sociali. Infine hanno mutato il loro orizzonte produttivo, in ciò favoriti da contratti dei lavoratori più aziendalisti rispetto ai nostri. Dobbiamo fare tesoro di questi insegnamenti e capire quali sono le ragioni che ci stanno portando nel baratro» (Il giornale di Vicenza, 29 novembre 2012). È L’Agenda Giannino, la quale suggerisce all’Italia di guardare alla Germania malata d’Europa del 2001-2002: «la soluzione dei nostri problemi è praticamente scritta».

vadot-desertNel 2002 la crescita del Pil tedesco si aggirava intorno allo 0,5 per cento, mentre la disoccupazione faceva registrare l’inquietante cifra di quattro milioni. Com’è noto, soprattutto in Francia s’inclina a vedere in ogni disoccupato tedesco un potenziale nazista, o quantomeno un potenziale “nemico della pace”. Pure preoccupanti erano le cifre raggiunte dal lavoro nero: «Secondo i calcoli dell’Istituto di ricerca economica applicata di Tubinga, negli ultimi 12 anni la quota di occupazione illegale è cresciuta di quasi il 40 per cento, interessando una produzione di merci di circa 350 miliardi di euro, pari al 16,5 per cento del Pil» (Rassegna sindacale, n.43, novembre 2002). In effetti, puntando sulla maggiore flessibilità del lavoro possibile, la riforma del mercato del lavoro messa a punto nel 2002 da una equipe governativa coordinata dal Ministro dell’Economia Wolfgang Clement in pratica non fece che legalizzare e razionalizzare un dato di fatto. D’altra parte è questo il reale significato delle “riforme sociali”, in Germania come dappertutto: ratificare, normare, disciplinare e assecondare i fenomeni sociali che appaiono strutturali e irreversibili, almeno nel medio periodo.

Ad esempio, il cosiddetto mini-job (lavoro part-time da 400 euro al mese netti) è il nome nuovo che sta per lavoro giovanile sottopagato e precarizzazione del lavoro. Va da sé che al giovane è richiesto di non essere troppo schizzinoso. È vero che il Welfare tedesco è ancora abbastanza generoso da compensare, ovviamente fino a un certo punto, il declino secco dei salari, ma è soprattutto vero che il circolo vizioso della fiscalità generale è sempre in agguato, è una spada di Damocle che minaccia continuamente l’accumulazione capitalistica, come ben sanno le cosiddette cicale d’Europa. Il grasso accumulato nel corpo sociale è una risorsa scarsa per definizione, e comunque il suo formarsi presuppone un sistema sociale altamente produttivo, come in effetti è stato finora quello tedesco.

Il «reddito di sostentamento minimo, condizionato alla partecipazione a misure di formazione e di inserimento professionale», come si legge a pagina 18 dell’Agenda Monti, è concepito proprio all’interno di una strategia volta ad innalzare la produttività sistemica dell’Azienda Italia (dalla fabbrica al laboratorio scientifico, dalla pubblica amministrazione alla gestione della cosiddetta industria culturale del Paese, e via di seguito), e com’è noto tutti i partiti che si candidano a governare il Paese convergono su questo punto cruciale. Per questo Monti ha ragione quando dice che i sacrifici non ce li chiede innanzitutto l’Europa (leggi Germania), ma il Sistema Paese, la sua capacità di competere in un mondo sempre più veloce e aggressivo sul lato della “concorrenza totale”: basti pensare, non dico alla Germania o al Giappone, ma alla Polonia e alla corea del Sud. Le “società-formiche” d’Europa appoggiano la riforma strutturale delle “società-cicale” solo nella misura in cui l’improduttività e l’inefficienza dei sistemi sociali di queste ultime rischiano di distruggere risorse create altrove (indovinate dove?), ma è chiaro che soprattutto con i Paesi vocati alla manifattura d’esportazione, com’è indubbiamente ancora l’Italia, l’impegno “riformista” delle formiche è destinato quanto prima a mostrare il risvolto concorrenziale della faccenda.

L’esigenza di una maggiore integrazione economica idonea a creare attorno al nucleo forte del capitalismo tedesco una massa critica continentale in grado di sostenere con successo la guerra mercantile con i grandi colossi mondiali, per un verso, e, per altro verso, il cozzare di diversi e molte volte contrastanti interessi nazionali facenti capo ai diversi Paesi dell’Unione: queste due faglie sistemiche che continuamente si toccano, non smettono di generare tensioni e contraddizioni. Chi vede in Monti non più che un servo sciocco della Merkel e dei “poteri forti” basati a Bruxelles e a New York, reitera l’insulso errore di chi vedeva nell’Italia democristiana (e poi craxiana) la serva sciocca degli Stati Uniti, sottovalutando in tal modo la capacità delle classi dominanti del Bel Paese di perseguire obiettivi schiettamente nazionali pur in un contesto geopolitico centrato sugli USA. D’altra parte, “destra” e “sinistra” non hanno mai smesso di contendersi la palma d’oro del nazionalismo più genuino. Ma non divaghiamo!

Se il 27 febbraio 2012 Andrea Tarquini può scrivere che nel settore automobilistico tedesco «la classe operaia è già in paradiso», visti i record storici dell’export e degli utili delle multinazionali tedesche dell’auto, cosa che ha permesso ai lavoratori del comparto una pingue partecipazione agli utili e allettanti rivendicazioni salariali «appoggiate dal governo conservatore della cancelliera Angela Merkel», è perché dal 2003 quei lavoratori hanno “accettato” di lavorare molto di più a parità di salario. Un forte aumento di produttività (leggi sfruttamento) sostenuto anche dal sindacato collaborazionista IgMetall. La cosiddetta partecipazione agli utili dell’impresa, un salario differito e subordinato al buon andamento dello sfruttamento operaio, fa seguito alla lunga e dura politica di moderazione sindacale. Scomodare il paradiso quando si parla di “capitale umano” è quantomeno blasfemo…

«Adesso [i capitalisti dell’auto] dovranno vedersela comunque con la IgMetall che si dice “pronta a lottare per un aumento del 6,5 per cento, secondo il principio della solidarietà”. Con il governo alle spalle» (Premi senza precedenti per i metalmeccanici tedeschi, La Repubblica.it, 27 febbraio 2012). Si scrive solidarietà, si legge collaborazione. La Trimurti sindacale di casa nostra ne sa qualcosina. La classe operaia, in Germania come altrove nel capitalistico mondo, ha sempre alle spalle il governo, i padroni e i sindacati responsabili: l’allusione politicamente scorretta a certe pratiche sessuali mi sembra abbastanza chiara!

«Grandi aspettative sono riposte nella riforma del mercato del lavoro, secondo le proposte della commissione Hartz, che comporterà più lavoro temporaneo, minore protezione contro i licenziamenti del personale anziano, più stretto collegamento tra gli Uffici del lavoro e quelli dell’assistenza pubblica, meno oneri per i lavori a bassi salari. La durata media della disoccupazione poi, grazie a un collocamento più efficiente, dovrà diventare più breve» (Rassegna sindacale, n.36, 8 ottobre 2002). Aumento della produttività e della flessibilità (ma sarà poi quella “buona”, sarà abbastanza flexsecurity?): non sembra di leggere qualche passo dell’Agenda Monti-Fornero? O Biagi-Ichino-Fornero-Monti: fate un po’ voi.

Il 12 dicembre 2011 il Corriereberlinese rendeva di pubblico dominio questa sconvolgente scoperta: «Nonostante la sua ricchezza e la sua potenza economica, la Germania campione mondiale nelle esportazioni [vede] aumentare il gap tra ricchi e poveri più che in altri paesi industrializzati». Perché nonostante? Piuttosto grazie alla sua ricchezza e alla sua potenza, perché come diceva il barbuto di Treviri, la ricchezza a un polo e la miseria (assoluta o semplicemente relativa la sostanza non cambia) al polo opposto si presuppongono vicendevolmente. Ma a essere particolarmente significativa è la frattura salariale che si è realizzata tra l’“aristocrazia operaia” (i lavoratori impiegati soprattutto nelle multinazionali della metallurgia, della chimica e dell’elettronica) e i lavoratori di “fascia bassa” – quelli impiegati nel terziario a basso contenuto tecnologico, nei servizi alla persona e nelle piccole e medie imprese manifatturiere, le quali non di rado, anzi sempre più spesso, servono il processo produttivo delle multinazionali di cui sopra, cosa che in parte ne spiega lo straordinario successo ottenuto in questi anni di grave crisi internazionale. «Negli ultimi dieci anni, la disparità retributiva tra coloro che guadagnano bene, i Gutverdienern, e i lavoratori a basso livello di stipendio, i Niedriglöhnern, si è allargata considerevolmente. Nel 2008, il 10 per cento di coloro che stavano in cima alla scala dei lavoratori meglio pagati guadagnava in media 57.300 euro, otto volte di più di quello che guadagnava il 10 per cento di coloro che stavano in fondo alla scala dei lavoratori meno pagati, con uno stipendio di 7400 euro. Negli anni ’90 il rapporto tra gli stipendi di queste due categorie di lavoratori, afferma l’OCSE, era di sei a uno» (Aumenta anche in Germania il divario tra ricchi e poveri, Corriereberlinese).

Sempre il Corriereberlinese informava che il segretario generale dell’OCSE Angel Gurria concludeva la sua inquietante analisi degli squilibri sociali in Germania perorando la causa di «un’ampia strategia per una crescita compatibile socialmente». Il Capitalismo a basso “impatto” ecologico e sociale è un odioso mantra che non smette di irritare il pensiero che afferma l’assoluta incompatibilità tra il vigente regime sociale e condizioni semplicemente umane di esistenza. Non c’è modo di abituarsi a certi insulsi luogocomunismi, soprattutto quando affettano pose “umanistiche”.

ballaman-euroDichiara Schröder, critico dell’Agenda Merkel per l’Europa: «Io [nel 2003] avevo appena realizzato l’Agenda, oltre 20 miliardi di euro di tagli e una severa riforma del mercato del lavoro. Ma non potevamo strozzare ulteriormente l’economia. Così abbiamo chiesto un margine più ampio nel rispetto dei criteri [di Maastricht]. Poi ho perso le elezioni, la signora Merkel ne ha approfittato, l’economia è ripartita, ma questa è un’altra storia. La lezione di allora è che un Paese come la Grecia ha bisogno di più tempo» (Intervista all’ex Cancelliere…, Corriere della Sera). C’è un piccolo, quasi trascurabile particolare che tuttavia contribuisce a spiegare le contraddizioni e certe insopportabili “ingiustizie” maturate negli ultimi anni nell’ambito della politica comunitaria: Grecia e Germania hanno pesi specifici diversi. La potenza capitalistica non è acqua fresca: «non stiamo mica a pettinare le illusioni degli europeisti spinelliani», direbbe l’autore dell’Agenda Bersani.

9 pensieri su “PER CHI SUONA L’AGENDA

  1. Caro Nostromo in pieno inverno a Milano con fuori 28 gradi come si fà a non urlare che la specie guidata da una borghesia per antonomaia ignorante e cialtrona è ormai dentro il baratro! Scusa lo sfogo

  2. Venendo nel merito dell’articolo postato, ti chiederei cosa intendi quando sottolinei che “il circolo vizioso della fiscalità generale è sempre in agguato” e “il grasso accumulato nel corpo sociale è una risorsa scarsa”. Mi basterebbero due righe forse per cogliere appieno. Un caro saluto

    • Mi rendo conto di aver sintetizzato troppo sbrigativamente un concetto complesso che peraltro ho sviscerato in altri post, che logicamente nessuno è tenuto ad avere sempre presente. Per questo ti ringrazio per l’occasione che mi offri di precisare. Lo Stato integra attraverso una serie di prestazioni e servizi il reddito dei lavoratori, soprattutto nel caso del mini-job cui facevo riferimento nel post. Esempio: prendo una paga di 400 euro che lo Stato “integra” o “sussidia” fino a portare la mia capacità di spesa al livello del salario minimo stabilito per legge (in Italia non esiste questo meccanismo). Per fare ciò ovviamente esso deve attingere dalla fiscalità generale. Se la produttività del lavoro (e del sistema capitalistico nel suo complesso) non è sufficientemente alta, ossia non si crea nel sistema sufficiente “grasso” da poter usare a fini assistenzialistici nei momenti di bassa congiuntura del ciclo economico, lo Stato si trova dinanzi a queste tre opzioni: o aumenta la tassazione (fiscalità generale), che a un certo punto finisce per azzoppare l’economia in generale e l’accumulazione capitalistica in particolare, o taglia la spesa pubblica improduttiva (attraverso una spending review), oppure taglia il Welfare, con ciò che ne consegue sul terreno della conflittualità sociale.
      Siccome non sono soddisfatto della “risposta”, ti invito a leggere questi due post: Spending review e Debito pubblico, parassitismo sociale e accumulazione capitalistica.
      Ti ringrazio davvero! Ciao!

  3. Grazie Nostromo, molto chiari i due articoli che mi hai suggerito. Purtroppo rimango perplesso ancora rispetto alle considerazioni che fai in chiusura dell’articolo corrente. E’ l’ultima citazione di Schröder di cui non riesco a comprenderne il senso e la sua valenza di carattere conclusivo. Vengono citate la Grecia e il concetto di potenza capitalistica e una pseudo citazione degli autori dell’agenda Bersani che chiamano in causa Spinelli (?). Un caro saluto

    • Mi riferivo ad Arturo Spinelli, autore con Ernesto Rossi del famoso Manifesto di Ventotene sull’Europa (vedi anche qui). L’ex cancelliere Schröder non condivide, in questo solidale con Helmut Koll, la politica “arcigna” della Merkel per ciò che riguarda il rigorismo sulla spesa pubblica delle “cicale” (Grecia, Portogallo, Spagna, Italia). In senso stretto l’autore dell’Agenda Bersani è lo stesso segretario del PD, a cui metto in bocca, per fare dell’ironia (peraltro non slegata dalla realtà), la battuta che intende colpire appunto le anime belle dell’europeismo ideologico, il quale crede che la volontà politica degli Stati e delle opinione pubbliche d’Europa possono dare scacco macco agli interessi economici e sistemici che fanno capo alle diverse nazioni (vedi qui). Sempre grazie per l’attenzione. Ciao!

  4. Pingback: L’IMPIEGATO “LAVATIVO” OSSESSIONATO DAI GRILLINI | Sebastiano Isaia

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