Anche la famigerata McDonald’s è dunque ascesa in campo. E con quale “genialata” pubblicitaria! Ecco l’Agenda 2013 secondo la multinazionale del mangiare veloce: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. 3000 nuovi posti li mettiamo noi». Tremila nuovi posti di lavoro? Buttali via, di questi tempi! Una trovata pubblicitaria che ricorda i migliori anni di Silvio. «McDonald’s crede in questo Paese», recita l’Agenda McD, «e per questo oggi investe, aprendo in Italia oltre cento nuovi ristoranti». Chiamiamoli “ristoranti”… Ma son quisquilie da mangiaspaghetti e comunque il punto è un altro, e ci arriviamo tra poco.
Naturalmente la Ministra Fornero ha aderito subito all’iniziativa: «Mi piacciono tutti gli imprenditori che cercano fattivamente di creare posti di lavoro. Tutti preferiscono un lavoro a tempo indeterminato ma le circostanze sono difficili ed è difficile che gli imprenditori, in una situazione di grande incertezza, assumano con questa forma. Anche un lavoro a tempo determinato è meglio dell’assenza di lavoro». C’è poco da essere schizzinosi in tempi di crisi economica internazionale! «Guardati dal cinese», sussurra il Demonio all’orecchio del disoccupato e del precario. «Guardati pure dal cingalese, già che ci sei». Il deretano dei nullatenenti non si è mai sentito così a mal partito… Dio, come morde la crisi!
Ma arriviamo al punto che intendo evidenziare, e così chiudere rapidamente la modesta pratica. Eccolo: «Si tratta di un utilizzo strumentale e mercificante di uno dei principi fondamentali dell’ordinamento repubblicano, il primo articolo della nostra Carta costituzionale, derubricato a mero slogan pubblicitario» (Filcams-Cgil). Che scandalo! Io penso invece che la trovata pubblicitaria in questione dica sulla Costituzione italiana in generale, e sul suo Articolo 1 in particolare, molta più verità dei mille saggi scritti nell’ultimo mezzo secolo intorno alla «Costituzione più bella del mondo». Cinica non è l’Agenda McDonald’s ma la realtà sociale che in Italia come nel resto del capitalistico mondo costringe gli individui a vendere capacità lavorativa, fisica e intellettuale, in cambio di salario.
È per l’appunto su questa maligna compravendita che si fonda la Repubblica democratica «nata dalla Resistenza», e, come ho scritto altrove, il lavoro supersfruttato, precario, “nero” e quant’altro, perché, com’è noto, il peggio non conosce limite, non è che la continuazione del lavoro (salariato) “equo”, “dignitoso”, “socialmente corretto”. D’altra parte, la crisi economica ha reso evidente la precarietà esistenziale di chi è costretto a vivere di salario, e, per la verità, non solo di lui. Non bisogna essere Zygmunt Bauman per capire quanto questa vita sia “liquida”, come la Coca Cola, un po’ per tutti. Per molti mandar giù questa elementare constatazione è più difficile che ingollare un hamburger della mitica marca.
A proposito di lavoro “equo” e “dignitoso”! Leggo dall’Agenda Marx: «Invece della parola d’ordine conservatrice: “Un equo salario per un’equa giornata di lavoro”, gli operai devono scrivere sulla loro bandiera il motto rivoluzionario: “Soppressione del sistema del lavoro salariato”» (Salario, prezzo e profitto). Altro che «credibilità e approvazione della classe operaia», per dirla con Jean Claude Juncker*.
Adesso “mi taccio”, con il maligno sospetto di aver suggerito ai maghi del marketing un nuovo slogan pubblicitario. Maledetta dialettica!
* «Secondo Juncker [Presidente dell’Eurogruppo], bisogna ritrovare la dimensione sociale dell’unione economica e monetaria, “con misure come il salario minimo in tutti i Paesi della zona euro, altrimenti perderemmo credibilità e approvazione della classe operaia, per dirla con Marx”» (ANSA, 10 gennaio 2013).