I DILEMMI DELLA «COALIZIONE DISTRIBUTIVA»

bersani-torino_jpg_415368877Dalle pagine del Corriere della Sera Antonio Polito (ieri) e Angelo Panebianco (oggi) hanno posto al centro della riflessione politica del Bel Paese la magagna regina, assai scabrosa da tematizzarsi nel corso di una campagna elettorale: «Ha scritto Lorenzo Bini Smaghi sul Financial Times che la parola mancante di questa campagna elettorale è quella cruciale: competitività. La nostra non è migliorata neanche dopo la crisi, nonostante la cura da cavallo della svalutazione interna: è infatti cresciuta meno che in Spagna e Irlanda, perfino meno che in Grecia» (Antonio Polito).

Se il sistema Paese non è competitivo sul terreno economico, non può certo sperare di esserlo su quello dell’azione politica, e ciò spiega il ruolo del tutto marginale che l’Italia sta giocando sui tavoli europei, dove peraltro si consuma l’ormai quotidiana lotta tra interessi nazionali diversi e persino contrapposti, a ulteriore conferma che, oggi come ieri, non esiste l’Europa, né quella sognata dai «padri costituenti europei» dopo la Seconda guerra mondiale, né quella architettata a tavolino negli anni Novanta dai tecnocrati basati a Bruxelles. Ciò che esiste è un agglomerato di Paesi accomunati da una sola impellente necessità: far fronte alla competizione sistemica (economica, finanziaria, scientifica, tecnologica, politica, militare) nella Società-Mondo del XXI secolo, dominata dai grandi blocchi capitalistici.

È del tutto logico, oltre che storicamente fondato, che questa necessità debba fare i conti, per un verso con gli interessi nazionali dei Paesi europei, e per altro verso con un fatto ineludibile: la supremazia sistemica della società capitalistica tedesca. Detto in altri termini, non si tratta di giungere a una “sintesi” politico-istituzionale sulla base di strutture sociali nazionali che si equivalgono e che in qualche modo si completano vicendevolmente, quanto di adeguare la comune esigenza di non scivolare nel baratro dell’irrilevanza al fatto incoercibile dell’ineguale sviluppo capitalistico in Europa.  Ecco perché da sempre la Questione Tedesca è la Questione Europea, e viceversa. Scriveva Galli Della Loggia nel remoto 1993: «Un equilibrio richiede una gerarchia. Senza un dominus non si costruisce nessun sistema stabile. Il dominus in Europa non può essere che la Germania» (Limes, 1-2 93). Dopo vent’anni il dibattito tra europeisti “tiepidi” ed europeisti “senza se e senza ma” è ancora inchiodato penosamente a questo punto cruciale.

Per non farsi fagocitare dagli altrui interessi nazionali il Bel Paese deve crescere in termini di produttività sistemica, e questo presuppone un secco attacco al parassitismo sociale che assorbe una fetta troppo cospicua di risorse finanziarie attraverso il drenaggio fiscale, il cui peso schiaccia l’accumulazione capitalistica, la sola in grado di generare ricchezza nell’attuale forma capitalistica. «Non ci sono più pasti gratuiti», scriveva ieri Polito; in realtà non ci sono mai stati, perché la “gratuità” ad un polo ha avuto come presupposto un esborso al polo opposto, magari mediato dallo Stato.  D’altra parte, lo scontro tra «formiche» e «cicale» ha una dimensione Continentale, come prova l’ultima «deludente» performance dell’Unione.

La nostra economia è ferma da vent’anni, scrive Panebianco, e le necessarie riforme strutturali sono state bloccate dalle «coalizioni redistributive», quelle che hanno privilegiato la distribuzione della ricchezza, mentre le «coalizioni produttive», interessate alla generazione della ricchezza, sono ancora troppo deboli, come da ultimo ha dimostrato il governo di Mario Monti, la cui spinta propulsiva pro-riforme si è esaurita subito. Naturalmente, continua Panebianco, a nessun politico sfugge l’esigenza di ristrutturare il Sistema-Paese, ma tutti hanno paura di innescare «conflitti incontrollabili». Ecco perché, conclude l’editorialista del Corriere, dobbiamo accettare di buon grado i vincoli europei, i quali ci salvano dai nostri stessi vizi. Se non cambiamo in fretta dovremo subire col sorriso sulle labbra diktat franco-tedeschi ancora più duri e stringenti: per Panebianco la “terza via” del perenne accomodamento “distributivo” ci porta dritti al fallimento, alla stregua di un «grande Belgio».

Intanto, la presenza alla Convention torinese dei progressisti europei dell’ex Cancelliere tedesco Schröder, autore della «più radicale e dolorosa riforma del welfare tedesco dai tempi di Bismarck» (Paolo Valentino, Corriera della Sera del 31 maggio 2012) e sponsor di un governo Bersani-Monti, non lascia presagire nulla di buono per le classi subalterne chiamate tra qualche giorno a scegliere la frusta di turno.

2 pensieri su “I DILEMMI DELLA «COALIZIONE DISTRIBUTIVA»

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