CREMASCHI, GRILLO E LO “TSUNAMI SINDACALE”

kazanevski-490Dopo aver preso atto della grave crisi di legittimità e di consenso che attraversa come non mai il collaborazionismo sindacale italiano, Giorgio Cremaschi ieri invocava uno «tsunami sindacale» analogo a quello che ha «sconvolto il quadro politico del Paese». Sulla necessità di uno tsunami sociale naturalmente non posso che essere d’accordo, mentre è sull’analogia politica proposta dal leader sindacale che prendo le distanze.

Infatti, è ben vero che il quadro politico del Bel Paese è stato terremotato, anche perché presto o tardi il processo sociale deve trovare una qualche espressione nella sfera politico-istituzionale, e basta riandare col pensiero ai primi anni Novanta del secolo scorso per capire a cosa alludo: crisi economica, crisi sociale (crescita del gap Nord-Sud), crisi del quadro internazionale post-bellico, conseguenti “picconate” cossighiane e, dulcis in fundo (si fa per dire), “Rivoluzione giustizialista”, leghismo dilagante nelle regioni capitalisticamente avanzate del Paese, “discesa in campo” di Berlusconi che spazza via la spassosissima «gioiosa macchina da guerra» del defunto Occhetto. Il fatto che il triste Achille oggi ricompaia sulla scena politica per raccontare la vecchia trombata elettorale, non ne attesta l’esistenza in vita, piuttosto testimonia l’agonia, e forse persino il decesso, dei suoi ex compagni di partito. Anche i cadaveri amano togliersi qualche sassolino dalla… tomba.

E qui ritorniamo all’evocato terremoto politico, con conseguente tsunami, di oggi. Ebbene, esso investe in pieno il vetusto assetto politico-istituzionale, espressione di una struttura sociale decrepita, largamente parassitaria, incapace di assecondare le spinte innovative che pure continuano a generarsi nel sottosuolo capitalistico di questo Paese, soprattutto nella Macroregione Settentrionale, non a caso culla del leghismo di Miglio e di Bossi. Forte del disagio sociale che è riuscito a drenare da tutti gli strati sociali messi in sofferenza dalla lunga crisi economica, il movimento politico di Grillo può agire da catalizzatore per tutte le spinte innovative che nel corso degli scorsi decenni non hanno trovato un’adeguata espressione politica. Craxismo, leghismo e berlusconismo in parte cercarono di rappresentare quelle esigenze di modernizzazione capitalistica che in Italia sono sempre state depotenziate per evitare di intaccare lo status quo degli interessi materiali e politici (elettorali) già costituiti.

Numerose inchieste sociologiche condotte dopo lo tsunami dei primi anni Novanta hanno provato come la base sociale elettorale della “destra” italiana fosse molto più proletaria che non quella dei partiti cosiddetti di “sinistra”, elettoralmente forti soprattutto fra i ceti impiegatizi statali e in quella che una volta si chiamava aristocrazia operaia, basata sulla grande industria di Stato e su quella privata ma fortemente assistita dal Leviatano – un nome a caso: la Fiat. Anche questo dice qualcosa sulla “dialettica” politico-sindacale degli ultimi vent’anni.

Il sindacato italiano, a cominciare dalla CGIL, è da sempre parte integrante di quello status quo, e ciò spiega in larga misura la sua grillinofobia; infatti, la sua burocrazia teme di venir spazzata via insieme al vecchio personale politico.

KAZANEVSKY-08032013Ora, mentre Cremaschi teme a sua volta, da buon progressista, una deriva antidemocratica e anticostituzionale dell’associazionismo sindacale prossimo venturo, tale da esuberare il quadro politico-istituzionale disegnato dalla Sacra Costituzione «nata dalla resistenza» (magari un sindacato “vaffanculista” a 5 Stelle), e perciò spera che lo tsunami di questi giorni possa diventare un’occasione buona per insufflare nuovo ossigeno nei polmoni rattrappiti del collaborazionismo sindacale; chi scrive, da modesto ma convintissimo disfattista (in “pace” come in guerra), auspica il costituirsi di un associazionismo economico-rivendicativo non genericamente “vaffanculista” (facile preda per populisti e demagoghi 2.0 d’ogni genere e colore), ma refrattario a ogni discorso che ha «il bene generale del Paese» come proprio fondamento e orizzonte politico-sociale. Infatti, «il bene generale del Paese», o Bene Comune nella sua variante 2.0, è l’ideologia che cela gli interessi delle classi dominanti, presidiati con la carota e con il bastone da quello Stato cui il noto Comico auspica possa trovare nel suo Movimento un supplemento di palle.

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