Ieri
La guerra di Corea che deflagrò nel 1950 lungo il 38° parallelo e che si protrasse fino al 1953 apparve all’opinione pubblica e agli stessi analisti di politica internazionale di allora come la continuazione della Seconda carneficina mondiale, ovvero come il preludio a una Terza carneficina, la quale si prospettava ancora più terribile della precedente a causa della nuova arma “fine di mondo” messa a punto dalla scienza capitalistica: la bomba atomica. In realtà quella guerra si inscriveva soprattutto nel quadro della divisione imperialistica dell’Estremo Oriente tra le due potenze uscite vittoriose dal conflitto mondiale (Stati Uniti e Unione Sovietica), nel contesto dello storico declino delle vecchie potenze occidentali che per lungo tempo avevano dominato praticamente in esclusiva quell’area del mondo (Inghilterra e Francia), e della violenta rappresaglia contro le velleità imperialistiche del Giappone. Velleità, sia detto, non campate in aria ma fondate sugli interessi strategici e sulla potenza sociale (capitalistica) del Sol Levante.
La questione di Formosa e la guerra in Indocina erano le altre due grandi questioni che allora esprimevano la contesa imperialistica fra i due blocchi un tempo alleati contro il cosiddetto Asse del male – abbattuto, com’è noto, a furia di bombardamenti “convenzionali” e “non convenzionali” su città come Dresda, Roma, Tokio, Hiroshima, Nagasaki.
In Estremo Oriente le due Superpotenze saggiavano dunque i loro rapporti di forza e appalesavano le loro esigenze di espansione sistemica in quell’area lungo le canoniche direttrici economiche, politiche, militari, ideologiche. La competizione veniva tuttavia a intrecciarsi con il processo di indipendenza nazionale che nel secondo dopoguerra attraversò tutte le ex colonie occidentali e tutti i possedimenti giapponesi, e ciò complicò non poco l’insieme del quadro geopolitico e geosociale di quella regione. Interessi e politiche imperialistiche vennero infatti a stabilire intimi contatti con processi schiettamente progressivi (nazionali e democratico-borghesi: vedi la Cina di Mao) se considerati dalla prospettiva storica. Molte “avanguardie politiche” occidentali rimasero impigliate nella complessa e confusa rete degli interessi economici, politici e sociali che allora si stendeva su tutto l’Estremo Oriente, al punto da venir fagocitati sul piano della propaganda politico-ideologica dal ragno Sovietico, sponsor del famigerato movimento dei Partigiani della Pace. Ma su questo punto è meglio arrestarsi, per non andare troppo fuori tema.
Oggi
Sessant’anni dopo solo uno dei grandi protagonisti di allora è rimasto in piedi, sebbene logorato dal naturale processo di declino relativo che la storia riserva alle potenze mondiali: l’imperialismo americano. Al posto dell’Unione Sovietica, il cui sistema capitalistico era troppo poco produttivo e competitivo per reggere con successo la competizione totale con quello americano, troviamo la Cina, la nuova fabbrica del mondo, nonché potenza mondiale in inarrestabile ascesa. Naturalmente ciò non significa affatto che la Russia non abbia più alcuna proiezione imperialistica nel delicato scacchiere del Pacifico, sebbene le sue ambizioni oggi appaiono assai più modeste che ai “bei tempi” dell’Unione Sovietica. Ma veniamo alle ultime scottanti notizie.
Per Pyongyang sembra alla fine essere arrivato il «tempo della battaglia finale». Il Rodong Sinmun, il quotidiano del Partito dei lavoratori [sic!] nordcoreano, ha dichiarato la scorsa domenica che in seguito alle manovre militari congiunte tra Washington e Seul la Corea del Nord considera l’armistizio del 1953 con la Corea del Sud «completamente nullo da oggi». Le truppe ammassate lungo il famigerato 38° parallelo «aspettano solo l’ordine di attacco». L’inevitabile redde rationem bussa dunque alle porte del Sudest Asiatico?
D’atra parte, l’ex «Caro Leader» Kim Jong-il aveva dichiarato, qualche mese prima di raggiungere il Paradiso Comunista dell’Aldilà, che «a causa della sconsiderata politica bellica dei sud-coreani, non si tratta di guerra o pace nella regione coreana, ma di quando scoppierà la guerra», e aveva aggiunto, giusto per tranquillizzare i fratellastri sud-coreani, i cugini cinesi e gli odiati giapponesi, che la guerra «condurrà al confronto nucleare e non sarà circoscritta alla penisola coreana». Com’è noto, la sola fabbrica coreana davvero produttiva è quella del terrore: sociale (verso l’interno ) e nucleare (verso l’esterno), che ha consentito all’inquietante regime militare di Pyongyang di mantenersi a galla nonostante (?) l’estremo degrado economico, morale e psicologico della popolazione del Paese. Pare che il giovane leader Kim Jong-un sia di fatto ostaggio della “casta militare”, la quale da sempre è stata ostile a qualsiasi seppur timida e limitata «riforma economica», intesa quantomeno a frenare l’emorragia di cittadini nordcoreani che fuggono con tutti i mezzi possibili verso la Corea del Sud e verso la Cina.
«”È difficile insegnare qualcosa ai bambini quando muoiono di fame. Anche restare seduti al banco diventa difficile” racconta la maestra [fuggita dalla Corea del Nord nel 2012] al New York Times. Dopo esser rimasta senza un soldo, la donna ha deciso di abbandonare la Corea del Nord. Una notte si è così tuffata nelle acque gelate del fiume Tumen e con non poche difficoltà ha raggiunto la Cina. Affamata, zuppa d’acqua e con il terrore di esser scoperta dalle guardie sul confine, l’ex maestra ha infine trovato il coraggio di bussare a una porta per chiedere aiuto. Poco tempo dopo la donna si è potuta ricongiungere con alcuni parenti già in Cina. La vita per l’ex maestra vissuta per anni nella fame è cambiata notevolmente. Il cibo fortunatamente non manca, ma il desiderio di mangiare a volte sì. Oltre il confine, la donna ha lasciato molti affetti e i propri figli con i quali non può mettersi più in contatto» (Come si vive in Corea del Nord, Il Post, 10 giugno 2010). Inutile dire che chi riporta queste oscene menzogne borghesi è un pennivendolo al servizio dell’imperialismo occidentale e giapponese. Ovviamente sto parlando di me.
Quanto la situazione della Corea del Nord, sempre sul punto di esplodere in maniera catastrofica, sia diventata insostenibile anche per la Cina l’ha dimostrato, per ultimo, la violenta reazione di Pechino al test nucleare coreano del 12 febbraio scorso, condotto peraltro dalla macchina bellica coreana «in maniera sicura e perfetta». Il Socialismo Atomico di Pyongyang non terrorizza solo l’Occidente e i suoi alleati asiatici, ma anche il Socialismo «con caratteristiche cinesi», soprattutto adesso che Pechino sta cercando di implementare una politica friendly nei confronti della Corea del Sud in chiave antiamericana e, soprattutto, antigiapponese.
Per capire che cosa rappresenta la Cina per la scomoda “alleata” è sufficiente ricordare che la prima «è l’unico fornitore di energia (il 70%) e alimentari (dal 30% al 50%)» della seconda (Francesco Sisci, Il Sole 24 Ore, 13 febbraio 2013). Ma per adesso i «Cari leaders» nordcoreani non sembrano troppo impauriti dalla prospettiva di dure sanzioni cinesi, e continuano imperterriti a produrre terrore.
Scrive F. Sisci: «Pechino sta in questi giorni stravolgendo l’assetto tradizionale di politica estera in quello che è un radicale cambiamento della nuova guida del Paese sotto Xi Jinping. Il 6 febbraio il quotidiano Tempi Globali, di proprietà dell’editoriale del giornale ufficiale del partito (Quotidiano del popolo), aveva pubblicato un commento rivoluzionario: Pechino minacciava di rompere con la Corea del Nord, come fece con l’Urss negli anni ‘60, se Pyongyang fosse andata avanti con il suo esperimento nucleare. “Alcuni (a Pechino Ndr) ritengono che Usa, Giappone e Corea del Sud usano delle provocazioni per minare i legami tra Cina e Corea del Nord. Questa provocazione forse è vera. Ma la Cina non può cadere in una nuova trappola per cercare di evitare questo tipo di trucco e finire per avere la sua politica nucleare in ostaggio della Corea del Nord”». E questo la dice lunga anche sul “dibattito” interno al regime cinese, alle prese con sfide globali e regionali sempre più impegnative, e comunque tali da mettere in sofferenza un assetto politico-istituzionale che appare sempre meno adeguato a rispondere con la necessaria rapidità ai mutamenti intervenuti negli ultimi anni nella società cinese e nello scenario internazionale.
A proposito di Apocalisse Nucleare: il guru Casaleggio non aveva fatto la data del 2020 per la Terza – e trentennale – guerra mondiale? Vuoi vedere che gli Illuminati hanno anticipato i tempi per togliere i grillini dalla testa a certa gente? Ma che colpa abbiamo noi…
Pingback: PRESSIONI “UMANITARIE” SULL’INFERNO NORDCOREANO | Sebastiano Isaia