Pasquale Cicalese ha attinto dal bravo corrispondente da Pechino del Sole 24 Ore, Francesco Sisci, la notizia circa «un piano decennale 2013-2023 di 5 mila miliardi di euro finalizzato all’urbanizzazione di 400 milioni di persone in città medio piccole, dell’ordine di 1-2 milioni di abitanti»*, ed è rimasto senza parole. «Ti vengono in mente tante cose». Beninteso, tutte cose a dir poco elogiative nei confronti del Capitalismo con caratteristiche cinesi. Non è il solo occidentale a guardare con entusiasmo alla nuova fabbrica del mondo, cuore pulsante della produzione di quello che definisco plusvalore primario o basico, per distinguerlo da quello secondario o derivato, che il vecchio ubriacone di Treviri chiamava con maggiore rigore scientifico profitto o rendita, a seconda dei suoi beneficiari (capitale commerciale, capitale finanziario, proprietari terrieri, ecc.).
D’altra parte, il successo del Capitalismo cinese è incontestabile: «Negli ultimi 10 anni, l’economia cinese è cresciuta del 150% diventando la seconda al mondo per grandezza (era la sesta). Il pil pro capite si è quasi quintuplicato, crescendo dai 1.135 ai 5.432 dollari l’anno. Oggi la Cina è il primo paese esportatore e il secondo paese importatore nel mondo. Nel 2010 la Cina è diventata il terzo azionista della Banca Mondiale e il terzo contribuente del Fondo Monetario Internazionale. Nel 2011, la Cina è diventata la seconda economia del mondo, superando il Giappone». Così Ding Wei, ambasciatore della RPC in Italia (Limes, 9 gennaio 2013). Queste cifre e queste date ci raccontano «una nuova lunga marcia» davvero strabiliante, tanto più se confrontata con l’arrancante e infiacchito passo del Capitalismo occidentale, ancora impaludato dentro una dura crisi sistemica.
Ma «lunga marcia» verso quale direzione? Su questo punto naturalmente l’ambasciatore Wei ha le idee molto chiare: la Cina si muove «lungo la strada del socialismo con caratteristiche cinesi», linea politica da ultimo ribadita dal diciottesimo Congresso del Partito (cosiddetto) Comunista Cinese, e che troverà nell’annuale adunanza del Congresso Nazionale del Popolo, il Parlamento con caratteristiche cinesi, una traduzione in termini di nomenclatura politica ai vertici del regime.
Sulla risposta “socialista” dell’ambasciatore cinese qualcuno poteva nutrire qualche seppur sbiadito dubbio? Non credo. E altrettanto scontata appare la conclusione del suo contributo politico alle buone relazioni sino-italiane: la Cina porterà avanti «una politica estera pacifica e indipendente. Continuando a percorrere il cammino dello sviluppo, la Cina continuerà a contribuire alla pace del mondo». Chi mi segue sa che a mio modesto parere è proprio nel “pacifico” sviluppo economico, il quale presuppone – e pone – il “pacifico” sfruttamento dei lavoratori, che insiste la base materiale (sociale) dell’Imperialismo, il quale esprime nella forma più sviluppata la guerra che il Capitale fa tutti i santi giorni ai salariati, e che in situazioni eccezionali (leggi alla voce crisi economico-sociale devastante) può tracimare nel massacro bellico. Come sempre nella storia, l’eccezione conduce direttamente all’essenza della regola, bypassando le mediazioni che nei tempi “normali” velano la radice del Male. Ma non scadiamo nella “teologia sociale”!
A mio avviso ha poco senso “scientifico” confrontare i ritmi nello sviluppo capitalistico di un Paese che ancora alla fine degli anni Settanta faceva parte dei cosiddetti Paesi in via di sviluppo, con quelli che caratterizzano i Paesi che da lungo tempo hanno conseguito la maturità capitalistica, per così dire, e che in grazia di ciò hanno generato i fenomeni caratteristici del Capitalismo altamente sviluppato, a partire dall’espansione delle attività speculative che cercano di drenare plusvalore primario senza passare attraverso il faticoso e periglioso processo di sfruttamento del lavoro vivo nelle imprese industriali.
A questo proposito mi viene in mente quanto scrisse Marx nel secondo libero del Capitale: «Il processo di produzione appare soltanto come termine medio inevitabile, come male necessario per far denaro. Tutte le Nazioni a produzione capitalistica vengono colte perciò periodicamente da una vertigine, nella quale vogliono fare denaro senza la mediazione del processo di produzione». Ricordo che per Marx il processo di produzione si identifica con il processo di valorizzazione del capitale investito, ossia con lo sfruttamento del lavoro vivo. Chi esalta “da sinistra” la vitale «economia reale» cinese, e la contrappone, con un’operazione ideologica infondata sotto ogni rispetto, alla «degenerata economia virtuale» occidentale farebbe bene a non dimenticare l’ABC di un pensiero che vuole essere critico. Lungi dall’essere «un nuovo modello di sviluppo delle forze produttive e di accumulazione che trascina con sé l’intero mercato mondiale», come sostiene Cicalese, quello cinese è un modello che aderisce interamente, senza residui di originalità, al paradigma e alla prassi dell’accumulazione capitalistica “classica” analizzata a suo tempo dal noto avvinazzato, povero di capitale ma ricchissimo di idee che consentono di comprendere la dinamica capitalistica nella Società-Mondo del XXI secolo. A cominciare dalla «vertigine» di cui sopra, che genera nella Scienza Economica 2.0 la mitica idea della Cornucopia, la quale esprime, al contempo, la potenza sociale del Capitale e il suo limite storico insuperabile: senza lo sfruttamento del lavoro vivo non si forma nemmeno la base di ricchezza su cui è possibile costruire il gigantesco edificio finanziario che riscalda i cuori di chi è alla ricerca di facili e pingui profitti. Chi non brama facili e pingui profitti è pregato di scagliare la prima pietra! La mia mano è netta di pietre, oltre che di capitali…
Scrivevo su un post sempre dedicato alla Cina – o, per l’esattezza, all’infatuazione “cinese” di non pochi intellettuali italiani: «Detto en passant, anche Stalin e, in seguito, Kruscev puntarono i riflettori della propaganda sugli altissimi tassi di sviluppo dell’industria russa per dimostrare la natura socialista dell’economia del Paese, e magnificarne la superiorità nei confronti dei competitori occidentali. Lungi dall’attestare la natura socialista della Russia stalinista, i mitici Piani Quinquennali ne testimoniavano piuttosto l’essenza capitalistica; essi raccontavano, a chi avesse orecchie per ascoltare la verità, il processo «di accumulazione originaria» in un Paese capitalisticamente arretrato e molto ambizioso sul terreno della contesa imperialistica, peraltro in ossequio alla tradizione Grande-Russa del Paese, così odiata dall’uomo che subì l’oltraggio della mummificazione – in tutti i sensi. Di qui l’opzione di politica economica tesa a orientare tutti gli sforzi della nazione verso la costruzione, a ritmi stachanovisti, di una potente industria pesante: più acciaio e meno burro! Com’è noto il burro non fa ingrassare gli arsenali» (L’imperialismo è la grande Cina).
A dimostrazione di come la stessa cosa può essere interpretata in due modi del tutto diversi, inconciliabili fa loro, Cicalese sostiene che «l’accumulazione dell’ultimo trentennio in Cina» è stata «caratterizzata da un vero e proprio “comunismo di guerra”»: «Forse non è socialismo, come tanti a sinistra pontificano, ma non c’è ombra di dubbio che, contrariamente agli occidentali, quella gente sa perfettamente come si utilizzano le leve per lo sviluppo delle forze produttive e per i processi di accumulazione che si diramano per tutto il mercato mondiale» (Il salario sociale globale di classe come meccanismo di accumulazione. Il caso Cina, Sinistrainrete, 12 marzo 2013). Detto che io certamente pontifico, ma non “da sinistra”, concludo dicendo che su un punto sono d’accordo con il socialista con caratteristiche italiane qui preso benevolmente di mira: il Capitale cinese eccelle nello sfruttamento degli individui e della natura. Di questo occorre dargli atto, se non altro per onestà intellettuale.
* «L’urbanizzazione della Cina potrà essere un importante motore per il rafforzamento ulteriore dei legami sinoeuropei», ha dichiarato Wu Hailong, ambasciatore cinese presso l’Unione Europea. Di qui la seguente conclusione di Claudio Landi, noto estimatore del Capitalismo made in Asia Orientale: «La Cina d’altra parte ritiene che Eurolandia sia un ottimo ambito regionale per i propri investimenti ed Eurolandia, in particolare la Germania, ha deciso di conquistare il mercato cinese. Morale, ci sono due potenze chiave del mondo del 21° secolo che puntano alla reciproca integrazione. Economica, per ora!» (Buongiorno Asia, 13 marzo 2013). Certo, per ora… Quanto ci piace la competizione capitalistica mondiale!
Ciao
Con Scienza Economica 2.0 alludi alle correnti di pensiero (borghese) che misconoscono o sottovalutano gli aspetti legati all’estrazione del plusvalore e il ruolo del lavoro vivo vampirizzato dalla logica capitalistica?
Esatto. A breve forse ritornerò più diffusamente sulla questione. Per adeso ti ringrazio e ti saluto. Ciao!
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