Ancora una volta appare vero che la storia del diritto internazionale è una storia del concetto di guerra (Carl Schmitt).
Dopo dieci anni di uso proficuo e sostanzialmente indiscriminato dei droni a stelle e strisce nei teatri di guerra («al terrorismo», si capisce…) di mezzo mondo, soprattutto negli Stati Uniti ci si interroga intorno all’eticità di questo uso e al suo rapporto (“ambiguo”?) con il diritto internazionale. «Le forze armate statunitensi li utilizzano ormai comunque, dovunque e contro chiunque. Un’escalation di omicidi selettivi di presunti guerriglieri e“terroristi” e di stragi “per errore” di civili, donne e bambini. Tra i maggiori strateghi delle guerre dei droni, il neodirettore della Cia John Brennan, benvoluto e corteggiato dal Presidente, poco stimato dalla società civile democratica Usa che ne chiede la rimozione dalla guida dell’onnipotente centrale d’intelligence» (Antonio Mazzeo, Droni. Frontiere tecnologiche, Mosaico di pace, n. 4-5, aprile-maggio 2013). Secondo uno studio del Bureau of Investigative Journalism «gli Usa tra il 2004 e il 2013 hanno compiuto più di 300 attacchi con i droni in Pakistan e una cinquantina in Yemen provocando oltre 3500 vittime. La maggioranza di queste missioni è avvenuta durante il mandato di Barack Obama» (Droni: licenza di uccidere?, ISPI, 24 maggio 2013).
Il Presidente Obama il 23 maggio scorso, nell’atteso «discorso sulla lotta al terrorismo e la sicurezza degli Stati Uniti», è stato costretto a dire qualcosa di “pacifista” e di politicamente corretto all’opinione pubblica americana, ma sostanzialmente egli ha difeso la strategia di «guerra al terrorismo» basata sulla tecnologia che ha nei droni solo l’ultimo miglio, per così dire, e certamente l’aspetto operativo più evidente ed efficace di una lunga catena tecnologica basata su quanto di meglio la tecno-scienza – capitalistica – è in grado di ammannirci. «I droni ci aiutano a salvare vite umane»: in brutale sintesi è questa la linea difensiva sfoggiata davanti alle telecamere dal Presidente più amato dai progressisti di mezzo mondo. Nulla di nuovo: alla fine della Seconda guerra mondiale l’uso dell’arma atomica contro il Giappone fu giustificato con la necessità di accelerare la fine della guerra e di salvare forse più di un milione di «vite umane». Per la pace e la salvezza delle «vite umane» l’Imperialismo (non solo quello americano, beninteso: dalle mie parti l’antiamericanismo non è di casa) è disposto a tutto, anche a sacrificare molte… «vite umane»…
Tra l’altro, come informa sempre Antonio Mazzeo, la Sicilia gioca un ruolo sempre più importante nella guerra 2.0: «Nell’assoluto disinteresse dei media e delle forze politiche e sociali, il Dipartimento della difesa ha dichiarato la grande base siciliana [Sigonella] capitale mondiale dei droni: entro il 2015 buona parte dei velivoli in dotazione ad aeronautica e marina militare opererà da Sigonella. Nella base funzionerà inoltre un grande centro di manutenzione e riparazione dei “Global Hawk” e dei droni killer tipo “Predator” e “Reaper”. Entro il 2017 diventerà pienamente operativo in Sicilia pure il programma Nato denominato Alliance Ground Surveillance (AGS) che punta a potenziare le capacità d’intelligence, sorveglianza e riconoscimento dei paesi dell’Alleanza atlantica». La geografia fisica, che alla luce del Mondo 2.0 connotato dallo spazio virtuale potrebbe apparire un dato residuale nelle scelte di politica militare, conserva la sua tradizionale pregnanza politico-strategica, tanto più se fecondata dalla tecno-scienza più avanzata. Sotto questo aspetto, la posizione geografica dell’isola italiana che si proietta verso l’Africa e il Vicino Oriente è davvero eccellente, e non solo dal punto di vista dell’Imperialismo americano.
Scrive Alessandro Turci su Aspenia: «In America insomma è finalmente uscito allo scoperto il dibattito su quella che P.W. Singer nel suo ultimo libro Wired for War definisce la guerra robotizzata. Uno scenario tecnologico estremo e non così lontano, che l’uomo e i governi rischiano di non saper controllare se la tecnica continuerà a mantenere il primato (o a giocare d’anticipo) sull’etica. È ciò che accade già oggi per i droni» (Il problema politico e giuridico dei droni, 30 marzo 2013). Qui siamo in pieno feticismo tecnologico: il pensiero coglie l’aspetto tecnologico del problema senza riuscire a penetrarne l’essenza sociale, ossia la natura capitalistica dei rapporti sociali vigenti. Al solito, si vede l’albero ma non la maligna foresta. E non si comprende che è chi domina, o comunque chi è davvero potente in un peculiare frangente storico, che definisce le parole e i concetti: ad esempio quelli impegnati a dar conto della «guerra giusta», o della «guerra al terrorismo», ovvero dell’«intervento umanitario», ma anche del Regime change, del Nation building, del Peacekeeping e così via. Caesar dominus et supra grammaticam.
Scriveva Carl Schmitt nel Dialogo sul nuovo spazio (1958), saggio dedicato alla corsa all’occupazione della stratosfera e degli spazi cosmici che vide confrontarsi USA e URSS durante la “guerra fredda”: «Colui il quale riuscirà ad imprigionare la tecnica scatenata, a domarla e immetterla in un ordinamento concreto, avrà dato una risposta all’appello del presente più di colui che cerchi con i mezzi di una tecnica scatenata di atterrare sulla luna o su marte. Il soggiogamento della tecnica scatenata, questo sarebbe ad esempio l’atto di un nuovo Ercole» (in C. Schmitt, Terra e mare, p. 108, Giuffrè, 1986). Atto assolutamente chimerico, ancorché erculeo, nel seno della società capitalistica, la quale ha nella tecno-scienza un formidabile strumento di dominio e di sfruttamento. Scatenata non è, in primo luogo, la tecnica, ma l’economia fondata sulla scientifica e quasi (?) maniacale ricerca del massimo profitto. È sul pianeta Umano che Ercole dovrà infine atterrare se vorrà padroneggiare con le mani e con la testa l’intera prassi sociale, l’intera sua esistenza. Cosa che oggi gli è preclusa.
È questa essenziale (radicale) mancanza di potere sulla nostra vita che ci rende non liberi, almeno per ciò che riguarda gli aspetti più importanti e decisivi della nostra esistenza; di qui il concetto di non-ancora-uomo chiamato a informare una lettura pienamente storica e sociale (fuori da ogni essenzialismo antropologico) della nostra attuale e potenziale condizione su questa terra. Lo spazio, per riprendere un fondamentale concetto schmittiano, più che Grande (Grossraum), dovrebbe essere piuttosto umano: è la mia personalissima visione “geopolitica” del Potere.
Secondo i critici dei droni la nuova tecnologia remota non uccide il nemico secondo le sacre leggi del diritto internazionale, piuttosto lo giustizia senza alcuna procedura legale. Per il vescovo Richard E. Paté, «L’omicidio mirato è, per definizione, altamente discriminatorio. La politica dell’amministrazione sembra estendere l’uso della forza letale contro attacchi presunti classificando senza alcun indugio tutti i maschi di una certa età come combattenti. Queste politiche moralmente inaccettabili sembrano violare la legge di guerra, il diritto internazionale sui diritti umani e le stesse norme morali». Signori, non c’è più la guerra di una volta! Ricordate quando le belle fortezze volanti scaricavano nel cuore delle città nemiche migliaia di bombe d’ogni tipo?
Scrivevo su un post del 5 maggio 2011 dedicato alla notizia dell’uccisione di Osama Bin Laden: «L’ambigua formula fare giustizia – o giustiziare – sembra essere stata coniata apposta per trarre in inganno le vittime della Giustizia. A diversi commentatori politici progressisti non è proprio andata giù la virile frase obamiana «Giustizia è stata fatta». Se l’avesse proferita un Repubblicano Reazionario (magari bianco e petroliere!), la cosa poteva anche spiegarsi, ma in bocca a un Presidente Democratico come Obama… Che scandalo! Anche perché sembra che le informazioni che hanno permesso di individuare il bunker dell’ex Nemico numero uno siano state estorte dalla Cia ad alcuni ospiti del lager di Guantanamo attraverso la tortura. Insomma, per questi critici di Obama il giustiziere, la liquidazione fisica di Osama ha significato la liquidazione dello Stato di Diritto, con annessi “Diritti Umani”. La mia tesi, che sviluppo nell’Angelo Nero, è che il Potere di torturare e giustiziare il Nemico non solo non contraddice lo Stato di Diritto e il concetto – non ideologico ma storico e sociale – di Giustizia, ma piuttosto lo conferma al massimo grado» (La giustizia sovrana può toccare Caino. Eccome!).
«Gli Stati Uniti dovrebbero avviare una discussione pubblica sull’uso dei veicoli aerei senza equipaggio (UAV), comunemente chiamati droni, al fine di formulare “una politica globale che sia migliore dal punto di vista morale e nello stesso tempo efficace sul fronte della lotta al terrorismo”. L’ha scritto il 17 maggio scorso il presidente della Commissione dei Vescovi statunitensi Giustizia e Pace in una lettera al consigliere di sicurezza nazionale Thomas Donilon e ai membri del Congresso, resa nota questa settimana» (Maria Teresa Pederiva, Vatican Insider, 26 maggio 2013). Qui regna l’ipocrisia, non la morale. Infatti, se vuoi il fine devi anche accettare i mezzi più efficaci per raggiungerlo: è bello baloccarsi con la “morale” e lasciare il lavoro sporco nelle mani della politica e dei militari! Certi discorsi “etici” sul Capitalismo e la guerra, un connubio inscindibile, mi ricordano quel tipo che voleva ingravidare la moglie, ma solo un pochino…
Una lotta contro l’impiego dei droni nella cosiddetta «guerra al terrorismo» centrata sul rispetto del Diritto Internazionale (la cui fonte è la potenza delle nazioni più forti) e dei «diritti umani» (un puro ossimoro, molto efficace sul piano politico-ideologico, nella società disumana) equivale a una completa accettazione dello status quo che rende necessarie le guerre, non importa se “legali” o no, se “giuste” o no.
Per concludere, ecco un altro esempio di feticismo robotico: «Giovedì 30 maggio, al Consiglio per i diritti umani di Ginevra, il relatore Chistof Heyns ha preso parola davanti all’assemblea per mettere in guardia i paesi dallo sviluppo di guerrieri robot. “In contesti particolari sarà impossibile per un robot guerriero riconoscere se una persona è ferita, se è una donna o un bambino inerme. E niente ci assicura che un robot sarà in grado di discernere tra un ordine legale e un ordine illegale”. È difficile immaginare che una macchina spedita dal futuro, proprio come nel film di James Cameron, possa rassicurarci con un metallico “no hay problema”» (da Gizmodo, 4 giugno 2013). Ma non si tratta di aggiornare «le tre leggi della robotica di Isaac Asimov», come suggerisce, in tono semiserio, l’autore dei passi citati: qui sono le bronzee leggi del Dominio capitalistico che bisogna superare, e non certo «riprogrammare».
Un’amica ha commentato il post su Facebook in questi termini:
«Ciao Sebastiano, esempi, nella storia, di comunità umane che hanno agito diversamente ce ne sono. Immaginare una comunità umana ventura che vada oltre l’ottica capitalistica è senz’altro legittimo, ma non si potrebbe farlo a partire da esperienze che già sono state? È chiaro che le culture sono figlie di peculiari rapporti sociali e che non sono estendibili ed oggettivabili, ma, mi chiedo, siamo talmente privi finanche di un passato al quale fare riferimento? Spero di essere stata chiara…».
Ecco la mia “risposta”
Mi permetto una breve riflessione di carattere generale. Detto che anch’io nutro molto interesse e anche molta ammirazione per non poche esperienze sociali del passato precapitalistico, non credo tuttavia che esse possano fornirci il “giusto” (umano) modello. Una volta Marx disse che «lo sviluppo delle forze produttive (in cui è già implicita l’esistenza empirica degli uomini sul piano della storia universale, invece che sul piano locale) è un presupposto pratico assolutamente necessario anche perché senza di esso si generalizzerebbe solo la MISERIA e quindi col BISOGNO ricomincerebbe anche il conflitto per il necessario e ritornerebbe per forza tutta la vecchia merda» (L’ideologia tedesca).
Molti hanno voluto leggere in queste parole una sorta di teleologica apologia del progresso, del tutto omogenea al pensiero progressista borghese di quel periodo (1845). Quanto infondata sia questa interpretazione lo si capisce leggendo i passi che seguono, tratti sempre dall’Ideologia tedesca: «Nella storia fino ad oggi trascorsa è certo un fatto empirico che i singoli individui, con l’allargarsi dell’attività sul piano storico universale, sono stati sempre asserviti a un potere a loro estraneo (oppressione che essi si sono rappresentati come un dispetto del cosiddetto spirito del mondo ecc.), a un potere che è diventato sempre più smisurato e che in ultima istanza si rivela come mercato mondiale». È quella che possiamo chiamare, mutuando Adorno e Horkheimer, dialettica del progresso, ovvero, qui mutuando Freud e abbracciando l’intera esistenza degli individui, il prezzo della Civiltà. Un prezzo assai salato, per la verità.
Penso che con il discorso sulla «merda» Marx abbia voluto dirci che solo mettendo gli individui al riparo dalla miseria, in atto oppure semplicemente incombente e sempre minacciosa, è possibile archiviare per sempre la maligna coazione a ripetere del Dominio – società classista, sfruttamento dell’uomo e della natura, esistenza dello Stato e via di seguito. Le stesse cosiddette comunità comuniste primitive conducevano un’esistenza talmente precaria e dipendente dalle «cieche leggi» della natura, che bastava davvero poco (una qualsiasi «avversità naturale») per farle degenerare in qualcos’altro ovvero per eliminarle dalla faccia della terra.
Come ho scritto in un post, «L’uomo è (storicamente e socialmente) tale nella misura in cui oppone resistenza, materiale e spirituale, alle cose, e non le subisce semplicemente e passivamente. L’uomo pone il mondo come una mediazione tra sé e l’ambiente circostante, e lo fa naturalmente, per così dire, prima che la cosa diventi oggetto della sua riflessione. Mediare significa comprendere, trasformare, padroneggiare, senza soluzione di continuità reale e concettuale. Medio, dunque esisto! L’uomo è la specie che pone la mediazione. Probabilmente è in questo porre la distanza tra sé e la natura, che ha reso possibile la straordinaria anomalia chiamata uomo, che va cercata la genesi del Male e la possibilità del suo definitivo annientamento». È, questa, una riflessione che sul piano etico si sforza di andare «al di là del bene e del male» canonizzati dal pensiero dominante.
Se c’è una strada che porta all’uomo, ed io penso che ci sia, ebbene penso che essa non vada cercata in un passato più o meno idealizzato, quanto piuttosto COSTRUITA (non “trovata”) nella dimensione del futuro – qui nell’accezione non cronologica di tempo fecondato dall’uomo.
“nell’accezione non cronologica di tempo fecondato dall’uomo”
ma allora la storia è la gestazione della Storia ? o forse non sarà neanche più Storia
ciao
Da
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