SOVRANISMO ECONOMICO E PROTEZIONISMO: LA GUERRA È SERVITA!

307_0958

Secondo Marx «Il sistema protezionistico fornisce al capitale di un paese le armi per poter sfidare i capitali degli altri paesi; esso accresce la forza di quel capitale di fronte a quello straniero» (K. Marx, I Protezionisti, i liberoscambisti e la classe lavoratrice). Le armi, appunto. Ecco perché associo spontaneamente, quasi pavlovianamente, il protezionismo all’elmetto militare: è più forte di me! Esagero? Può darsi. Poi mi capita di leggere passi come quelli che seguono e qualche inquietudine torna a bussare alla mia pavida coscienza:

«Mi era parso in origine che il Movimento 5 Stelle si proponesse di inserirsi in una lotta, in una battaglia tra capitali europei. L’orientamento sovranista contro l’euro, tendenzialmente protezionista, che Grillo e il M5S hanno evocato sembrava indicare che essi volessero entrare nella partita europea in una posizione di tutela dei capitali più fragili della periferia europea contro i capitali più forti della Germania e dei Paesi centrali. Questa strategia aveva degli elementi di novità, e potrebbe trovarsi nel tempo storico. Purtroppo. Dico purtroppo perché la situazione potrebbe precipitare. Invece il M5S sembra voglia alimentare il conflitto tra quei lavoratori che ancora godono di residue tutele e i lavoratori precari, anziché incunearsi nello scontro in atto tra capitali “centrali” e capitali “periferici” dell’eurozona» (Emiliano Brancaccio, Il decreto del Dire, fare, baciare). Non è forse il «tempo storico» saturo di contraddizioni e di violenza sistemica? Non stiamo forse assistendo in Europa e ovunque nel mondo a una lotta sempre più aspra per il Potere Totale?

La Guerra armata come continuazione della guerra sistemica (economica, tecnologica, scientifica, politica, ideologica, culturale) con altri mezzi è un concetto che ho appreso alla scuola elementare. La guerra, nel Capitalismo, è un dato sistemico – “strutturale”. La guerra sociale, nel Capitalismo, è permanente. Mettere insieme gli interessi dei lavoratori con gli interessi del Capitale, ancorché «fragile», «periferico» e sofferente sull’escrementizio terreno della «sovranità», significa disarmare i salariati, reclutarli nella guerra sistemica, sodomizzarli sull’altare degli interessi nazionali, rafforzare la loro già fin troppo lunga condizione di impotenza.

Sul piano della “dottrina” dico solo che chi non ha ancora capito come i capitali nazionali non siano che semplici nodi e snodi di una fitta rete sociale che nel XXI secolo ha la dimensione del nostro pianeta, mostra tutta la sua abissale indigenza concettuale, la quale non manca di trovare una puntuale e maligna espressione nella sfera del Politico.

Scrivevo su un post scritto l’estate scorsa dedicato ai Social-Sovranisti (acronimo: SS): «Nazionalismo economico e protezionismo: è il mantra dei sovranisti, di “destra” come di “sinistra” – questi ultimi, infatti, rinfacciano ai sinistri che non vogliono rompere con l’europeismo e con le politiche di austerity imposte dalla famigerata Troika transnazionale di collocarsi “più a destra” di molti “destri” dichiarati. È un vero peccato, a questo proposito, che il direttore del Giornale Sallusti, teorico di una guerra (politica, tanto per iniziare) contro “le manie egemoniche della Germania votata al Quarto Reich”, sia appunto un uomo di “destra”. Tuttavia, quando il “Bene Comune” (altrimenti detto Stato Nazionale, o Paese, o Patria) chiama, le distinzioni politiche tendono a evaporare, sotto la pressione delle scelte irrevocabili. Il Fascismo ha molto da insegnarci, il Nazismo ancor di più».

Brancaccio delinea con estrema chiarezza una posizione ultrareazionaria (nazionalista e imperialista), velenosissima per le classi subalterne, “periferiche” e “centrali”, e solo per questo la prendo di mira. L’economista napoletano ha qui un significato meramente sintomatico.

GUERRA E PASTA. Il solito disfattista!

GUERRA E PASTA. Il solito disfattista!

Come sempre nelle guerre tra capitali e tra Stati la sola via di salvezza per i dominati passa per l’acquisizione di un punto di vista autonomo, per la conquista di una posizione di classe ostile agli interessi del Capitale e del Leviatano posto a gendarme dello status quo che fa degli individui semplice «capitale umano», risorse economiche da mettere a profitto. I Social-Sovranisti diranno che questa posizione esprime una concezione non dialettica della dinamica sociale (per molti di costoro essere “dialettici” significa, ad esempio, appoggiare la Siria del massacratore Bashar al-Assad, o l’Iran in funzione anti-israeliana, ovvero il Venezuela, la Russia e la Cina in funzione antiamericana, ecc.), la quale tra l’altro farebbe “oggettivamente” gli interessi dei «capitali più forti della Germania e dei Paesi centrali». Tutto già sentito, visto e scontato. Dal 1914 in poi.

Vedi:
Sovranismo economico e protezionismo: la guerra è servita!
I sinistri presentimenti di un brillante economista

6 pensieri su “SOVRANISMO ECONOMICO E PROTEZIONISMO: LA GUERRA È SERVITA!

  1. Caro Isaia, questo tuo modo di declinare la questione è un po’ stalinista. Il sillogismo secondo il quale Sallusti è di destra, Brancaccio e Sallusti criticano l’Unione monetaria europea, e quindi anche Brancaccio sarebbe “di destra”, era tipico dei metodi falsificanti con cui gli stalinisti liquidavano la critica interna. Brancaccio in realtà ci dice che una precipitazione dell’Unione può condurre a sbocchi alternativi, di destra o di sinistra, a seconda di come sia gestita:

    http://www.emilianobrancaccio.it/2013/04/07/uscire-dalleuro-ce-modo-e-modo-2/

    E poi, definire Emiliano Brancaccio un “ultrareazionario” è semplicemente ridicolo. Brancaccio è perfino citato nei ringraziamenti del curatore al libro della rivoluzionaria Alexandra Kollontaj, “Largo all’eros alato”. Più libertario di così si muore. All’autore di questo post suggerisco di fare una critica più seria e documentata sulla questione, se ne è capace. Per provarci, può prendere il capitolo “Contro il liberoscambismo di sinistra” contenuto nel libro “L’austerità è di destra”, di Brancaccio.

    • Carissimo, non ho inteso fare di Brancaccio un “destro”. A mio modesto avviso “destra” e “sinistra”, come vengono comunemente declinati, si collocano sullo stesso terreno ultrareazionario, sono cioè entrambe prone agli interessi nazionali, che come ogni bimbo sa sono gli interessi della classe dominante, a volte solo di una fazione (nazionale o internazionale) di essa. Io piuttosto ne faccio una questione di classe, e per me Brancaccio si fa portatore di un punto di vista squisitamente capitalistico, oltre ogni ragionevole dubbio. Liberismo, anche nella sua versione “selvaggia”, e sovranismo, anche nella sua variante più di “sinistra” (statalismo), sono, sempre a mio sindacabile giudizio, le due escrementizie facce della stessa medaglia classista. La citazione di Sallusti non voleva affatto togliere al bravo economista la patente di sinistrorso e di marxista, con o senza le virgolette. Certamente lo scienziato sociale di cui si parla è di sinistra, io no. Per i concetti di “destra” e “sinistra” puoi leggere anche «DESTRA» O «SINISTRA»? SOTTO. MOLTO SOTTO! Ho letto il libro di Brancaccio che hai citato. Ne trovi traccia anche in questa mia risposta a un lettore:
      «Un cortese lettore del mio articolo sul sistema protezionistico dell’8 settembre ha scritto: “Sulle tesi di Brancaccio invito a leggere il capitolo Contro il liberoscambismo di sinistra, contenuto nel suo ultimo libro: L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa”. Suggerimento che ho raccolto con piacere.
      “L’ossimoro tentatore che intendiamo qui criticare è un altro: si tratta del “libero-scambismo di sinistra”, un concetto storicamente molto più radicato e insidioso, che opera all’interno di faglie logiche profonde, rinvenibili persino nel pensiero del Marx del 1848” (E. Brancaccio- M. Passarella, L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa, p. 104, Il Saggiatore, 2012). Che il Tizio di Treviri, anche nella versione datata qui proposta, nulla a che fare ha con le «faglie logiche profonde» di cui parlano gli autori si capisce a p. 108 dello stesso libro, dove giustamente si scrive che per “Marx, che protezionista non era, il libero scambio andava sostenuto per la sua forza devastatrice, per la sua capacità di agire da vettore della crisi, dello scontro sociale e della rivoluzione, che nel 1848 egli erroneamente considerava prossima”.
      In sostanza è quello che ho sostenuto anch’io. E molto opportunamente nel libro si ricorda la strumentalità della posizione liberoscambista di Marx, come mostra questo passo: “Per riassumere: nello stato attuale della società, che cosa è il libero scambio? È la libertà del capitale … Davvero è difficile comprendere la pretesa dei libero-scambisti, i quali immaginano che l’impiego più vantaggioso del capitale farà scomparire l’antagonismo fra i capitalisti industriali ed i lavoratori salariati. Al contrario, il risultato sarà che l’opposizione fra le due classi si delineerà più nettamente ancora” (K. Marx, Discorso sulla questione del libero scambio, Opere Marx-Engels, VI, p 480, Editori Riuniti, 1973). Per questo ho scritto che sarebbe ridicolo basare la sacrosanta lotta contro gli italici protezionisti sulla posizione “liberoscambista” sostenuta da Marx alla vigilia della rivoluzione industriale in Germania e nei paesi ancora capitalisticamente arretrati del Continente. Non senza aver notato la pregnanza teorica e politica della polemica antiprotezionista dell’uomo con la barba, le cui frecce critiche non smettono di colpire bersagli basati nel XXI secolo.
      Ne ricavo l’idea generale che accostare il comunista Tedesco ai D’Alema o ai Veltroni, oppure, sebbene su un altro versante politico-ideologico (di “sinistra radicale”), ai Bertinotti, ai Ferrero, ai Vendola ecc. sia sommamente comico.
      Nelle pagine del libro in questione facilmente si coglie lo sfondo teorico-politico dell’attacco al “liberoscambismo di sinistra”. Pur con i suoi limiti, si legge, il movimento di Seattle seppe affermare una feconda presa di posizione contro la globalizzazione capitalistica: “Al contrario, tra gli eredi del movimento operaio sembra prevalere da tempo una sorta di liberoscambismo acritico, talvolta addirittura apologetico” (pp. 106-107). A quale “movimento operaio” si fa riferimento? A quello egemonizzato a suo tempo dal PCI e dalla variopinta galassia “comunista” che in qualche modo alla storia di quel partito faceva riferimento, anche con forti accenti critici – come i figli che criticano un padre diventato troppo sedentario e incline ai compromessi. È proprio la natura comunista di questa storia che nego alla radice, sulla base di quanto detto sommariamente sopra a proposito dello stalinismo e del maoismo, i quali hanno grandemente segnato la vicenda del cosiddetto movimento operaio internazionale negli ultimi ottant’anni, un movimento tutto interno alle dinamiche sociali e politiche delle classi dominanti dei singoli Paesi come allo scontro interimperialistico: vedi guerra fredda. Per questo non posso che ridere quando leggo a p. 123 che “è giunto il tempo di elaborare il ‘lutto sovietico’”. Che tempismo!»
      Per adesso devo mettere un punto. Ringrazio per l’attenzione e saluto.

      • Scusa Isaia, ma una cosa è la critica comunista alle categorie del parlamentarismo borghese di “destra” e di “sinistra”, un’altra cosa è definire Brancaccio un “ultrareazionario”, che addosso a lui è un’etichetta semplicemente ridicola. Comunque, è chiaro che tu non ce l’hai mica solo con Brancaccio. Tu ce l’hai con tutto il Novecento, incluso Lenin. Vorresti ridare verginità a Marx, ma così lo seppellisci, mica lo fai risorgere. E’ un modo comodo e molto ingenuo di essere marxisti e comunisti. Anche perché, come lo stesso Brancaccio ci ricorda, Marx poteva pensare che il liberoscambismo avrebbe condotto alla lotta mondiale tra le classi, ma poi è arrivato il Novecento che ci ha mostrato una realtà ben più complessa. Il tuo tentativo di fare finta che Lenin e la categoria dell’imperialismo siano solo degli incidenti di percorso del marxismo è inconsistente e rischia, quello sì, di diventare un altro assist ultra-reazionario a favore dei padroni.

      • Carissimo, ti ringrazio nuovamente per l’attenzione, soprattutto perché critica. Non capisco quale frase o concetto ti abbiano indotto a pensare a una mia ostilità a tutto il novecento e a Lenin. A meno che tu non intenda alludere allo stalinismo, e lì hai ragione da vendere. Il Novecento della Sinistra Comunista internazionale, quella che già negli anni Venti denunciò l’isolamento e poi il completo tracollo della Rivoluzione d’Ottobre lo condivido in pieno. Sto parlando di Gorter, di Pannekoek, di Korsch, del “giovane Lukács” (quello di Storia e coscienza di classe, non quello passato a miglior vita con lo stalinismo), di Bordiga (sì, il “settario” fondatore del PC d’Italia) e di pochi altri ancora. Da Lenin e da questi «comunisti infantili» ho appreso il “supporto” teorico-politico che mi serve per criticare la posizione ultrareazionaria (ribadisco: nazionalista e imperialista) di Brancaccio. Ho definito ultrareazionaria QUELLA posizione, non l’intera produzione teorica e politica di Brancaccio. Della verginità dell’ubriacone di Treviri, poi, non m’importa un fico secco, e io stesso non mi definisco “marxista”, né “comunista”, soprattutto per non essere confuso con certi “marxisti” in circolazione. Certo, la realtà è molto complessa, ma non al punto di non permettermi di individuare una posizione teorica e politica completamente appiattita sugli interessi della classe dominante, o magari a quelli di una sola fazione di essa. D’altra parte, la guerra tra bande (o cosche) capitalistiche, nazionali e internazionali, è un dato normale. L’ABC della teoria critico-radicale, giusto un minimo sindacale, non mi manca. Naturalmente ognuno è libero di credere il contrario, ci mancherebbe!
        L’autonomia di classe è la sola bussola che conosco per orientarmi nella complessità. Posso sbagliarmi in quasi tutto, anzi è quasi certo che io sbagli; ma so per certo che la bussola in dotazione a Brancaccio è buona per orientarsi sul terreno dello scontro intercapitalistico, mentre a me interessa la lotta di classe contro il Capitalismo, nazionale, europeo e mondiale. Le «fasi tattiche», le lascio a quelli che la sanno più lunga di me.
        Rinnovo i ringraziamenti e saluto.

  2. Isaia, ma se uno si definisce “materialista dialettico”, come può dividere tattica e strategia? Brancaccio difende gli interessi della classe operaia nell’unico modo oggi concepibile: cercando di fare in modo che la crisi della globalizzazione capitalista sia intercettata dalle masse lavoratrici proprio per impedire che queste rimangano emarginate anche a causa della soggezione alla tua ideologia liberoscambista. Rimettere in gioco le masse è l’unico modo per impedire che la crisi della globalizzazione porti a una svolta che tu definisci “ultrareazionaria” e che io chiamo neofascista. Questo è ciò che spetta oggi a noi compagni, e Brancaccio ha il coraggio leninista e la freddezza materialista di metterlo in chiaro. Non è molto piacevole, ma chi resta a guardare con la puzza sotto il naso si rende complice di un ripiego fascista della Storia. Quanto al tempo della lotta di classe mondiale tra capitale e lavoro, se mai verrà, difficilmente lo vedremo tu e io.

    • Caro Roberto, la mia critica dei sostenitori del sovranismo economico, politico e culturale (vedi il mio ultimo post contro la miserabile «eccezione culturale» francese e continentale) non fa di me un sostenitore del liberoscambismo, e il tuo appunto non solo non mi offende, ma mi fa sorridere, e mi dice fino a che punto si possa arrivare con gli equivoci. Ma qui anche tu puoi rinfacciarmi la stessa cosa. Dalle mie insulari parti si dice: «La vita è bella perché è varia», ovvero equivoca. Sono contro la democrazia borghese, ma questo fa di me un quantomeno “oggettivo” sostenitore dell’ideologia fascista? Sono contro il massacratore di Damasco, ma non per questo parteggio per i cosiddetti “rivoluzionari” che lo vogliono decapitare, e tantomeno sostengo la “guerra umanitaria” degli imperialisti, a cominciare dall’imperialismo di casa nostra. Ripeto (ma gioverà?) quanto già scritto: «Sarebbe ridicolo basare la sacrosanta lotta contro gli italici protezionisti sulla posizione “liberoscambista” sostenuta da Marx alla vigilia della rivoluzione industriale in Germania e nei paesi ancora capitalisticamente arretrati del Continente. D’altra parte non si può notare la pregnanza teorica e politica della polemica antiprotezionista dell’uomo con la barba, le cui frecce critiche non smettono di colpire bersagli basati nel XXI secolo». C’è modo e modo di combattere la globalizzazione (causa ed effetti) e per «rimettere in gioco le masse»: ebbene, quello di Brancaccio non solo non è «l’unico modo», ma è il modo di giocare «le masse» al tavolo della contesa capitalistica mondiale. È ovvio che la prospettiva che propongo io oggi appare, ed è, estremamente difficile da percorrere, anche perché nel corso dei decenni lo stalinismo ha lavorato bene per conto del dominio capitalistico mondiale, gettando tanta cacca sulla stessa idea di comunismo. Ma, come diceva sempre il vecchio ubriacone, Hic Rhodus, hic salta! Il problema per me non è “incidere” qui e ora, ma COME “incidere”, in vista di che cosa. Scendere sul terreno della lotta intercapitalistica può dare a qualche ingenuo e sprovveduto militante “anticapitalista” l’illusione di “fare qualcosa”, di menare le mani, di muovere comunque le acque, di uscire dal mondo delle chiacchiere – dove abito io, è chiaro – e “fare la storia”. È anche di questo materiale umano che ha bisogno l’astuto Dominio. Le posizioni sovraniste e antieuro di Brancaccio in nessun modo aiutano la lotta degli operai né, tanto meno, la loro crescita politica. E adesso non dirmi che difendo “oggettivamente” l’euro e quant’altro! Scherzo, puoi dirlo, oltre che pensarlo: non mi offenderesti.
      Anche questa storia infinita (purtroppo ho sul groppone mezzo secolo di vita) del «ripiego fascista» puzza assai di vecchio, di già visto. La «nuova resistenza» la lascio comunque ai sacerdoti della Costituzione Italiana. A me interessa non il supposto «ripiego», ma la marcia disumana del Capitalismo in Italia e ovunque nel pianeta, non importa se in guisa “fascista” o “democratica”. Il concetto che a mio avviso deve far premio nella critica del Capitalismo del XXI secolo è quello, non politologico né sociologico, della natura sempre più totalitaria e disumana dei rapporti sociali capitalistici. È l’idea della globalizzazione come epoca della sussunzione totalitaria del pianeta sotto i rapporti sociali capitalistici che cerco di riempire di contenuti, con scarsi risultati, lo ammetto. Ma ci provo!
      Hai ragione: «la lotta di classe mondiale tra capitale e lavoro, se mai verrà, difficilmente la vedremo tu e io». Ma questa estrema difficoltà, che sono ben lungi dal minimizzare (anzi l’ho pure concettualizzata come tragedia dei nostri giorni: la liberazione dell’umanità sempre più vicina eppure sempre più lontana), non rende meno vera, urgente e gioiosa la lotta di chi vuole preparare il funerale del Capitalismo, in Italia, in Europa, nel mondo. È da questa prospettiva, che deve necessariamente apparire astratta e utopistica a chi si è abbeverato alle fonti della cosiddetta “sinistra storica” (parlo del PCI, in primis), che osservo le posizioni sovraniste di Brancaccio.
      Grazie per l’attenzione. Ciao!

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...