Per Casaleggio «La Rete rende possibili due estremi: la democrazia diretta con la partecipazione collettiva e l’accesso a un’informazione non mediata, oppure una neo-dittatura orwelliana in cui si crede di conoscere la verità e di essere liberi, mentre si ubbidisce inconsapevolmente a regole dettate da un’organizzazione superiore. Può essere che si affermino entrambi» (Intervista al Corriere della Sera, 23 giugno 2013). Qualcuno avverta il noto guru del marketing politico e della democrazia 3.0 che 1. la «democrazia diretta con la partecipazione collettiva e l’accesso a un’informazione non mediata» è una merce ideologica che già puzza di rancido lontano un miglio, e che 2. siamo già, e da tempo, nell’evocato scenario orwelliano. Anzi, siamo oltre quello scenario, perché la realtà capitalistica, così intimamente penetrata e fecondata dalla potenza tecno-scientifica, è in grado di far impallidire ogni più fervida immaginazione – alludo anche allo sterminio industriale chiamato Seconda guerra mondiale, un inferno che a detta di molti “esperti” ha fatto impallidire lo stesso Satana – mentre ha ringiovanito un Moloch in agonia.
Le recenti rivelazioni sul Grande Fratello a stelle e strisce si limitano a confermare quello che solo pochi ingenui non sapevano, e lo zelo con il quale tutti noi partecipiamo al Grande Evento mediatico che va in onda ogni secondo del giorno e della notte sul Web la dice lunga sulla nostra pessima condizione esistenziale. Siamo tutti presi nella e dalla Rete, e non sto parlando solo di tecnologia. Quando Casaleggio dice che esiste la possibilità che i «due estremi si affermino entrambi», in fondo egli mostra di intuire qualcosa di molto profondo che riguarda la dinamica sociale di questo tempo, anche se non ne comprende l’essenza storica e sociale. E difatti sostiene, come se fosse la cosa più desiderabile, bella e umana del mondo che «Il cittadino deve diventare istituzione». Qui è «l’utopia negativa» di 1984 che trova una puntuale conferma e un suo superamento, in direzione di una sempre più organica («biopolitica») integrazione degli individui nel meccanismo sociale. «Egli era riuscito vincitore su se medesimo. Amava il Grande Fratello».
Naturalmente «l’organizzazione superiore» di cui si tratta non ha niente a che fare con i poteri mondiali occulti di cui cianciano i complottisti e i cultori di Matrix: si tratta piuttosto, e “banalmente”, dell’organizzazione capitalistica. Meglio: dei vigenti rapporti sociali di dominio e di sfruttamento che reggono la Società-Mondo del XXI secolo. Per dirla con il barbuto di Treviri, si tratta di una vera e propria potenza sociale occulta, che agisce alle nostre spalle – evidentemente anche alle spalle dei guru più scafati –, nonostante siamo noi stessi a generarla tutti i santi giorni, semplicemente lavorando, acquistando, consumando, “relazionando”, in una sola parola: vivendo. Una demoniaca dialettica che i teorici della «trasparenza totale» a mezzo Internet non capiranno mai. Anche i teorici benecomunisti del marxiano General Intellect, interpretato ideologicamente come Potere e Contropotere – qui e ora –, mostrano di non saperla poi così lunga sul Capitalismo dei nostri “cognitivi” tempi.
«Gli individui sono sussunti alla produzione sociale, la quale esiste come un fatto a loro estraneo; ma la produzione sociale non è sussunta agli individui e da essi controllata come loro patrimonio comune. Niente può essere dunque più falso e insulso che presupporre, sulla base del valore di scambio, del denaro, il controllo degli individui associati sulla loro produzione globale» (K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, La Nuova Italia). E se gli individui non controllano la «loro produzione globale», la quale presuppone e genera sempre di nuovo peculiari rapporti sociali (espressi appunto nel valore di scambio e nel denaro), oltre che un mondo fatto di oggetti, di pensieri, di sentimenti; se essi non hanno potere sulla prassi che quotidianamente ne assicura l’esistenza (materiale e “spirituale”), è chiaro che parlare di libertà, di libera scelta, di trasparenza e quant’altro ha il significato di una maligna presa in giro, non importa se confezionata in buona o cattiva fede.
«Il capitalismo», dice il Nostro, «non è morto con internet ed è ovvio che lo sfrutti per ottenere il massimo di profitto, ma non credo che questa sia la tendenza nel lungo termine. In Rete le idee hanno un valore superiore al denaro. Il Movimento 5 Stelle ne è una prova». Diciamo che si tratta di una prova che convince solo quelli che sono già convinti. Per quanto riguarda la «tendenza nel lungo termine» possiamo dire, con Keynes, che essa non ci riguarda, almeno in quanto essere senzienti. D’altra parte, tutto quello che accade nel mondo “reale” e in quello cosiddetto “virtuale” ci dice che la dittatura del profitto non può che espandersi e radicalizzarsi.
In un saggio di Carlo Formenti del 2002 (Mercanti di futuro, Einaudi) ho trovato dei passi che forse aderiscono al fenomeno-Casaleggio: «L’arcipelago delle sturt-up, dal quale provengono le spinte più avanzate all’innovazione tecnologica e organizzativa, è terreno di coltura di ideologie non meno ambigue, oscillanti fra esaltazione neoliberista e nuove forme di cooperazione sociale […] L’utopia del marketing “politicamente corretto”, con il suo sforzo di conciliare relazioni sociali e mercato, riflette la pratica de quel pulviscolo di piccole-medie imprese che, per conquistare nicchie di mercato, hanno dovuto integrarsi con il variegato universo delle comunità virtuali». Praticamente una foto del nostro guru.