HOLODOMOR!

Un orrore del Capitalismo mondiale attribuito a un inesistente comunismo

ucrainaPareva di lontano che il braccio trasversale della croce fosse scomparso, fuso con quello verticale, e che la croce perciò si fosse trasformata in una spada acuminata e minacciosa. Ma non è spaventosa: tutto passerà. Sofferenze, tormenti, sangue, fame e violenza. Scomparirà la spada ed ecco: le stelle rimarranno, quando sulla terra non sarà rimasta neppure l’ombra dei nostri corpi e delle nostre opere. E non c’è nessuno che non lo sappia. E allora perché non vogliamo rivolgere il nostro sguardo alle stelle? Perché? (Michail Bulgakov, La guardia bianca, 1924).

img17023L’accumulazione capitalistica a tappe forzate non è un pranzo di gala!

Cercando informazioni sull’Ucraina, mi sono imbattuto in una strana parola: holodomor, e alla fine ho scoperto che ne conoscevo da tempo il concetto, il riferimento storico. In ucraino holodomor significa, pressappoco, strage da fame provocata dall’uomo, ma anche infliggere la morte mediante la fame. Il riferimento storico va dritto al cuore della micidiale stagione della collettivizzazione forzata nelle campagne russe, una delle pagine più nefaste dello stalinismo e, dunque, del Capitalismo mondiale, passata però alla storia come un’infamia del Comunismo. Chi legge le mie modeste cose sa che per me di Comunismo nel mondo (a cominciare dalla Russia di Stalin e dalla Cina di Mao) non ce n’è stato nemmeno un atomo, un grammo, un fiato, e che la grande sfida lanciata dal partito di Lenin nel 1917 al Capitalismo mondiale in alleanza (strategica) con il proletariato d’avanguardia occidentale e (tattica) con i contadini russi si infranse contro il muro della controrivoluzione interna (stalinismo) e internazionale (fascismo, ipnosi democratica, ristrutturazione capitalistica, ripresa economica, preparazione della seconda carneficina mondiale).

Scrive Paolo Rumiz: «Cancellate quel Pulitzer. Fatelo a tutti i costi. E non importa se fu dato nel lontano ‘32, o il premiato è morto da decenni. Qui c’è un “infame” da punire. Walter Duranty, corrispondente nella Mosca di Stalin per conto del New York Times. Troppo grave la sua colpa, dicono negli Usa. Non ha solo magnificato piani quinquennali, inneggiato a un dittatore, edulcorato purghe infami. Ha fatto di peggio. Ha liquidato come inesistente il deliberato sterminio dei contadini nel 1932-33, almeno sei milioni di morti per fame nella sola Ucraina. Tutto il grano sequestrato, fino all’ultimo chicco, per far crepare i “kulaki”, rei di opporsi alla collettivizzazione. Nel granaio d’Europa, le terre nere di leggendaria fertilità, morirono come mosche: 25 mila al giorno. Diciassette al minuto, una frequenza quadrupla che nell’ecatombe di Verdun. L’assassinio tramite requisizione di cibo non s’era mai visto nella storia dell’uomo, e l’Ucraina dovette inventare una parola nuova per descriverlo: Holodomor, strage da fame provocata dall’uomo. Fu orrendo. Un morto su tre era bambino o neonato. Le teste, le gambe, le pance si gonfiarono, divennero mostruose. I piccoli urlavano come animali, le madri scapparono di casa per non sentirli. Alcuni finirono vivi nelle fosse comuni. Furono sbarrate le città, perché gli operai non vedessero cosa accadeva ai contadini. Ma i contadini dovevano essere puniti, perché si opponevano all’imbroglio dei Kholkoz. Furono milioni di morti. Impossibile capire Kiev ignorando questo fatto. Impossibile, anche, capire perché una parte del Paese accolse Hitler come un liberatore» (La Repubblica, 31 ottobre 2003). Naturalmente Togliatti, che sapeva ogni cosa, fiancheggiò sempre il negazionismo staliniano.

Ancora Rumiz: «In quegli anni il capitalismo era troppo sconvolto dalla crisi del ‘29 per guardare ai malanni del comunismo [leggi capitalismo con caratteristiche russe]. E Roosevelt, appena eletto presidente, era impegnato a gestire il riconoscimento diplomatico dell’Urss e il suo ingresso nella Società delle Nazioni. Ricorda lo storico dell’Est Federigo Argentieri che i pochi scampati alla carestia, giunti negli Usa, si trovarono di fronte a “un muro di diffidenza e incredulità”. E che dire di Mussolini? Bombardato di lettere allarmate dal console Gradenigo di stanza a Kharkov, non disse nulla perché in quel momento flirtava con Mosca. Hitler, pure lui informato, tacque. Troppo impegnato, forse, nella presa del potere. Poi, dopo la guerra, venne il negazionismo dei comunisti occidentali. Inghilterra, Francia, Italia. Milioni di vittime ignorate per realpolitik». Capite ora perché parlo dell’holodomor come di un orrore del Capitalismo mondiale?

mdDGKQIA=--Adesso cito dal Libro Nero del Comunismo: «Nell’anno 1933, mentre milioni di contadini morivano di fame il governo sovietico continuava a vendere all’estero 18 milioni di quintali di grano per “le esigenze dell’industrializzazione”». Già sento l’indignata obiezione del sinistrorso: «Ma come, sciagurato, adesso citi anche la bibbia del berlusconismo? Non ti vergogni?» Ma neanche un po’! Per due motivi: in primo luogo perché, come non faccio che ripetere da anni, lo stalinismo è per me una pagina particolarmente odiosa del Libro Nero del Capitalismo, e in secondo luogo perché è dalla fine degli anni Settanta che denuncio i crimini dello stalinismo, e difatti per questa benemerita attività sono stato oggetto delle peggiori invettive da parte dei cosiddetti “compagni” già ai bei tempi del Movimento Studentesco. Magari è proprio il sinistrorso che mi critica che dovrebbe vergognarsi, soprattutto se oggi appoggia gli stalinisti ucraini, ossia l’ala dura della tendenza filorussa. Personalmente non faccio alcuna differenza tra filoeuropei, nazionalisti, fascisti e stalinisti: li vorrei mandare tutti a quel paese. Quale? Il solito!

COPERTINA Il mio giudizio sulla Nuova Politica Economica di Lenin e sulla teoria del «Socialismo in un solo paese» di Bucharin-Stalin si trova ne Lo scoglio e il mare, dal quale cito qualche passo a proposito della collettivizzazione:

«Scriveva Trotsky nel 1935, nell’introduzione alla seconda edizione inglese di Terrorismo e Comunismo (Sugarco, 1977): “Il nuovo corso politico avviato nel 1928 mise chiaramente in luce la dipendenza della burocrazia sovietica dalle basi economiche gettate dalla rivoluzione d’ottobre. Recalcitrante e di mala voglia, la burocrazia fu costretta a prendere la strada dell’industrializzazione e della collettivizzazione. Per la prima volta qui essa mise in luce le sconfinate possibilità produttive che sono il risultato necessario della concentrazione dei mezzi di produzione nelle mani dello Stato”. Qui dunque Trotsky rivendica la natura progressiva, in senso socialista, delle due misure capitali dello stalinismo: la collettivizzazione forzata delle imprese agricole e l’industrializzazione a tappe forzate basate sul capitalismo di Stato (egli esalta «i successi meravigliosi, anche se molto ineguali, del piano quinquennale»). Seguendo questa pista che lo conduceva direttamente alla capitolazione teorica e politica (cosa assai più grave della sconfitta politica, sempre recuperabile una volta che fossero mutate le circostanze), egli giunge a considerare “il sistema di Stalin […] la forma burocraticamente deformata di autodifesa adottata da un socialismo in via di sviluppo”. Per chi scrive, invece, “il sistema di Stalin” fu la forma storicamente necessaria (poste certe premesse) di un capitalismo in via di sviluppo. Due tesi affatto diverse». Un capitalismo, va detto, dalla fortissima vocazione imperiale (vedi il retaggio zarista), il che contribuisce a spiegare l’opzione per un’accumulazione a tappe forzate basata sull’industria pesante, la sola che potesse soddisfare le ambizioni di grande potenza mondiale che la Russia di Stalin legittimamente coltivava.

Essendo un “materialista storico” di vecchia scuola, quando parlo di Stalin non mi riferisco mai alla sua persona ma piuttosto alla tendenza storico-sociale che egli in qualche modo “incarnò”.

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20 pensieri su “HOLODOMOR!

  1. Da Facebook:

    FANTAPOLITICA!

    1. LETTERA DA (FIN TROPPO) LONTANO

    Ricevo e volentieri pubblico l’appello che segue firmato dal compagno Lenin in persona (diciamo in spirito):

    Appello urgente al proletariato ucraino e russo

    PROLETARI UCRAINI! PROLETARI RUSSI! NON ARMATEVI GLI UNI CONTRO GLI ALTRI PER SERVIRE GLI INTERESSI DI CHI VI SFRUTTA! LA DIFESA DELLA PATRIA È LA TOMBA DEI VOSTRI INTERESSI E DELLE VOSTRE SPERANZE DI EMANCIPAZIONE.

    PROLETARI UCRAINI! PROLETARI RUSSI! DISERTATE LA GUERRA TRA LE OPPOSTE FAZIONI CAPITALISTICHE E LE OPPOSTE POTENZE IMPERIALISTE! PREPARATE PIUTTOSTO LA GUERRA DI CLASSE, SCIOPERO DOPO SCIOPERO! VIVA L’INTERNAZIONALISMO PROLETARIO!

    Il compagno Lenin fa anche sapere che è contento quando in Ucraina abbattono una “sua” statua: «Sapeste quanto odio essere associato agli imperialisti gran-russi!».

    2. IL NAZIONALISMO SECONDO MARX

    «Il più alto slancio di eroismo di cui la vecchia società è ancora capace è la guerra nazionale; e oggi è dimostrato che questa è una semplice mistificazione governativa, la quale tende a ritardare la lotta delle classi e viene messa in disparte non appena la lotta di classe divampa in guerra civile. Il dominio di classe non è più capace di travestirsi con una uniforme nazionale; contro il proletariato i governi nazionali sono UNITI» (Karl Marx, La guerra civile in Francia).

    Purtroppo questa chiara coscienza di classe è andata perduta molto tempo fa, anche a causa di quei “marxisti” che si sono convertiti al Socialnazionalismo.

    3. TOLSTOJ E L’ASTRO MAESTOSO E STUPENDO

    «Centinaia di corpi di uomini insanguinati di fresco, due ore prima pieni di varie speranze e desideri, grandi e piccoli, giacevano, con le membra irrigidite, sulla valle fiorita ricoperta di rugiada, che separava il bastione dalla trincea, e sul pavimento liscio della cappella dei morti a Sebastopoli; centinaia di uomini con maledizioni e preghiere sulle labbra secche strisciavano, si contorcevano e gemevano, alcuni in mezzo ai cadaveri nella vallata fiorita, altri sulle barelle, sulle brande e sul pavimento insanguinato del posto di medicazione; eppure, nonostante questo, come anche nei giorni precedenti, sul monte Sapun si accese un lampo in lontananza, le stelle tremolanti impallidirono, una nebbiolina bianca sopraggiunse dal mare scuro e roboante; l’alba, rosseggiando, si accese all’orizzonte, le lunghe nuvolette purpuree si dispersero nell’orizzonte azzurro chiaro; nonostante questo spuntò, come anche nei giorni precedenti, l’astro maestoso e stupendo del sole, promettendo a tutto il mondo che tornava la vita, la gioia, l’amore e la felicità» (L. N. Tolstoj, I racconti di Sebastopoli).

    Quando capiremo che «l’astro maestoso e stupendo» che deve spuntare siamo noi stessi?

    S. I.

  2. Pingback: SULL’UCRAINA E NON SOLO | Sebastiano Isaia

  3. E’ uno splendido articolo, e splenditi sono le citazioni. A mio giudizio restano però prive di considerazione due realtà storiche. 1) Le stesse classi dei lavoratori e dei capitalisti esistenti nei diversi stati-nazione sono tra loro conflittuali, così ché la bandiera dell’internazionalismo é di fatto molto più menzognera di quella delle singole nazioni. 2) Tra i lavoratori dell’industria e quelli della terra, tra la falce ed il martello, il conflitto è stato e si profila ancora molto più insidioso e tragico di quello tra il capitale ed il lavoro. Lo sterminio dei Kulaki fu perpetrato in nome di un principio comunista : la soppressione della proprietà privata.

    • Ringrazio per il complimento, peraltro fin troppo generoso. Veniamo brevemente alle tue obiezioni.
      Per quanto riguarda l’internazionalismo, come per ogni altra espressione del pensiero delle classi dominate, ti cito per economia di pensiero l’ubriacone di Treviri, che peraltro in queste cose ne sa più di me:
      «Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi di produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi di produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante» (L’ideologia tedesca, Opere, V, p. 44, Editori Riuniti, 1972).
      L’internazionalismo, dunque, è una conquista, un obiettivo politico da conseguire contro l’ideologia dominante, e non qualcosa che sgorga spontaneamente dalle condizioni materiali del proletariato. Se la famosa coscienza di classe si producesse spontaneamente a partire da quelle condizioni, come potrebbe essere portato a credere un pensiero adialettico invischiato in un materialismo piuttosto volgare, probabilmente saremmo già da un pezzo dentro un’altra dimensione sociale.

      Scrivevo su un post di qualche mese fa:
      «In effetti, ciò che spontaneamente conquista i cuori dei salariati, i quali sono abituati a delegare sempre ad altri (dalla culla alla tomba, passando per scuole, uffici, ospedali, ecc.) le decisioni fondamentali che li riguardano, è un maligno connubio di nazionalismo e statalismo, ossia il desiderio di vivere un’esistenza magari modesta ma sicura e protetta nel seno della patria che li ospita fin dalla nascita, cioè a dire nella società capitalistica concepita come la sola comunità possibile. Questa condizione disumana mi ricorda i passi di Furore a proposito del carcere McAlester: «”E come ti trattavano a McAlester?” chiese Casy. “Mica male. Pasti regolari, biancheria di ricambio, ci sono perfino dei locali per fare il bagno. Per certi versi non si sta malaccio. L’unica cosa, si sente la mancanza di donne”. Scoppiò a ridere. “Ho conosciuto uno, anche lui in libertà vigilata, che s’è fatto rificcar dentro […] Aveva deciso di rientrar dentro dove almeno non c’era il rischio di saltare i pasti e dove c’erano anche certe comodità. Disse che fuori di lì si sentiva sperduto, dovendo oltretutto pensare sempre al domani”». Il carcere con annesse donne rappresentava la miserabile “utopia” del giovane Joad. Questo, tra l’altro, aiuta a capire la nostalgia per il Capitalismo di Stato che si riscontra in ampi strati proletari dell’Europa orientale che hanno conosciuto il carcere a cielo aperto chiamato «socialismo reale». Si tratta della nota sindrome del Si stava meglio quando si stava peggio, che fa capolino nel mondo dei perdenti a ogni brusca accelerazione del processo sociale» (Il mondo è rotondo).
      A proposito di carcere e di ideologia dominante, ti rimando anche al mio breve post di oggi.
      Per quanto riguardo il conflitto «tra i lavoratori dell’industria e quelli della terra, tra la falce ed il martello», non la penso come te, e peraltro già nel 1917 il rapporto tra le due classi si presentava in modo assai diverso che in Russia nei paesi a capitalismo avanzato. Come cerco di spiegare nel mio modesto lavoro sulla sconfitta dell’Ottobre (Lo scoglio e il mare), la grande ma arretrata campagna russa si rivelò, dialetticamente, un formidabile fattore di successo e un altrettanto formidabile fattore di insuccesso. La struttura sociale della Russia prerivoluzionaria e rivoluzionaria, e la dinamica della lotta di classe a essa associata, non possono venir prese, per l’essenziale, come modelli per capire ciò che allora avvenne in Occidente, e a fortiori non si prestano come modelli utili per comprendere la società del XXI secolo.

      La soppressione della proprietà privata non è affatto, in sé, un principio comunista, come invece ha sostenuto un «comunismo rozzo» che precede lo stesso stalinismo. Un’altra autocitazione:
      «Come ho spesso scritto, l’economia centralizzata e condotta dallo Stato concepita come «Socialismo» (o «Socialismo di Stato») è un classico dello statalismo più volgare, da Lassalle in poi, passando per Stalin, Mao e nipotini vari. Lo Stato come eccezionale strumento di accumulazione nella fase «originaria» o «primitiva» dello sviluppo capitalistico è un concetto che non riesce proprio a penetrare nella testa di chi è cresciuto a pane e statalismo di sinistra. Occorre farsene una ragione […] Sul piano dottrinario lo stalinismo fu debitore delle posizioni stataliste di Lassalle. Com’è noto, Marx aborrì di definirsi “marxista” soprattutto nel momento in cui il «socialismo di Stato» di Lassalle, ridicolizzato nelle potenti pagine della Critica al programma di Gotha (1875), iniziò a prendere il sopravvento persino nel movimento operaio tedesco, in teoria direttamente influenzato da lui e dal suo amico Engels. […] Com’è noto, Marx proponeva una sola monotematica ricetta: la lotta di classe rivoluzionaria, non in vista del Capitalismo di Stato, il quale nell’essenza non differisce un solo atomo dal Capitalismo «liberista-selvaggio» tanto esecrato dalla maggior parte degli epigoni di Marx, ma in vista del superamento del Capitale (pubblico e privato), del lavoro salariato, della merce, in una sola parola: dei vigenti rapporti sociali di dominio e di sfruttamento». È questo il «principio comunista» a cui mi attengo.

      Adesso il Moro Tedesco:
      «Il proletariato si servirà della sua supremazia politica per strappare alla borghesia, a poco a poco, tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, vale a dire del proletariato stesso organizzato in classe dominante» (Il Manifesto del partito comunista, Opere, VI, p. 505, Editori Riuniti, 1973). Per Marx lo Stato di “nuovo conio” che nasce sulle ceneri dello Stato borghese previa rivoluzione sociale (ossia saltando la noiosa routine elettorale…) non è uno Stato da tempi normali, né, ovviamente, è uno Stato borghese ancorché progressista («È degno della fantasia di Lassalle che si possa costruire con l’ausilio dello Stato una nuova società, come si costruisce una nuova ferrovia!»); esso è all’opposto qualcosa di assolutamente eccezionale e originale, una creazione mai vista nella storia, perché la sua funzione è quella di «svellere le basi economiche su cui riposa l’esistenza delle classi, e quindi il dominio di classe» (La guerra civile in Francia, p. 117, Newton, 1973), e con il dominio di classe ogni forma statuale. Lo Stato cui Marx fa riferimento è appunto il «proletariato stesso organizzato in classe dominante», è la «dittatura rivoluzionaria del proletariato», è insomma qualcosa di inconcepibile al di là di un sommovimento rivoluzionario della società, di un processo sociale che ha come obiettivo non la soppressione della proprietà privata in vista della proprietà statale dei mezzi di produzione e di distribuzione, ma il superamento di ogni forma di proprietà capitalistica.

      Questa è comunque la mia idea di rivoluzione sociale e di comunità umana, e se qualcuno dovesse dimostrarmi che il noto barbuto la pensava invece come Stalin, non ci starei un secondo a gettarlo nella mitica pattumiera della storia. Ancorché «devoto a Marx», come ha scritto di me un’amica con un’ironia che non tutti hanno capito, il mio obiettivo non è quello di difendere le sue concezioni, ma quello di elaborare un punto di vista autenticamente critico-radicale sul mondo, cosa che faccio partendo dalla mia interpretazione degli scritti marxiani. È infatti il mio «principio comunista», non quello di Marx, che intendo affermare. Come sai, non sono un marxista!

      Se è vero quello che tu sostieni, e cioè che «Lo sterminio dei Kulaki fu perpetrato in nome di un principio comunista: la soppressione della proprietà privata», significa che Stalin negli anni Trenta ripristinò quel “comunismo” che Lenin aveva abbandonato con la Nuova Politica Economica nel ‘21. E difatti molti bolscevichi della prima ora pensarono proprio questo, prima di finire anche loro nel tritacarne dell’accumulazione capitalistica a tappe forzate. In ogni caso, io mi tengo il nepista Vladimiro, checché!
      Ti ringrazio per l’attenzione, mi scuso per la lunghezza e ti saluto.

  4. Grazie per quanto mi scrivi (trovo sempre qualche cosa da apprendere). Mi perito così di confrontare il tuo “comunismo” (umano) con il mio “comunismo”(antropologico?).
    Un giorno nel 1944 (avevo 10 anni), dissi a papà, che ero un Comunista. Nel paesetto in collina dove eravamo sfollati, frequentavo quelli che si erano dati alla macchia ed avevo imparato a cantare con loro l’inno dell’internazionale comunista! Papà (sarebbe morto qualche mese dopo) mi disse soltanto: “attento: ci sono patrioti e ladriotti”.
    C’è tutta una letteratura ed una produzione artistica che inneggia al “comunismo”. Vi vedo la proiezione di un sentimento profondo dell’io, o se preferisci dell’essere, che ci fa sentire un “noi”, e che aspira da una fraternità universale (nel particolare la fraternità si rispecchia fin dalle origini purtroppo in quella di Caino ed Abele). In questo senso (universale) io sono restato un comunista ed ogni uomo penso che sia nel profondo di sé un comunista. Forse potremmo scrivere : “perché non possiamo non dirci comunisti”. In fondo Marx è colui, mi pare, che ha dato a questa aspirazione una prospettiva storicistica ed ideologica.
    Sono purtroppo i conti con la storia a dirci che l’utopia è rimasta a livello di puro e, purtroppo astratto, ideale, che anzi è tutta l’impostazione ideologica a naufragare: un catechismo anticapitalistico che con tutta ragione Nitzsche butta nel cestino dei rifiuti, aprendo peraltro la strada ad un disumanesimo integrale.
    Ti confesso questi pensieri perché penso che ti professino anche tutta la mia simpatia. Una simpatia che mi porta anche a farti una domanda su un dato storico che il tuo articolo ha risvegliato, e che da te e dal tuo ricchissimo archivio può forse avere una documentata risposta (non cogliervi una maligna allusione: io benedico il popolo eletto di cui mi sento anche figlio, ed ho una profonda nostalgia per il mondo agricolo che abbiamo sconvolto): kibbutz e Kolchoz (a prescindere dalla comune base socialista) hanno una specifica derivazione ebraica? I figli dei profeti hanno sempre ben impiegato il loro intelletto! E per me: “Isaia docet”. Vale!

    • Per adesso ho giusto il tempo per ringraziarti della bella riflessione e per il credito, ancorché giustamente condizionato e critico, che continui a concedermi. Buona giornata. Ciao!

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