BLACK SITES USA, DIRITTI UMANI E BENALTRISMO

Guantanamo-Bay-007Scrive Alessandro Mauceri su Notizie Geopolitiche (4 aprile): «Nel 2009 Obama promise di chiudere i black sites, ma da allora pare che poco o nulla sia cambiato né per quanto riguarda questi luoghi di detenzione né per quanto riguarda le “tecniche rafforzate” adottate. La verità è che, come sempre, le promesse fatte durante le elezioni sono poi rimaste solo parole al vento. Così è stato per Guantanámo e per gli altri centri di tortura degli Stati Uniti [..] Dei black sites si è tornato a parlare solo grazie alla pubblicazione da parte del quotidiano The Washington Post, di un rapporto in 6.300 pagine stilato dalla commissione Servizi Segreti del Senato federale, ufficialmente top secret. In questo rapporto si parlerebbe anche delle tecniche adottate dai “paladini dei diritti umani” statunitensi. Tecniche come costringere i detenuti a rimanere a lungo immersi in vasconi colmi di acqua ghiacciata oppure il ben più noto waterboarding, l’annegamento controllato (che prevede di riversare acqua nelle vie respiratorie del recluso). Questi moderni sistemi di tortura, perché di questo si tratta in definitiva e nient’altro, sono spesso eufemisticamente definiti «tecniche rafforzate d’interrogatorio» sarebbero, in qualche caso ed entro certi limiti, ufficialmente approvati dal Pentagono. Il problema potrebbe sembrare un mero cavillo legale, ma non è così. Fino a che punto enti come la Cia sono autorizzati a ricorrere ad autentiche torture? È sufficiente dire che “informazioni cruciali” non si potrebbero raccogliere altrimenti, per autorizzare di fatto la tortura di altri esseri umani?». A quanto pare sì. La risposta, ancorché cinica, è innanzitutto realistica, si fonda cioè sull’esperienza degli ultimi… secoli.

Chi intende approcciare la scottante questione qui presa a oggetto senza smottare nell’inutile piagnisteo politically correct o nell’insulsa ideologia pacifista (peraltro sempre incline a trasformarsi nel suo contrario al momento opportuno) deve prendere atto di questa realtà. Viceversa, si corre sempre di nuovo, a cadenza regolare, il rischio di scoprire che «ancora» nel XXI secolo ciò che decide del nostro destino è la forza, è un gioco di potere che si consuma interamente sopra le nostre teste, dietro le nostre spalle. Certo, “il sistema” ci concede la “libertà” di indignarci, e perfino di pretendere, attraverso manifestazioni, petizioni ed elezioni, «un mondo più giusto», ossia un inferno più a “misura d’uomo”. D’altra parte, pretendere ciò che questo mondo imperfetto non può offrire significa entrare nel cul de sac dell’utopia, che non a caso fa rima con follia. Ma se lacerare il sacco del Dominio è un’impresa folle, forse occorre che scriviamo un Elogio della follia 2.0, piuttosto che acconciarci al meno peggio, che poi prepara puntualmente il peggio possibile. Insomma, «abbiamo elogiato la Follia, ma non proprio da folli»; piuttosto da umanisti, se mi è concesso esprimermi secondo un gergo da tempo pensionato.

Enduring Freedom«Il vero problema forse è che oggi alcuni Paesi arrivano a considerare “eticamente accettabile” che una superpotenza utilizzi, e non da ora ma da decenni, ogni mezzo per sovvertire il sistema politico di un altro Paese o per raggiungere certi obiettivi di conquista economica. E anche quando ciò non viene visto come “politically correct” spesso si pensa che basti voltarsi dall’altra parte e far finta di non vedere, nascondendosi dietro una maschera di omertà e di garanti della “sovranità nazionale”». Il vero problema, a mio benaltristico avviso, è piuttosto l’esistenza del Capitalismo internazionale nella sua fase socialmente totalitaria, ossia nell’epoca della sussunzione TOTALE (o globale: sociale, spaziale, esistenziale) degli individui al Capitale. Cercare di mettere un freno alla violenza del Moloch attraverso leggi, convenzioni e dichiarazioni, non solo si rivela essere, decennio dopo decennio, uno sforzo inutile, tale da far impallidire un Sisifo, come peraltro denunciano le stesse Agenzie Umanitarie (laiche e religiose); ma a ben considerare questo atteggiamento è parte del problema, nella misura in cui inchioda la cosiddetta opinione pubblica mondiale al muro di chimeriche illusioni circa fantomatici diritti inalienabili dell’uomo puntualmente violati. Di più: violentati. Discorrere di «diritti umani» sorvolando sull’assenza della “materia prima”, cioè dell’umanità, di rapporti sociali umanamente orientati, significa fare dell’ideologia, e perfino dell’apologetica. Certo: un altro mondo è possibile. Ma questa possibilità nega in radice la vigente struttura classista del mondo, ossia il fondamento materiale che genera con stringente necessità la violenza sistemica (materiale, spirituale, psicologica, esistenziale) sugli individui e sulla natura. È su questo maligno fondamento sociale che si dà la competizione interimperialistica per il controllo del pianeta e la spartizione del bottino (capitali, mercati, materie prime, risorse energetiche, risorse “umane”, ecc.), ed è in questa coscienza che occorre individuare l’abisso concettuale che passa tra il punto di vista geopolitico* e quello critico-radicale – che io chiamo punto di vista umano.

È sufficiente riflettere sulla questione delle armi chimiche siriane per capire quanto cinico sia ogni sforzo “umanitario” centrato sugli Stati. Oltre 20 civili morti e decine di feriti: questo è il bilancio dell’esplosione di alcune bombe sganciate dall’esercito siriano su Aleppo lo scorso 4 aprile. Il bilancio complessivo del mattatoio siriano, dopo diversi anni dall’inizio della «guerra civile», parla di 140mila morti, di cui 50mila civili, tra i quali circa 8mila bambini e 5mila donne: una carneficina condotta a quanto pare con armi rigorosamente “convenzionali”. Le sostanze chimiche no, i “rimedi” meccanici, termici e atomici : qui rilevo una discriminazione tecno-scientifica bella e buona!

guatnamo_1346231f«Così [il Presidente degli Stati Uniti] potrà continuare con il MUOS in Sicilia, continuare a combattere su e giù per il mondo (celando vere e proprie guerre come “missioni di pace” Obama, che pure aveva promesso di finire le guerre cominciate dai Bush, oggi continua a inviare truppe su più fronti di tutti i suoi predecessori), continuare a sottoscrivere leggi e accordi internazionali per la pace nel mondo e per il rispetto dei diritti umani che poi ci si guarderà bene da rispettare, continuare a imporre le proprie scelte a popoli diversi, continuare a dislocare eserciti in molti Paesi» (A. Mauceri). Insomma, Obama potrà continuare a servire al meglio delle sue capacità la prima potenza capitalista (e quindi imperialista) del pianeta. Non vedo nulla di disdicevole in tutto questo, nulla che possa stuzzicare la mia indignazione, la quale è interamente mobilitata contro il Moloch capitalistico mondiale a prescindere da chi in un determinato momento lo serve e lo legittima sul piano ideologico e politico: democratico o repubblicano che sia, “socialista” con caratteri cinesi o con caratteri venezuelani, e così via. Mi sa che il buon Mauceri a suo tempo coltivò qualche illusione circa la «rivoluzione copernicana» promessa dal Democratico Obama. E son delusioni, lo capisco!

* Almeno nell’accezione mainstream del termine. La geopolitica volgare/apologetica (o semplicemente borghese) si limita a prendere atto della bilancia del potere internazionale, e ne descrive la mutevole fenomenologia (l’ascesa e il declino delle nazioni e delle grandi potenze è un classico concetto geopolitico, forse quello di maggior successo). Naturalmente essa offre molto materiale empirico e analitico alla riflessione del pensiero critico-radicale.

Leggi anche: Droni e diritto internazionale.

 

 

2 pensieri su “BLACK SITES USA, DIRITTI UMANI E BENALTRISMO

  1. Da Facebook:

    R. scrive: Finalmente hai postato un articolo, splendido per altro, in chiave anti USA, per la felicità di tutti quelli, e sono la stragrande maggioranza purtroppo, che identificano l’anti imperialismo militante con l’antiamericanismo. Ciao Sebastiano!

    Sebastiano Isaia: Troppo gentile, come sempre. Adesso mi tocca postarne uno in chiave anti israeliana, per mettere il sederino al riparo dalle accuse di filosionismo quantomeno “oggettivo”. Tanto più che il mio cognome – ma non il mio sangue: credetemi signori razzisti! – depone a mio sfavore. Che vitaccia! Ciao R.!

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