IO, LUI E LA «CERTEZZA DI SCIENZA»

stamadeoAppena ho finito di scrivere il post Io e la sinistra mi sono detto: «Vuoi vedere che adesso qualcuno mi inviterà a scrivere qualcosa della serie Io e la sinistra comunista* ?». È successo! In realtà è da tempo che diversi lettori del blog mi interrogano circa i miei rapporti con la Sinistra Comunista Italiana e/o Internazionale. «Sei un militante organico della Sinistra Comunista? Molte tue posizioni lasciano supporlo». La mia risposta è sempre stata chiara quanto, lo confesso, striminzita al limite dell’economia di pensiero: né organico né disorganico. Da più di vent’anni non sono un militante, né un simpatizzante/fiancheggiatore, della Sinistra Comunista in ogni sua possibile declinazione e configurazione.

Intendiamoci, non è mai stata mia intenzione essere reticente, né il mio passato di giovane ed entusiasta militante della Sinistra Comunista Italiana (prima in Programma Comunista, dal 1980, e poi in Combat, dalla sua nascita alla sua fine) mi ha mai creato il minimo imbarazzo, tutt’altro; il fatto è che oggi questa “pratica” è per me (e sottolineo: per me) priva di qualsiasi interesse, è un file da tempo archiviato. Ma le richieste, palesi e occulte, di chiarimento sono aumentate, e qua e là si è pure insinuato qualche equivoco, e d’altra parte, come si dice, il passato ritorna sempre, anche a dispetto della nostra volontà. E così mi sono risolto a scrivere queste quattro righe, giusto per soddisfare la curiosità dei lettori interessati alla mia “puntuale” collocazione politica, alla mia per così dire “rubricazione” partitica. Chi non coltiva questa futile curiosità è ovviamente dispensato dal proseguire nella lettura.

Siccome però il tema (Io e la Sinistra Comunista) è molto vasto, e so di non avere né la capacità né, ripeto, la voglia di sviscerarlo tutto, e per la verità nemmeno in una sua parte consistente, ho provato allora a tirare un solo filo, approfittando di una frase bordighiana, che peraltro conosco fin dalla mia “preistoria” politica, che ho trovato casualmente su Facebook, questa: «Nel comunismo, che non si è avuto ancora, ma che resta certezza di scienza, ecc.». Certezza di scienza: è il filo che intendo tirare. Più che un pomposo Io e la Sinistra Comunista, un più modesto Io, Lui e la «certezza di scienza».

79bf776de4e2b6b6c30aedf21891a150Il Comunismo (qui inteso come Comunità Umana): certezza scientifica o splendida possibilità? Due tesi a confronto.

Per Amadeo Bordiga il comunismo «non si è avuto ancora», tesi che naturalmente condivido al cento per cento, avendo chi scrive appreso anche dai suoi scritti (correva l’anno 1980) i primi veri rudimenti teorici e politici di un «marxismo autentico e non adulterato» dal veleno riformista-stalinista. Tuttavia, continua Bordiga in un breve, suggestivo e per molti aspetti condivisibile scritto del 1961 (A Janitzio la morte non fa paura), il comunismo «resta certezza di scienza». Qui invece nicchio, tentenno, titubo, e alla fine mi fermo su una posizione nettamente negativa: non concordo affatto con la tesi appena esposta. E rilancio con una domanda.

Il Comunismo: certezza scientifica, del genere delle certezze offerteci dalla scienza della natura (tipo: un corpo libero da vincoli cade sempre e necessariamente a terra a causa della forza di gravità), o piuttosto splendida possibilità radicata dialetticamente sul terreno del Dominio sociale capitalistico (e dunque su quello dell’intero processo storico che ci sta alle spalle)? Propendo decisamente per la seconda tesi. Di più: trovo che la prima tesi sia viziata da un ideologismo scientistico-teleologico che oltre a consegnarci una versione abbastanza volgare del materialismo (quello che definisco materialismo della materia o materialismo al quadrato), soprattutto non consente di fare i conti fino in fondo, teoricamente e politicamente, con la tragedia dei nostri tempi, una tragedia scritta dallo stalinismo, che ha screditato l’idea stessa di un’emancipazione integrale degli individui, e dal Capitale, che dall’ultimo serio tentativo rivoluzionario del XX secolo (alludo ovviamente alla Rivoluzione d’Ottobre e al vasto movimento sociale internazionale a essa collegato) si è enormemente potenziato, sotto tutti gli aspetti: materiali, spirituali, psicologici, esistenziali. Certo, crisi dopo crisi, guerre dopo guerre.

«Le sicure coordinate della rivoluzione comunista sono scritte, come soluzioni valide delle leggi dimostrate, nello spazio-tempo della Storia» (A. Bordiga, Relatività e determinismo – In morte di Albert Einstein, Sul filo del tempo, 1955). Questa tesi è paradigmatica della concezione del mondo che qui contesto e che non trova alcun punto in comune con la mia, e siccome per Bordiga «non si è in diritto di dichiararsi marxisti, e nemmeno materialisti storici, solo perché si accettano come bagaglio di partito tesi di dettaglio, riferite vuoi all’azione sindacale, vuoi alla tattica parlamentare, vuoi a questioni di razza, di religione, di cultura; ma si è sotto la stessa bandiera politica solo quando si crede in una stessa concezione dell’Universo, della Storia e del compito dell’Uomo in essa», ne ricavo l’idea che faccio bene a non dichiararmi marxista e a pensare che milito (idealmente, idealmente!) sotto una diversa bandiera politica. Sulla mia concezione filosofica rimando agli appunti di studio Il mondo come prassi sociale umana, scaricabile dal Blog. Non ho ancora potuto correggere il testo, e di ciò mi scuso con l’eventuale lettore. Anche il post Bisogno ontologico e punto di vista umano può dare utili indicazioni.

Per come la vedo io, solo nella sfera dei fenomeni maturali possiamo parlare con qualche fondamento teorico di «certezze scientifiche», e sempre con le dovute cautele critiche, per non scivolare nei dualismi e negli assolutismi materialistici del XVIII secolo, i quali peraltro trovano una certa eco anche in Engels (vedi una parte dell’Antidühring e la Dialettica della natura) e in Lenin (vedi Materialismo e empiriocriticismo, un testo che dal punto di vista “filosofico” fa registrare molti passi indietro rispetto al «materialismo nuovo» inaugurato da Marx con le Tesi su Feuerbach).

Già solo questo riferimento critico è sufficiente a stabilire la mia distanza dalla concezione materialistica di Bordiga, che proprio nell’impianto filosofico di Engels e Lenin ha il suo fondamento. Per questo a chi mi dà del bordighista solo perché sostengo la tesi circa la natura capitalistica della Russia di Stalin (e della Cina di Mao), o la tesi che afferma la natura imperialistica della Seconda guerra mondiale, Resistenza compresa, rispondo sorridendo che farebbe bene a non offendere coloro che legittimamente condividono l’essenza del pensiero bordighiano, concezione materialistica compresa, ovviamente.

D’altra parte, e come già detto, non solo non ho mai nascosto il mio passato di giovanissimo militante della Sinistra Comunista Italiana, ma l’ho sempre rivendicato come un eccellente retaggio, già solo per il fatto che mi ha evitato un sempre possibile destino stalinista. E non mi sembra roba da poco!

Ad altri questo può invece sembrare pochissimo (la Sinistra Comunista come prima, ma non ultima, scuola di formazione teorica e politica, come punto d’avvio di un percorso, ma non di approdo), se non addirittura risibile; ma per me le cose stanno esattamente così. Naturalmente rispetto chi milita nella vasta galassia della SC italiana e/o internazionale, e può anche darsi che la ragione stia interamente dalla sua parte: anche di questo non ho certezza di scienza! Non dico, col cantante, «lo scopriremo solo vivendo», perché ho l’impressione che la maledetta questione dei tempi militi contro la mia – e l’altrui – durata su questo pianeta. Ma non divaghiamo con considerazioni piccolo-borghesi: cosa rappresento io («io, io, io: maledetto io!») al cospetto dell’Universo e della storia passata, presente e futura dell’umanità? Nulla! Di questo ho certezza di scienza.

Sul punto in questione (certezza o possibilità?), concordo con quanto scrisse il giovane Lukács nel 1919: «Qui, per la natura stessa del problema, si può parlare solo di una possibilità. Non è concepibile una coscienza umana che per quanto riguarda la società sia capace di affermare con l’esattezza e con la sicurezza con cui l’astronomia determina l’apparizione di una cometa, che oggi è arrivata l’ora della realizzazione del socialismo. E tanto meno può esserci una scienza in grado di affermare: “Oggi non è ancora il momento, occorre aspettare, arriverà domani o solo fra due anni”. La scienza, la conoscenza possono solo indicare delle possibilità, e soltanto nell’ambito del possibile è possibile un agire morale responsabile, un vero agire umano. Ma per colui che coglie questa possibilità, non può esserci, se egli è un socialista, nessuna indecisione né esitazione» (Tattica e etica). La natura possibilistica, diciamo così, dei fatti sociali non postula affatto un atteggiamento indeciso ed esitante da parte del soggetto rivoluzione, il quale, se è veramente tale, vuole trasformare la potenza in atto, per dirla con Aristotele, e fa di questa volontà coltivata e difesa sempre di nuovo la sua stessa ragione di esistenza.

La sola certezza (non so se “scientifica” o di altro genere) che ci offre il mondo della storia e della società è la vigenza del Dominio e la possibilità del suo superamento rivoluzionario in vista della Comunità «degli uomini in quanto uomini».  Questa tensione dialettica, che cresce continuamente col crescere di entrambe le polarità (un dominio sempre più forte, una possibilità emancipativa sempre più negata e, al contempo, sempre più affermata sul piano oggettivo), realizza la contraddizione più potente e feconda di questa epoca storica, che è poi il fondamento stesso del soggetto rivoluzionario (oggi inesistente), la sua ragion d’essere, la sua conditio sine qua non.

La «certezza di scienza» sull’inevitabilità del comunismo può forse essere una tesi confortante; certamente è una tesi teoricamente infondata e politicamente sterile, perché non consente al pensiero critico-radicale (o rivoluzionario) di acquisire la postura più adeguata alla realtà, la quale purtroppo non consente alcuna illusione circa la supposta inevitabilità del comunismo. Il pensiero rivoluzionario non si nutre di pseudo certezze: esso si nutre piuttosto di verità, la quale il più delle volte racconta storie deprimenti a chi ha a cuore la liberazione dal Dominio. In questo preciso significato la verità è rivoluzionaria, ossia nel senso che solo nutrendosi di scomode e poco rassicuranti verità, solo non distogliendo neanche per un momento lo sguardo dall’abisso che oggi ci separa dalla Rivoluzione e dalla Liberazione il pensiero che vuole l’una e l’altra diventa adulto, conquista un punto di vista autenticamente critico-rivoluzionario, e rigetta ogni forma di ideologia.

Probabilmente la «certezza di scienza», per sintetizzare abbastanza brutalmente, e me ne scuso, l’impianto dottrinario bordighiano, ebbe un preciso significato politico-ideologico per chi visse in prima persona la catastrofe stalinista, e che su questa disastrata e sconfortante base si pose il titanico e impagabile compito di salvare il salvabile.  Anch’io mi sono giovato di questo straordinario lavoro che ha costituito, come dicevo, il mio solido punto di partenza. Poi sono andato avanti (ma altri potrebbero dire con piena legittimità indietro), e ho scoperto i limiti teorici e politici di quell’operazione, che ho cercato di superare hegelianamente, ossia criticando, emendando, scartando, conservando, rielaborando, attualizzando le mie conoscenze nel modo e con i risultati che tutti possono giudicare. Rimane molto, poco, niente della mia originaria esperienza? Francamente questo è un problema che non mi appassiona neanche un po’, mentre comprendo benissimo che possa intrigare chi sente il bisogno di appiccicarmi addosso qualche etichetta. Faccia pure, non me ne lamenterò!

Qualche epigono di Bordiga mi ha obiettato in passato che il mio «pessimismo potrebbe deprimere i compagni». Ho risposto che i comunisti non debbono rincuorare nessuno. D’altra parte, pessima (tragica) è la situazione, non certo chi si limita a denunciarla, e che nella fattispecie per carattere inclina più verso la macchietta che verso il tragico. A ben vedere, l’obiezione rivela una debolezza dottrinaria e politica celata maldestramente dietro frasi roboanti e muscolari che affettano un “ottimismo della rivoluzione” appiccicato con lo sputo, e quindi predisposto a cadere alla prima delusione, alla prima obiezione della storia. Come scriveva Max Horkheimer negli anni Trenta, «l’ottimismo dei proclami politici proviene oggi dalla disperazione».

Il carattere tragico dei nostri tempi dovrebbe costituire invece il centro dell’iniziativa teorico-politica di chi oggi si pone il problema del soggetto politico rivoluzionario. Non solo non ha senso – o ne ha uno pericolosamente ideologico – coltivare illusioni intorno all’inevitabile, ancorché non imminente, crollo del Capitalismo, o sull’astuzia del processo sociale che lavorerebbe “oggettivamente” per il Comunismo (la metafora della «vecchia talpa che scava» ridotta a ideologia), oppure sull’esistenza di un metafisico «Partito Storico»** che ci illumina dall’Alto dei Cieli; occorre piuttosto lanciare l’allarme sul fatto che la possibilità dell’emancipazione, che pure ci sorride da tutte le parti attraverso le mille contraddizioni di questa società (malattie psicosomatiche comprese), può sfuggirci per sempre dalle mani. È questa cattiva novella che il “profeta” del XXI secolo deve annunciare a chi, come si dice, ha orecchie per ascoltare. È questo tipo di militante che esige il punto di vista umano. A mio avviso, s’intende.

Mi rendo conto: questo non è pane per i denti di chi ricerca certezze di scienza. A chi vuole comprare questo tipo di mercanzia consiglio di non perdere tempo a rovistare nella mia bottega.

Finisco col «maledetto io». Uso di solito la prima persona singolare, così disprezzata da Bordiga (il quale, non dimentichiamolo, ebbe a che fare molto da vicino con il personalismo virile e ipnotico di un Mussolini e con il culto della personalità celebrato nella Chiesa stalinista), non solo perché sono un inguaribile individualista piccolo-borghese, ma soprattutto per mettere in chiaro agli occhi di chi “mi legge” la mia attuale solitudine politica. Ci tengo a mettere subito in chiaro che ciò che scrivo rappresenta e impegna (al massimo!) solo me. La cosa non mi piace per niente, mi si creda sulla parola, ma non posso nasconderla dietro un ambiguo plurale maiestatis. E scommetto che dopo questo post la solitudine di cui sopra ne uscirà riconfermata e rafforzata.

* Per Sinistra Comunista intendo la corrente marxista rivoluzionaria che in Europa si formò a “sinistra” della socialdemocrazia già prima del suo “tradimento” nell’agosto fatale 1914, e che negli anni Venti trovò una compiuta espressione organizzativa in alcuni dei partiti comunisti che aderirono alla Terza Internazionale. Lo stalinismo, che informò di sé anche quei partiti, “comunisti” ormai solo di nome, avrà proprio nella Sinistra Comunista il suo vero nemico.

** Proprio qualche giorno fa un lettore mi scriveva: «Ribattere i chiodi, riprendere il filo rosso, continuare il partito “storico” di Marx & Engels». Riporto la mia risposta per offrire altri spunti di riflessione.

A proposito di “partito storico”! Visto che se ne offre l’occasione, ecco una rapida ricostruzione “filologica” di quel concetto, giusto per arricchire la discussione, non certo per criticare chicchessia. Per quanto ne so Marx, che è all’origine di quel concetto, non ha parlato di «partito storico» ma piuttosto di «partito nel grande senso storico della parola», cioè «del partito che si forma dappertutto in modo naturale sul terreno della società moderna» (Lettera di Marx a F. Freiligrath del 29 febbraio 1860, Marx-Engels, XLI, pp. 530-536, E. R., 1973). Egli parlò in quei termini per cogliere due obiettivi politici allora di scottante attualità: chiamare gli ex compagni della Lega Comunista a difendere l’esperienza comunista del periodo 1848-52, e dissociarsi da qualsivoglia combriccola di rivoluzionari parolai che ancora vi si richiamavano, col solo risultato di screditarla e di mettere a rischio la stessa incolumità fisica dei “rivoluzionari seri” (gli amici di Marx e di Engels, beninteso), braccati dalla polizia di mezza Europa. «Dopo che la Lega nel novembre 1852 fu sciolta su mia proposta, io non ho mai più appartenuto né appartengo a qualsiasi associazione segreta o pubblica, e dunque il partito, in questo senso del tutto effimero, per me ha cessato di esistere da anni». Le due locuzioni: «partito nel grande senso storico della parola» (p. 536) e «partito in questo senso del tutto effimero» (p. 531), non devono suggerire l’idea che Marx intendesse teorizzare una sorta di Partito invisibile, metastorico, atemporale, in una sola parola metafisico. Un Partito che aspetterebbe tempi più propizi per incarnarsi in corpi profani. A mio avviso, per un verso Marx prese atto che il vecchio partito aveva esaurito la sua “spinta propulsiva”, la sua funzione storica («la Lega non fu altro che un episodio della storia del partito»), e invitava anche gli altri a prenderne atto; e per altro verso egli rivendicava indirettamente un grande fatto storico: il Partito Comunista di cui si parla nel noto Manifesto non fu una cometa passeggera, l’eccezionale quanto effimero prodotto di un altrettanto eccezionale ma fugace stagione di lotte politiche rivoluzionarie, bensì una permanente necessità che affonda le radici nel cuore stesso del dominio sociale borghese. Quando le condizioni lo renderanno possibile, esso si formerà «dappertutto in modo naturale». Oggi si possono nutrire dei fondati dubbi sul carattere «naturale» che il comunista di Treviri sembra attribuire al processo di formazione del «partito di classe», né d’altra parte si può astrarre dal clima generale della sua epoca per proiettarvi quello, alquanto freddino, della nostra. Ma non è questo, adesso, il punto in discussione. Non esiste insomma per Marx, e certamente per chi scrive, un «Partito Storico» appeso a un processo sociale declinato teleologicamente e deterministicamente, un Soggetto puro e incontaminato distinto ontologicamente dalla sua incarnazione «formale», ma la necessità storicamente data del «soggetto rivoluzionario» (qualunque sia il significato che vogliamo attribuirgli), la cui possibilità, aggiungo io sulla scorta «della società moderna» del XXI secolo, può anche rimanere indefinitamente allo stato di mera tendenza storica.

Confrontate la mia posizione con quella bordighista:

«Indubbiamente, nell’evoluzione che i partiti seguono, può contrapporsi il cammino dei partiti formali, che presenta continue inversioni ed alti e bassi, anche con precipizi rovinosi, al cammino ascendente del partito storico. Lo sforzo dei marxisti di sinistra è di operare sulla curva spezzata dei partiti contingenti per ricondurla alla curva continua ed armonica del partito storico. […] La Sinistra comunista ha sempre considerato che la sua lunga battaglia contro le tristi vicende contingenti dei partiti formali del proletariato si sia svolta affermando posizioni che in modo continuo ed armonico si concatenano sulla scia luminosa del partito storico, che va senza spezzarsi lungo gli anni ed i secoli, dalle prime affermazioni della nascente dottrina proletaria alla società futura, che noi ben conosciamo, in quanto abbiamo ben individuato i tessuti ed i gangli dell’esosa società presente che la rivoluzione dovrà travolgere»  (Tesi sul compito storico, l’azione e la struttura del partito, Il programma Comunista n. 14/1965).

9 pensieri su “IO, LUI E LA «CERTEZZA DI SCIENZA»

  1. Ciao Seba, sicuramente molto interessante conoscere un po’ “più in profondità” le tue – altre volte più lacunose – argomentazioni riguardo il tuo “dialetticamente contraddittorio” (si può dire?) rapporto col variegato mondo della Sinistra Comunista, italiana in particolare. Ciò che però – in un certo senso – mi lascia inaspettatamente perplessa (non volermene) è quella che mi appare essere una esasperata, direi, quanto infondata “semplificazione” che sembra voler ridurre – e in qualche modo “indurre”, magari inconsapevolmente, a far pensare che… – (e dunque, di fatto, appiattendole) le posizioni di questa qui genericamente citata Sinistra Comunista ad un bordighismo che invece, pur predominandovi, non la caratterizza affatto in modo univoco e indiscusso, anzi. Tanto da essere stato – come “complessiva” impostazione teorica e di conseguenza politica – proprio al centro di una delle più drammatiche, forse, “scissioni” operatasi proprio all’interno dell’area della stessa S. C. nei primi anni Cinquanta. In particolare centrata proprio su quella deturpazione (almeno a mio avviso) “scientista” dell’intero impianto marxiano, ereditata – come tu giustamente dici – da Engels e da “certo” Lenin filosofo. E dico “proprio”, perchè ovviamente non esclusivamente su di essa si consumò, malgrado io ritenga che le ulteriori motivazioni – di quella profonda scissione di allora – “principalmente” su quella impostazione teorica deturpante pressochè interamente si fondassero, da essa derivassero insomma, a dir poco conseguentemente. Condividendo in pieno la tua ottima critica allo “scientismo” di stampo bordighiano (e ancor peggio di quello degli epigoni), mi chiedo se tale profonda scissione – teorica prima ancora che politica e “organizzativa” – tu abbia avuto modo di approfondire meglio. Tutto qua.

  2. Buongiorno, sono un lettore poco più che sporadico di questo blog. Avrei desiderio di conoscere, se possibile, la ragione per cui “Materialismo e empiriocriticismo” è “un testo che dal punto di vista “filosofico” fa registrare molti passi indietro rispetto al «materialismo nuovo» inaugurata da Marx con le Tesi su Feuerbach”. Grazie.

  3. Egregio pensatore individuale della prassi sociale umana,
    il suo discorso su partito storico e partito formale sarebbe più completo se non avesse omesso un concetto fondamentale, espresso tra l’altro in una lettera di Marx a Engels, 18 maggio 1859: “Il nostro mandato di rappresentanti del partito proletario noi non l’abbiamo che da noi stessi. Ma esso è controfirmato dall’odio esclusivo e generale che tutte le frazioni del vecchio mondo e dei suoi partiti ci riservano”.

    In termini di metodo e filosofia del comunismo scientifico, trovo che tutta la sua incomprensione del marxismo si basi sul travisamento del rapporto tra oggetto e soggetto, pensiero ed essere. Lei interpreta la seconda tesi su Feurbach:
    «La questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva, non è questione teoretica bensì una questione pratica. Nella prassi l’uomo deve provare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà del pensiero – isolato dalla prassi – è una questione scolastica», come se per Marx non si potesse porre il problema della realtà del mondo e dell’universo prima dell’esistenza di un soggetto che si interroghi su questa realtà e oggettività. In realtà tale problema è ben illustrato da Engels nel Ludwig Feuerbach ed il punto di approdo della filosofia classica tedesca:
    “ Quale relazione passa tra le nostre idee del mondo che ne circonda e questo mondo stesso? È in grado il nostro pensiero di conoscere il mondo reale; possiamo noi nelle nostre rappresentazioni e nei nostri concetti del mondo reale avere una immagine fedele della realtà? Questa questione si chiama, nel linguaggio filosofico, questione dell’identità dell’essere e del pensiero, e l’immensa maggioranza dei filosofi risponde ad essa in modo affermativo. Per Hegel, per esempio, questa risposta affermativa si comprende da sé, perché ciò che noi conosciamo del mondo reale è precisamente il suo contenuto ideale, ciò che fa del mondo una realizzazione progressiva dell’idea assoluta, la quale idea assoluta è esistita in qualche parte dall’eternità, prima del mondo e indipendentemente da esso. È senz’altro evidente che il pensiero può conoscere un contenuto il quale è già, preventivamente, un contenuto ideale. È altrettanto evidente che ciò che si deve provare è già contenuto qui, tacitamente, nelle premesse. Questo però non impedisce menomamente a Hegel di trarre dalla sua dimostrazione dell’identità del pensiero e dell’essere la conclusione ulteriore che la sua filosofia, essendo giusta pel suo pensiero, è ormai anche la sola giusta, e che affinché l’identità del pensiero e dell’essere venga mantenuta, l’umanità deve immediatamente tradurre la sua filosofia dalla teoria nella pratica e foggiare il mondo intero secondo i principi hegeliani. Si tratta d’una illusione, ch’egli condivide su per giù con tutti i filosofi.
    Esiste però anche una schiera di altri filosofi, i quali contestano la possibilità di una conoscenza del mondo, o almeno di una conoscenza esauriente di esso. Tra i moderni, appartengono a questa schiera Hume e Kant, che hanno avuto una parte molto importante nello svolgimento della filosofia. L’essenziale per la confutazione di questa concezione è già stato detto da Hegel, nella misura in cui si poteva farlo da un punto di vista idealistico. Ciò che Feuerbach ha aggiunto da un punto di vista materialistico è più ingegnoso che profondo. La confutazione più decisiva di questa ubbìa filosofica, come del resto di tutte le altre, è data dalla pratica, particolarmente dall’esperimento e dall’industria. Se possiamo dimostrare che la nostra comprensione di un dato fenomeno naturale è giusta, creandolo noi stessi, producendolo dalle sue condizioni e, quel che più conta, facendolo servire ai nostri fini, l’inafferrabile «cosa in sé» di Kant è finita. Le sostanze chimiche che si formano negli organismi animali e vegetali restarono «cose in sé» fino a che la chimica organica non si mise a prepararle l’una dopo l’altra; quando ciò avvenne, la «cosa in sé» si trasformò in una cosa per noi, come per esempio l’alizarina, materia colorante della garanza, che noi ricaviamo più dalle radici della garanza coltivata nei campi, ma molto più a buon mercato e in modo più semplice dal catrame di carbone. Il sistema solare di Copernico fu per tre secoli un’ipotesi, su cui vi era da scommettere cento, mille, diecimila contro uno, ma pur sempre un’ipotesi. Quando però Leverrier, con i dati ottenuti grazie a quel sistema, non solo dimostrò che doveva esistere un altro pianeta[9] , ignoto fino a quel tempo, ma calcolò pure in modo esatto il posto occupato da quel pianeta nello spazio celeste e quando, in seguito, Galle lo scoprì, il sistema copernicano era provato. Se, ciò nonostante, i neokantiani si sforzano di dare una nuova vita in Germania alla concezione kantiana, e gli agnostici di dare una nuova vita alla concezione di Hume in Inghilterra (dove essa non era mai scomparsa del tutto), ciò rappresenta per la scienza, rispetto alla confutazione teorica e pratica che da tempo queste concezioni avevano ricevuto, un passo addietro, e in pratica è un modo vergognoso di accettare il materialismo di sottomano, pur rinnegandolo pubblicamente”
    Inoltre lei si pone sullo stesso piano di Feurbach nel rigettare il materialismo tout court solo perché rifiuta il materialismo meccanico e metafisico. Lei insiste sull’aspetto di coscienza e non vede come il comunismo scientifico – anche con Engels e Lenin, che lei non riconosce come esponenti dello stesso unico partito di Marx e difensori della ortodossia marxista – non trascura e non ignora la coscienza e la volontà degli individui, ma spiega il rapporto tra coscienza e volontà, sociali ed individuali, in rapporto dialettico con la base oggettiva materiale.

    In conclusione, non esiste una prassi sociale umana, o meglio non esiste ancora. Esistite, concretamente, una prassi sociale di classe, ed esisterà una prassi sociale umana solo nel comunismo.

    • La ringrazio per la sua pregevole, ancorché da me non condivisibile negli aspetti essenziali, riflessione. Una sola precisazione: per «prassi sociale umana» intendo la prassi sociale degli uomini in contesti storici e sociali peculiari. Oggi tale prassi è dominata, in modo sempre più esteso, stringente e capillare, dal rapporto sociale di dominio e di sfruttamento capitalistico. Per il resto, non ho che da rinviare chi legge ai miei diversi scritti “politico-filosofici” scaricabili da questo modestissimo blog. La ringrazio nuovamente e la saluto. Buon anno nuovo!

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