A Massimo Fini non manca certo il dono della chiarezza, che egli ama spingere fino a quella franca brutalità antioccidentale che l’ha reso celebre: «Se devo scegliere in questa guerra degli orrori scelgo quelli dell’Isis». Ma il punto, a mio avviso, è che dobbiamo rifiutare radicalmente questa vera e propria alternativa del Dominio, proprio per non alimentare l’orrore di una carneficina mettendoci, anche solo idealmente, al servizio degli interessi che fanno capo a uno dei suoi macellai, non importa se in guisa di «esercito regolare» (magari targato ONU), di «terrorista» o di «guerrigliero».
«Colpisce la ferocia dell’Isis ma non è più nobile uccidere sparando missili. L’unica differenza è che nel secondo caso non si vede la strage. Nel primo, invece, la testa mozzata fa orrore. […] Noi siamo quelli regolari, i nostri nemici, invece, sono sempre terroristi. Questa è la forma che ha assunto il razzismo in quest’epoca: l’idea che esista una cultura superiore, la nostra». Ai miei occhi Fini sfonda una porta da sempre spalancata quando svela l’ipocrisia dell’Imperialismo occidentale (Stati Uniti e Unione europea), il quale, com’è noto, ama presentare la sua disumana prassi bellica come un’azione di polizia tesa a soccorrere l’aggredito e a mettere l’aggressore nelle condizioni di non nuocere; come un «intervento umanitario», tanto doloroso quanto legittimo e necessario, pieno dei più nobili sentimenti ispirati dal diritto internazionale e dalla civile religione dei «diritti umani». E proprio per questo agevolmente supero il rischio di rimanere impigliato nella sua virile prosa politicamente scorretta, e per questa via colgo facilmente il fondo ultrareazionario del suo ragionamento, il quale si limita ad accreditare il terrorismo e la prassi guerrigliera come legittime modalità belliche nell’epoca della cosiddetta guerra asimmetrica. Anche la “scandalosa” riflessione del pentastellato Alessandro di Battista a proposito del terrorista che non va sconfitto «mandando più droni, ma elevandolo ad interlocutore» si muoveva sullo stesso escrementizio terreno.
Questo discorso intorno alla «guerra asimmetrica» ha una sua validità dottrinale e politica in sede borghese, fra i cultori della scienza geopolitica e del diritto internazionale, ad esempio. “Asimmetrica” o meno, la «Terza guerra mondiale, ma fatta a pezzi, a capitoli» cui accennava Papa Francesco qualche giorno fa rimane pur sempre una guerra imperialista, senza se e senza ma.
Va da sé che non sono così sciocco da attribuire a Massimo Fini “colpe” o “contraddizioni” che si possono cogliere solo mettendosi dalla prospettiva critico-rivoluzionaria. Semmai stupisce – qui faccio dell’ironia – che fior di militanti “antimperialisti” usi a sventolare bandiere rosse e a cantare l’Internazionale dalla mattina alla sera seguano la stessa logica ultrareazionaria del nostro eroe borghese, ad esempio schierandosi a favore del Macellaio di Damasco, o, tanto per cambiare quadrante geopolitico, degli «antifascisti» russofili dell’Ucraina.
Norma Rangeri oggi scrive sul Manifesto che l’unico intervento legittimo in Iraq sarebbe quello dell’Onu, «come ha auspicato il papa». È almeno dalla Prima Guerra del Golfo (1991) che sento ripetere, «guerra locale» dopo «guerra locale», questo insulso mantra pacifista. Per economia di pensiero mi permetto di citarmi: «ONU: non si muove foglia che l’Imperialismo non voglia. Si dice e si scrive: “Tutto il mondo è attraversato da guerre, piccole o grandi che siano. Ovunque si contano migliaia di morti e feriti. E l’ONU sta a guardare! Ma allora, a che serve l’ONU?” Già, a che serve questo “covo di briganti”? Non sarà che all’ONU non si muove foglia che l’Imperialismo (naturalmente a cominciare dalle Potenze maggiori: Stati Uniti, Russia, Cina, Unione europea a trazione tedesca) non voglia? Sono enigmi che mi tolgono il sonno, e pure l’appetito!».
Massimo Fini non sfonda per niente una porta aperta dall’ipocrisia occidentale. Fini suggerisce che le guerra d’intervento umanitarie condotte dai paesi occidentali (in primis gli Stati Uniti) siano la stessa cosa, la stessa violenza che viene attuata dagli islamisti. Questo è una sciochezza. L’imperialismo occidentale statunitense contro l’ISIS, contro l’Iran e altri regimi islamici svolge un ruolo progressivo: instaura un stato di diritto civile, sforza la parità dei sessi e delle minoranze etniche/religiose. Crea, insomma, un ambiente nel quale una coscienza di classe può svilupparsi. Nell’Afghanistan sotto i talebani, nell’Iran degli Ayatollah, a Gaza sotto il ruolo di Hamas, in Iraq sotto Saddam Hussein e sotto la Libia di Gheddafi le condizioni erano/sono così feroci che ogni tentativo di lotta di classe veniva/viene soffocato nel sangue.
Sotto regimi instaurati in missione “umanitaria” c’è perlomeno la pressione che questi rispettino i diritti umani minimamente, che significa anche un minimo di spazio per respirare e per rivendicazioni sociali. Esistono, insomma, un minimo di diritti individuali.
Quando però il regime vigente scarta i valori occidentali, allora la violenza non conosce limite, l’individuo non conta niente, il movimento tutto.
E questa la differenza che mi fa parteggiare per un intervento occidentale nell’attuale crisi se quest’intervento dichiara di avere lo scopo di fermare il peggio, cioè il genocidio e la violenza indiscriminata. Questo è il significato dell’imperativo categorico dopo l’Olocausto di Adorno: “Hitler ha imposto agli uomini nello stato della loro illibertà un nuovo imperativo categorico: organizzare il loro agire e pensare in modo che Auschwitz non si ripeta, non succeda niente di simile.”
La violenza dell’ISIS e gruppi simili per me, nella sua qualità (non quantità) è la stessa cosa come Auschwitz: la violenza senza scopo, fine a se stessa. Movimenti di questo tipo non si disgregano da soli, a causa di contraddizioni interne, ma anzi, le contraddizioni fomentano la violenza che si scatena in sempre nuove ondate (vedi l’Olocausto: la perdita della guerra e il peggiorarsi della situazione non creava la ribellione ma inferociva la violenza, prima di tutto contro gli ebrei). Questi movimenti devono essere fermati dall’esterno. E se la sinistra favorisce l’appeasement o la collaborazione aperta a tali regime, allora si deve parteggiare per la missione civilizzatrice dell’US Army.
(Ricordo anche che Herbert Marcuse, Franz Neumann e altri del circolo della Scuola di Francoforte lavoravano per i servizi segreti americani, l’OSS, durante la Seconda Guerra Mondiale).
Talvolte si deve essere anche non-dialettici, specie se riguarda fenomeni reazionari come i vari fascismi di tutto il mondo.
Ciao e grazie per la risposta l’ultima volta!
Aggiungo questa citazione di Giuliana Sgrena dal manifesto di oggi, che mi sembra essenziale quando si giudica (o si condanna?) l’illuminismo e la sua dialettica: “Forse non si riesce nemmeno a immaginare che per chi si trova in una situazione simile a quella di Foley a fare la differenza è proprio il trovarsi nelle mani di terroristi (come quelli dell’Isil, Stato islamico in Iraq e nel levante) o meno.”
Aperte le scommesse: quale cocchiere condurrà la carrozza della Storia a quell’“ambiente nel quale una coscienza di classe può svilupparsi”?
Alberto, nel suo commento su FB al post di Sebastiano, punta la sua posta sul “progetto di un “Califfato fuori dalla Storia” dietro il quale si agitano proletari arabi diseredati in odio verso l’imperialismo di Occidente e di Oriente” con “l’obbiettivo di un indebolimento politico-militare economico della banda imperialista più potente della Terra, costituita da USA, UE, Cina e Russia”.
Qui, Alessandro scommette sulle “guerre d’intervento umanitarie condotte dai paesi occidentali” che instaurano “uno stato di diritto civile” e sforzano “la parità dei sessi e delle minoranze etniche/religiose”.
La concezione materialistica della Storia può essere più indigesta dei peperoni a cena per i nuovi cabalisti che provano a leggere le oscure intenzioni nella mente del Dio Progresso in cerca di scorciatoie per un processo che, non solo non è mai cominciato, ma la cui possibilità si allontana nella misura in cui si prova a forzare i presunti segni di ciò che dovrebbe propiziarlo.
Ovvero assumere il punto di vista astratto, dal quale tutto appare come nella “notte in cui tutte le vacche sono nere”.
Io non ho detto che vedo dei “segni… che dovrebbero propiziare” la rivoluzione. Ma credo che sotto regimi nazisti e islamisti non esisti la mera POSSIBILITÀ della lotta di classe. Per lo sviluppo di una coscienza di classe ci vogliono certe condizioni, o perché Marx parteggiava per movimenti non comunisti ma che egli considerava necessari? Anche Lenin non era di sicuro contro riforme o colpi di stato borghesi che MIGLIORAVANO e FACILITAVANO la situazione del proletariato e della lotta di classe. Certo, da un punto di vista “puro”, ogni riforma (e anche l’antifascismo non vuole altro che riformare un sistema capitalista diventato feroce in uno borghese-liberale) non cambia il tutto, però ad alcuni individui, concreti, salva la vita – finché arriva la rivoluzione che li liberà…
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