Dunque è ufficiale: quella che si sta delineando nell’area del Califfato Nero è una vera e propria guerra. Una guerra senza se e senza ma. Lo ha ammesso ieri, dopo tante esitazioni radicate anche nell’attuale situazione interna degli Stati Uniti, lo stesso Nobel per la pace Obama, ringraziando quella che Guido Olimpio ha giustamente definito «coalizione delle ambiguità».
Mentre il Presidente USA ha negato ogni coinvolgimento politico della Siria nelle azioni belliche di questi giorni, il macellaio (nonché perito chimico) di Damasco ha subito dichiarato di essere invece parte attiva e centrale dei misericordiosi bombardamenti in corso in Irak e in Siria (e forse domani in Libia, Libano, Algeria, …). Atti bellici, occorre ricordarlo, tesi a estirpare dalla faccia della terra gli altrettanto misericordiosi combattenti di Allah che sventolano la nera bandiera dello Stato Islamico e sgozzano in diretta streaming gli infedeli catturati. C’è che chi spara missili, e c’è chi spara terrore mediatico (peraltro apparecchiando scenografie che ricordano molto da vicino certi videogiochi, e che certamente strizzano l’occhio a certi luoghi comuni intorno all’Islam confezionati in Occidente): è un’esaltazione di modernità!
Dopo l’ultimo macabro episodio avvenuto ieri in Algeria (ex pupilla dell’Imperialismo francese), pare che il Presidente Hollande stia rimontando nei sondaggi. «La Francia non cederà mai al terrorismo, perché è il suo dovere e il suo onore», ha dichiarato il Premier francese. L’ho scritto ai tempi della guerra in Libia: in Francia la guerra si vende ancora bene. La Grandeur non è un’opinione…
Scrive Bernardo Valli (La Repubblica, 24 settembre): «Gli americani escludono di avere coordinato la loro azione con il presidente siriano. Rifiutano di collaborare con lui. Barack Obama l’ha accusato di torturare la sua gente e gli ha negato ogni legittimità. Ma Damasco assicura di essere stato informato da Washington dell’attacco allo Stato islamico e Bashar al Assad dice di essere favorevole ad “ogni sforzo contro il terrorismo internazionale”. Si dichiara insomma soddisfatto delle incursioni americane contro il califfato». Più “ambigui” di così! Sulla “strana coppia” Barack-Assad rinvio a un mio post di fine agosto.
Inutile dire che nell’Amministrazione americana molti stanno suggerendo al Presidente di prendere, per così dire, la bomba al balzo e di andare fino in fondo. «Già che siamo in ballo…». Si tratta, per dirla in breve, di approfittare della congiuntura bellica che si è improvvisamente aperta per ridefinire e stabilizzare la mappa geopolitica del Medio Oriente e dell’Africa Settentrionale. Fare i conti con il rais siriano rientra naturalmente in questa strategia di lungo periodo. Di qui, i timori di Russia, Cina e Iran, ossia del polo imperialista che non pochi sedicenti “antimperialisti” basati in Italia guardano con simpatia e ammirazione.
Fatto importante, Il Comandante in Capo ha tenuto a precisare che «non si tratta di una guerra di religione». Concordo! Infatti, ciò che ci sta dinanzi è l’ennesima guerra di stampo imperialista, la quale come sempre troverà intellettuali, politici e pii uomini di buona volontà pronti a giustificarla tirando in ballo i sacri e inviolabili “diritti umani”, il diritto internazionale, la difesa dei principi democratici, la difesa delle civiltà (notare il plurale politicamente corretto), la logica della riduzione del danno (o logica del male minore) e via discorrendo. «Bisogna pur far qualcosa!». Certo. Proviamole tutte per il bene dell’umanità. Tutte, tranne che la lotta di classe, la rivoluzione sociale e quanto possa mettere radicalmente in discussione l’ordine sociale mondiale, il quale, ovviamente, non smetterà di generare contraddizioni, conflitti, crisi, “catastrofi umanitarie” e ogni sorta di maledizione, immaginabile e pure inimmaginabile. Decennio dopo decennio, guerra dopo guerra, “crisi umanitaria” dopo “crisi umanitaria”, «bisogna pur far qualcosa»: auguri ai signori realisti!
Su Limes (24 settembre) Giuseppe Cucchi, generale della riserva dell’Esercito, ha posto il problema che in questi giorni sta tormentando il Presidente Obama: «In nessun paese la “modernizzazione del conflitto” si è spinta così avanti come negli Stati Uniti. Questi, se potessero, cercherebbero di risolvere ogni situazione di tensione utilizzando unicamente il fuoco gestito a distanza, evitando a ogni costo l’eventuale ricorso ai boots on the ground, cioè all’intervento di terra. Siamo dunque arrivati alla fine della lunga e gloriosa storia della “Povera sanguinante fanteria”? Certamente no. Anche se gli Stati Uniti e in subordine il resto dell’Occidente non vorrebbero più essere trascinati nell’alea del combattimento a terra, uomo contro uomo, esistono sempre occasioni e teatri in cui se vogliamo vincere qualcuno deve pur farlo. […] L’unico discorso serio che si potrebbe e dovrebbe fare a questo punto è quello di accettare una svolta radicale dei nostri orientamenti politici e cercare le fanterie tra chi nell’area le possiede, cioè gli sciiti. Anche se ciò vorrebbe dire riabilitare l’Iran e far comprendere agli alawiti di Siria che saremmo ansiosi di aprire un dialogo con ogni eventuale successore del presidente Assad. È troppo? Beh, allora di fanteria mandiamo la nostra. Combatterà e morirà, ma permetterà all’azione di fuoco della coalizione di essere efficace. E forse col tempo di distruggere l’Is. Poor Bloody Infantry!».
Sapere che il Fattore Umano ha una funzione decisiva da svolgere nella guerra ad alta composizione organica del XXI secolo non può che rallegrare un umanista del mio calibro. Ovvero: povero “capitale umano”!
L’unica forza pogressiva in quel luogo sono i curdi. Erano loro che hanno salvato gli Ezidi. Sono loro che si oppongono al terrorismo integralista religioso e sono loro che salvano le minorità religiose ed etniche. YPG è l’unica forza credibile a porre fine all’incubo integralista.
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