DA CHE PULPITO! Io e Syriza.

bertrams_thumbFacile criticare da sinistra il governo Tsipras digitando comodamente su una tastiera obiezioni che a volte rasentano la ricerca del classico pelo nell’uovo. Bisogna misurarsi con la concretezza dei processi sociali, senza cedere alla paura di sbagliare né allo spirito di fazione. La verità è che noi di sinistra siamo bravissimi a dividerci, per la felicità dei nostri nemici: questo, parola più, parola meno, il succo della critica che mi ha rivolto ieri un simpatizzante italiano di Alexis Tsipras che, bontà sua, ha letto i miei «settari» post sulla vicenda greca. La critica mi fa capire che la posizione politica dalla quale approccio la questione greca non è emersa con sufficiente chiarezza. Di questo mi rammarico, e di qui quanto segue.

Lungi da me criticare «da sinistra» (o «da destra», perché no?) l’attuale governo greco, e la stessa cosa vale naturalmente per l’opposizione antigovernativa degli stalinisti del KKE; rispetto a Syriza e al KKE io non sono né più “a sinistra” né più “a destra”, né più “radicale” né più “moderato”: mi colloco piuttosto su un terreno completamente diverso. È il terreno – oggi ridotto a deserto – della lotta di classe condotta senza alcun riguardo per i cosiddetti superiori interessi del Paese, Grecia, Germania o Italia che sia.  È il terreno dell’autonomia di classe, dell’internazionalismo antisovranista (ricordate? Proletari di tutto il mondo…) e della rivoluzione sociale – quella, sia detto contro ogni forma di superstizione democratica, che non prevede passaggi elettorali di sorta. È da questa peculiare prospettiva, che so essere grandemente minoritaria (lo so, concedo troppo all’ottimismo della volontà…), che cerco di evidenziare le contraddizioni di Tsipras e compagni a proposito del braccio di ferro sistemico con la Germania “rigorista” e con la famigerata Troica, pardon: con… Le Istituzioni.

Punto di vista che, ad esempio, non ha nulla a che fare con quello di Antonio Negri e Sánchez Cedillo, i quali infatti a proposito di Syriza e Podemos scrivono: «È qui che si coglie nuovamente come solo la sinistra – quella nuova sinistra che parte dalla radicalità democratica dei movimenti emergenti di lotta e si organizza su linee di emancipazione – possa affermare l’Unione europea non come strumento di dominio ma come obiettivo democratico [sic al cubo!]. Il controllo democratico [questo, tra l’altro, a proposito della superstizione di cui sopra] del governo della moneta europea. È questa, oggi, la presa della Bastiglia [la prima volta come tragedia, la seconda come… Toni Negri!].  […] Ancora una volta è dall’Europa ed in Europa che nasce un progetto di libertà, di eguaglianza, di solidarietà – un progetto che possiamo chiamare antifascista, perché ripete la passione e la forza delle lotte di Resistenza» (EuroNomade, 23 febbraio 2015). Un altro Capitalismo europeo (magari “comunale”) è dunque possibile? Non saprei, e comunque non sono interessato alla costruzione, magari solo dottrinaria (purtroppo sono un proletario non cognitivo), di capitalismi di diverso conio. L’evocazione resistenzialista è però, come si dice, tutto un programma.

Per chi scrive le «lotte di Resistenza» rappresentarono per l’Italia la continuazione della guerra imperialista con altri mezzi nelle mutate circostanze determinate dai bombardamenti “democratici e antifascisti” anglo-americani. Su questo punto la penso come Giulio Sapelli (e ciò conferma peraltro la mia completa estraneità alla “sinistra”): «La partecipazione delle forze partigiane e delle forze armate regolari al fianco dei vincitori dà all’Italia uno statuto particolare nel contesto della ricostruzione del secondo dopoguerra. La Resistenza consentirà alla classe politica emersa dalle prime elezioni democratiche del dopoguerra di trattare su un piede di maggiore dignità e di autonomia dinanzi alle potenze inglese e nordamericana» (Storia economica  dell’Italia contemporanea, Bruno Mondadori, 2008). Chi si muove sul terreno degli interessi nazionali non può che apprezzare la tradizione resistenzialista. Ecco perché dal mio punto di vista antinazionale il richiamo di Negri alla Resistenza, che lo conferma come un epigono più o meno “postmoderno” della tradizione “comunista” del nostro Paese, si colloca concettualmente e politicamente dentro l’orizzonte del Dominio. Mito resistenzialista e mancanza di autonomia di classe sono le facce di una stessa medaglia. Ma questo la “sinistra”, greca o italiana che sia, non può capirlo. Non per mancanza di intelligenza, ma appunto perché essa si muove sul terreno delle compatibilità capitalistiche, magari con l’illusione che le rivoluzioni semantiche (ad esempio, chiamare Le Istituzioni la vecchia Troica, o Comune il vecchio Capitalismo di Stato) possano sostituire le rivoluzioni sociali che tardano a venire.

A mio parare – e non so se si tratta di un’opinione di “sinistra” o di “destra”, né la cosa ha per me una seppur minima importanza – Syriza è un soggetto politico borghese “a tutto tondo” che 1) è riuscito a intercettare il malessere degli strati sociali più azzannati dalla crisi economica, operazione quanto mai preziosa ai fini della continuità dello status quo sociale, e che 2) può mettersi alla testa di un reale processo di modernizzazione del capitalismo greco*. Di qui, il suo muoversi su un terreno pieno di insidie, che la leadership di Syriza cerca di padroneggiare come può alternando pose populiste e atteggiamenti assai più inclini alla realpolitik: «Il governo greco torna alla realtà», ha detto ad esempio la Cancelliera di Ferro. Persino il perfido Wolfgang Schaeuble, che di solito ama vestire i panni del poliziotto cattivo, ha invitato i suoi compagni di partito a dare credito, per l’ultima volta, al ritrovato realismo dei colleghi ellenici. E allora si capisce come la concorrenza sovranista e demagogica del KKE a “sinistra”, e di Alba Dorata a “destra”, debba rendere molto problematico il compito di Tsipras e di Varoufakis.

Il termine borghese adoperato sopra per caratterizzare la natura politica di Syriza va qui declinato non in termini volgarmente sociologici (persino un partito fatto interamente di operai può benissimo praticare una politica squisitamente borghese), ma storico-politici: borghese è il soggetto politico che fa gli interessi particolari o generali del Capitale, funzione che non esclude affatto (anzi!) il protagonismo di quel soggetto nella lotta intercapitalistica, ossia nella contesa fra fazioni borghesi che ha come obiettivo il potere materiale, politico e ideologico sull’intera società. Come la storia dimostra ampiamente e sempre di nuovo, le fazioni borghesi tendono a coalizzarsi fra loro solo quando il nemico comune, interno o esterno, li costringe a un’azione comune. È in questi casi critici che il concetto di interesse generale assume il significato più proprio. Tutto questo, beninteso, sempre al netto della coscienza che il soggetto politico borghese ha di sé, coscienza che si ricava dalla fenomenologia di quel soggetto: fraseologia, simbolismo, miti e via di seguito. Se dovessimo rimanere alle parole, dovremmo ad esempio definire comunista il KKE o la stessa “sinistra” di Syriza, e con ciò attirarci le giuste ire di Zeus Marx: non sia mai!

«Alexis Tsipras è ancora una volta nel mirino dell’ala sinistra del suo partito. Dopo le bordate contro l’accordo con l’Eurogruppo sparate dall’ex partigiano e oggi eurodeputato di Syriza, Manolis Glezos, che ha parlato di “vergogna” e ha chiesto scusa ai greci “per aver partecipato a creare questa illusione”, ieri è toccato a un altro grande vecchio della politica – ma anche della cultura – greca, Mikis Theodorakis, esprimere il suo disagio verso la sinistra al governo che nei confronti dell’Europa a guida tedesca sembra un “insetto che finisce accidentalmente nella rete del ragno incapace di reagire ed essere salvato”» (La Stampa, 24 febbraio 2015). Queste critiche “da sinistra” all’operato del governo greco non solo le lascio volentieri ai populisti sovranisti che invocano l’Unità Patriottica Nazionale Antitedesca, secondo il nodo modello resistenziale, ma le combatto “senza se e senza ma” per il loro contenuto politico-ideologico sommamente reazionario.

Non so se, come scriveva ieri sul Manifesto Dimitri Deliolanes, «Anche Nostro Signore è deluso dal gio­vane Tsipras»; purtroppo non godo di simili Alte frequentazioni. Posso però dire, per quel pochissimo che vale la mia opinione, che a me il giovane Tsipras non ha provocato alcuna delusione. Solo dagli amici mi attendo delusioni e tradimenti.

 

* «La Grecia non ha industria e ha servizi forniti solo da micro imprese, come i tavernieri e gli albergatori, presso le quali la raccolta delle imposte è inefficace. L’unico settore sviluppato, quello della marina mercantile, vede le navi battere bandiera dei paradisi fiscali. Inoltre la Grecia non ha Guardia di Finanza e non ha il catasto. Ha, insomma, una base imponibile debole. Non puoi avere un sistema fiscale svedese se non hai una base fiscale. Strutturalmente, le entrate sono il 35% del Pil, le uscite il 45 per cento. Visto che le entrate promesse in passato non sono mai arrivate, tutti sanno che le promesse sul recupero di soldi dalla sola evasione fiscale non sono credibili». Così Giorgio Arfaras, economista del Centro Einaudi. Per Arfaras, la sola via d’uscita credibile, perché sostenibile, per la Grecia sarebbe quella di creare le condizioni per un vero sviluppo, «quelle che l’austerity non è in grado di ottenere» (Linkiesta, 21 febbraio 2015).

Il comparto marittimo (un settore che occupa 250mila persone e che genera il 7% del PIL nazionale) mette bene in luce le magagne del capitalismo greco (quando parlo di capitalismo non mi riferisco, il più delle volte, solo alla struttura immediatamente economica di un Paese, ma al suo sistema sociale complessivo: politica, cultura, welfare, ecc.). Stiamo parlando di 4.707 super-navi (il 16% del mercato globale, per un valore di circa 105 miliardi) su cui sventola la bandiera biancazzurra degli armatori ellenici. E soprattutto parliamo di profitti miliardari macinati ogni anno, quasi esentasse, dalle 50-60 famiglie degli Onassis ellenici. Come ricorda Ettore Livini, «A intaccare i loro diritti ha provato anche Antonis Samaras. Salvo innestare subito una brusca retromarcia e venire a patti. Limitandosi nel 2012 — quando Atene era a un passo dal default — a concordare un “tassa temporanea d’emergenza” come contributo alla crisi nazionale. Quasi 500 milioni in 5 anni che gli industriali del Pireo hanno pagato senza batter ciglio. “Sono loro che costruiscono gli ospedali nelle isole. Ogni giorno le loro ricchissime Fondazioni danno da mangiare a 50mila persone nel paese”, spiega un portuale all’imbarco del traghetto per Aegina. Buonismo a buon mercato che ha consentito ai tycoon di dribblare senza problemi di coscienza miliardi di tasse» (La Repubblica, 24 febbraio 2015). Naturalmente se il governo Tsipras riuscirà a ristrutturare il rapporto fiscale con gli armatori sarà tutto il sistema che gira intorno alla Marina Mercantile greca che subirà notevoli cambiamenti, intaccando anche gli interessi di molti lavoratori, pensionati e assistiti dal welfare più o meno convenzionale oggi garantito dagli armatori. È la “riforma strutturale”, bellezza! Una “riforma”, detto en passant, imposta in primo luogo dalle esigenze di ammodernamento del sistema capitalistico greco: i famigerati “compiti a casa” Tsipras e soci dovranno farli in primo luogo per conto della competitività sistemica del loro Paese, anche se gli inevitabili costi sociali verranno poi addebitati ai cattivi lupi tedeschi, i quali, secondo i patrioti ellenici, non avrebbero perso l’antico vizio…

«Tsipras, in sostanza», scrive Livini, «ha fatto una grande scommessa su se stesso e sulla sua capacità riformatrice: se riuscirà a mandare in porto davvero la parte di programma più gradita alla Ue (lotta a corruzione, evasione fiscale, burocrazia, sprechi) libererà le risorse per mantenere le promesse fatte agli elettori. E a quel punto la mezza sconfitta di oggi diventerebbe una vittoria tonda». Intanto, la Borsa di Atene promuove l’intesa di ieri fra i ministri delle Finanze della zona euro guadagnando quasi il 10%. La “rivoluzione capitalistica” in Grecia si è messa in marcia?

Groucho-Fratelli-MarxAggiunta da Facebook

LA PRIMA VOLTA COME FARSA, LA SECONDA COME MACCHIETTA. E LA TRAGEDIA? LASCIAMOLA ALLE COSE SERIE, PER FAVORE!

Scrive Ettore Livini su Repubblica di oggi: «Le sei pagine di “ambiguità costruttiva” (copyright dell’autore Yanis Varoufakis) prive di numeri e cifre approvate dall’ex Troika hanno regalato una giornata da incorniciare ai mercati (+10% la Borsa ellenica) ma non hanno placato i mal di pancia della sinistra nazionale sul ritorno sotto mentite spoglie del memorandum e della Troika e la mezza marcia indietro — obbligata viste le forze in campo — su alcune promesse elettorali. “Siamo partiti da Marx e siamo arrivati a Blair” scherzavano (ma non troppo) ieri alcuni uomini dell’ala più radicale di Syriza».

Ciò dimostra, a mio modesto avviso, non che Alexis Tsipras ha tradito il Tragico di Treviri, ma che gli «uomini dell’ala più radicale di Syriza» hanno in testa un “marxismo” ridotto a macchietta.

4 pensieri su “DA CHE PULPITO! Io e Syriza.

  1. non so, nei paesi in cui è stata più forte l’ influenza dei partiti comunisti (stalinisti) novecenteschi, il “popolo di sinistra” non riesce a produrre partiti e leader veramente riformisti (e con sufficiente seguito), nell’ unico senso in cui questa parola ha senso compiuto: in senso borghese

    sarà per le contorsioni ideologiche a cui si costringono, sarà per l’ obbligo di pagare pegno ad un mitico popolo che si è fatto stato… le oscillazioni di syriza mi fanno pensare che anche stavolta non ne escono.

    renzi da questo punto di vista parte con meno handicap, la sua volontà riformistica però si ferma davanti alla porta di confindustria

  2. Pingback: YANIS VAROUFAKIS. LE CONFESSIONI DI UN MINISTRO “UMANISTA” | Sebastiano Isaia

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