«Gli operai sono in concorrenza tra loro come lo sono i borghesi. […] Questa concorrenza è l’aspetto più nefasto per gli operai nella società attuale, l’arma più affilata della borghesia contro il proletariato. Di qui deriva lo sforzo degli operai per sopprimere questa concorrenza mediante le associazioni» (Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra).
Come informa Enrico Oliari su Notizie Geopolitiche, «Non si ferma l’escalation di violenze xenofobiche in Sudafrica, un’emergenza iniziata un paio di settimane fa e che oggi ha costretto il presidente Jacob Zuma a cancellare la visita di stato programmata in Indonesia. Nel 2008 gli attacchi alle comunità di immigrati provocarono una sessantina di vittime. Il Sudafrica è oggi il paese più ricco del continente, per quanto ancora vi siano disuguaglianze nella ripartizione delle ricchezze con i bianchi. È quindi meta di migrazioni di chi cerca migliori condizioni di vita, cioè lavoratori e loro famigliari provenienti in particolare dallo Zimbabwe, dal Mozambico, dalla Somalia, dall’Etiopia, dal Malawi ed anche da Pakistan e Cina; gli immigrati nel paese rappresentano circa il 5% della popolazione cioè circa due milioni e mezzo di individui. Le tensioni sociali sono determinate dall’alto tasso di disoccupazione (25%), per cui gli immigrati vengono percepiti come una delle cause della povertà diffusa fra i ceti più bassi. Ad innescare l’attuale ondata di violenze sono state le parole di Goodwill Zwelithinidel, re (solo figurativo) del gruppo etnico zulu, il quale in un comizio ha affermato gli immigrati “dovrebbero fare le valigie e andarsene” e che “sporcano le nostre strade”. Immediatamente membri dell’etnia, alla quale appartengono il 22% dei sudafricani, si sono riversati nelle strade armati di bastoni, di coltelli e di machete, in particolare a Durban e a Johannesburg, e già vi sono 5 stranieri uccisi fra i quali un quattordicenne. Decine gli arresti, ma i manifestanti zulu inferociti hanno attaccato le comunità degli stranieri incendiando case e negozi e costringendo così migliaia di persone alla fuga, per cui ora l’emergenza riguarda i numerosi profughi allo sbando, per cui sono già state allestiti appositi campi».
Quella che a volte con affettata retorica chiamiamo “guerra fra i poveri” è davvero qualcosa che grida vendetta al cospetto dell’emancipazione universale, oggi sempre più “materialmente” possibile e tuttavia sempre più annichilita dalla potenza sociale capitalistica: «La smisurata dimensione del potere diventa l’unico ostacolo che proibisce la veduta della sua superfluità», scrisse una volta Max Horkheimer. Ma la notizia di cui sopra mi fa venire in mente un’altra frase di Horkheimer: «Di irrevocabile, nella storia, c’è solo il male: le possibilità non realizzate, la felicità mancata, gli assassinî con o senza procedura giuridica, e tutto ciò che il dominio arreca all’uomo» (Lo Stato autoritario). Pessimismo cosmico? Tutt’altro! Pessima, con una forte tendenza al peggioramento, se così posso esprimermi, è piuttosto la realtà. In Sudafrica, nel Canale di Sicilia, dove i pesci banchettano con la carne umana, e ovunque.
Certamente appare sorprendente – ma non inspiegabile – come delle persone che hanno conosciuto sulla propria pelle (è proprio il caso di dirlo) la bruciante esperienza della discriminazione e segregazione razziali non siano quantomeno diventati immuni al virus razzista. Il veleno razzista dell’apartheid non è riuscito dunque a vaccinare la massa delle persone “di colore”?
Su quanto sta accadendo in Sudafrica tornerò (forse) a scrivere un’altra volta, magari per cercare di capire insieme al lettore perché in quel Paese non sono state realizzate nemmeno quelle timide “riforme strutturali” (come la riforma agraria) che avrebbero reso meno insopportabili le condizioni di lavoro e di vita della gran parte del proletariato. Qui intendo consegnare una riflessione di carattere generale che anticipo con la citazione che segue: «Anch’io constato con apprensione come la borghesia musulmana stia abbandonando il Medio Oriente, perché so che, in genere, il proletariato è attratto dai governi dispotici. È un’affermazione molto dura basata sui precedenti storici. Hitler ha potuto alimentare la sua ideologia autoritaria con l’odio verso le conquiste altrui, cavalcando il sentimento di ingiustizia diffuso tra i tedeschi. Lo stesso fanno, oggi, i nuovi fascismi, rappresentati dai diversi fondamentalismi religiosi» (Avvenire, 10 aprile 2015). A parlare è Hassan bin Talal, zio di re Abdallah II di Giordania. Nei passi citati c’è a mio avviso un elemento di verità, rubricabile come ricerca del capro espiatorio, che interroga chi approccia il processo sociale capitalistico dal punto di vista delle classi subalterne. Naturalmente avendo cura di filtrare la cosa attraverso le maglie critiche del mutatis mutandis.
In un post del 2010 dedicato ai sanguinosi fatti di Rosarno, mi chiedevo perché sono soprattutto i dominati che subiscono il fascino dei razzisti. Riprendo una parte di quel post per tenere calda una questione che merita di essere approfondita e per stabilire un link ideale tra Nord e Sud del mondo.
[…] Chi pensa che il prendere corpo di movimenti autoritari e xenofobi in tutti i Paesi del Vecchio Continente abbia il senso di un «ritorno al passato» sbaglia di grosso. La crisi sociale (economica, politica, culturale, psicologica) che ha infranto i sogni europeisti ha solo messo a nudo una maligna radice che non è mai seccata. Si chiama Dominio capitalistico. Non è il passato che ritorna, è la società capitalistica che continua a vivere a spese dell’umano. Chi intende lottare contro i movimenti razzisti d’ogni tipo e favorire l’unione dei dominati di tutti i colori deve tenere bene in mente quanto appena detto, per non ripetere sempre di nuovo le prassi (ad esempio quelle ispirate dall’ideologia del male minore) che puntualmente finiscono per rafforzare il Dominio. I noti eventi di Rosarno offrono l’occasione per una riflessione sulla società italiana auspicabilmente non banale, non luogocomunista e, soprattutto, non irretita negli interessi e nella prospettiva delle classi dominanti di questo Paese.
[…] In questa brutta vicenda il razzismo e il coinvolgimento della mafia locale sono le ultime cose che dobbiamo prendere in considerazione. Si badi bene, non perché l’uno e l’altro non abbiano avuto alcun ruolo nello svolgersi dei fatti, o perché in generale non abbiano una loro reale consistenza, bensì perché porli al centro della riflessione non spiega un bel nulla e non ci aiuta a capire. E invece abbiamo un gran bisogno di capire, perché Rosarno è solo un sintomo di qualcosa di ben più grave. No, non si tratta affatto di una malattia, si tratta piuttosto della fisiologia della società basata sul profitto; si tratta di una micidiale normalità che si dà in modo differente nelle diverse aree del Paese e del mondo. Chi ragiona in termini di patologia sociale nasconde a sé e agli altri la «banalità del male», anzi la sua radicalità.
[…] Conviene partire proprio dall’epifenomeno, dal «razzismo del popolo di Rosarno», e chiederci come mai il razzismo si fa strada soprattutto fra gli strati inferiori del corpo sociale, e questo naturalmente non solo nell’amena cittadina calabrese, ma un po’ in tutto il Paese e in tutti i paesi del mondo. […] La risposta è tutt’altro che difficile, è anzi alla portata di tutti e infatti tutti la conoscono, ma solo pochissimi ne colgono il reale significato e la reale portata sociale, e non per l’ignoranza delle masse o per la malafede delle classi dominanti, ma in grazia dell’interesse (declinato in tutti i modi possibili e immaginabili), il più forte consigliere della storia. Non è difficile capire che chi sta ai piani alti dell’edificio sociale può permettersi il lusso dell’umana comprensione, della tolleranza, del cosmopolitismo e della filantropia (la forma borghese della vecchia carità cristiana), anche perché tali eccellenti disposizioni d’animo sono altrettanto olio lubrificante cosparso sui duri ingranaggi del meccanismo sociale, rappresentano il balsamo spalmato su un corpo sociale sempre più brutalizzato dagli interessi economici. Dove c’è un soldato che squarta, che brucia e che violenta, deve esserci pure qualcuno che si occupi dei morti e dei feriti; e insieme, Caino e Abele, la bestia assetata di sangue e la crocerossina devota a chi ha avuto la peggio nel duello, costituiscono il sistema della guerra. Insieme e da sempre lupo e agnello mandano avanti, ognuno a modo suo, la comune impresa.
[…] Chi vive nei piani bassi, invece, è più esposto al veleno del pregiudizio, perché lì la darwinistica lotta per la sopravvivenza si presenta tutti i giorni con i caratteri ultimativi della sopravvivenza fisica e morale. La famigerata «lotta tra i poveri», della quale il Santo Padre si lamenta, non dispone gli animi ai buoni sentimenti, e chi vive giornalmente con l’angoscia di perdere anche le briciole coltiva una suscettibilità nei confronti dei pericoli, reali e immaginari, tutt’affatto particolare. Non ci vuole un corso accelerato di sociologia o di psicoanalisi per comprendere questo meccanismo, e certo lo hanno compreso i dittatori e i populisti d’ogni tempo. Le classi dominanti hanno imparato a tenere caldo il risentimento dei dominati, per volgerlo al momento opportuno contro i suoi nemici, o contro il capro espiatorio di turno: l’ebreo, il negro, l’arabo, l’albanese, il rumeno, il cinese: chi sarà il capro espiatorio di domani? Mutatis mutandis, la storia si ripete sempre di nuovo, non a causa di tare antropologiche, di corsi e ricorsi vichiani o di altre più moderne e meno sofisticate cianfrusaglie concettuali, ma a ragione del fatto che le radici del male sono ancora intonse e sempre più profonde.
[…] La recente crisi economica ha reso ancora più risibile la balla raccontata dagli uomini di buna volontà per dare una copertura politico-ideologica al supersfruttamento degli extracomunitari: infatti, non pochi meridionali disoccupati oggi accettano gli anoressici salari pagati ai lavoratori stranieri. La crisi ha insomma risospinto i «bianchi» verso il nuovo mercato del lavoro precipitato al giusto livello competitivo grazie ai «neri», ai «gialli» e via di seguito. In prospettiva questo processo è destinato a creare non poche tensioni nel seno della classe dominata, soprattutto nei suoi strati più deboli e marginali (uno “status”, questo, in continua fluttuazione), sempre più potenzialmente ricettivi nei confronti di qualsiasi discorso che promettesse una soluzione definitiva («finale»…) dei loro problemi. La storia non si ripete mai allo stesso modo, ma non è affatto detto che la farsa di domani sarà meno violenta e sanguinosa della tragedia di ieri.
Come riemergere dall’abisso dentro il quale è precipitata l’intera umanità? Inutile coltivare facili illusioni, anche perché abbiamo imparato a sopravvivere in quell’abisso, al punto che non lo esperiamo più come tale. Abbiamo imparato a dare del «tu» persino all’orrore. Non ci sono soluzioni facili, purtroppo. Solo per non continuare a precipitare, per resistere a ulteriori sprofondamenti, i lavoratori d’ogni colore, sesso, religione e quant’altro dovrebbero coalizzarsi in nuovi organismi del tutto autonomi rispetto agli attuali sindacati nazionali, veri e propri strumenti di dominio nelle mani del capitale e dello Stato. E dovrebbero dichiarare subito guerra alla politica delle compatibilità. Si tratta di scegliere tra il “sacro” interesse nazionale – che da sempre esprime l’interesse delle classi dominanti – e il più profano interesse delle classi dominate, le cui condizioni di lavoro e di vita peggiorano sempre di nuovo, compromesso dopo compromesso, «senso di responsabilità» dopo «senso di responsabilità», «compatibilità» dopo «compatibilità», avendo come loro limite inferiore l’esistenza dei «negri» e dei «gialli». E questo non a causa della cattiva volontà politica di qualcuno, come ci dicono i progressisti di tutto il mondo da circa un secolo a questa parte, ma a motivo dell’intima natura del dominio sociale vigente.
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Condivido la tua analisi ma purtroppo sono anche persuaso che il virus del dominio sia altamente invasivo, e particolarmente mutante. Da qualche tempo ritengo la società, quella che tu correttamente chiami Società-Mondo, una STEAL SOCIETY. Non solo perché l’individuo è continuamente “stolen” spossessato della sua umanità, ma perché penso che sia una società programmata per estorcere, alienare, classificare, Set To Extort, Alienate, Label, ovvero, ogni parte del tessuto sociale, dell’impalcatura e dei meccanismi che la muovono, risponde pedissequamente alla logica del Grande Dominatore, Signore e Sovrano, con buona pace dei sovranisti, Das Kapital!! Le possibilità del Marketing sono davvero illimitate, caro Sebastiano. Buona Domenica.
Ciao.
Particolarmente mutante: hai evocato un tema di eccezionale interesse che anch’io cerco di aggredire con le mie modeste capacità. Sottoscrivo la tua riflessione. Ciao Bob!
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