Io ne ho viste cose che voi non-ancora-umani non potreste nemmeno immaginare: ho visto come vive l’uomo! Mi sono messo a piangere di gioia come un bambino in mezzo a un gran deserto: una pioggia di lacrime. È tempo di vivere.
In un articolo pubblicato su Aspenia Online, Ciro Cafiero ci parla della rivoluzione tecnologica prossima ventura, quella che da qui al 2030 sconvolgerà «il mercato del lavoro globale» come nessun’altra rivoluzione tecnologica è riuscita a fare nel passato. Inutile dire che si tratta di un invito (l’ennesimo!) al suicidio per i lavoratori meno tecnologicamente avanzati del pianeta, soprattutto se basati in Occidente. «Si tratta di un cambiamento traumatico, che lascia vittime sulla strada». Non ne avevo dubbi. Per definizione il cosiddetto Progresso sociale postula sacrifici umani, esattamente come le guerre. D’altra parte, le rivoluzioni tecnologiche non sono che momenti fondamentali della permanente (infinita?) guerra sistemica planetaria.
A proposito di guerra! «C’è un solo modo per vincere una guerra: non farla». Così parlò Francesco. Applausi scroscianti da parte del 99,9 per cento dell’opinione pubblica mondiale. Un coro osannante di «Bene! Bravo! Bis!». Ma come la mettiamo con la subdola guerra che ogni giorno l’economia (capitalistica) ci dichiara in quanto lavoratori (più o meno precari), funzionari a diverso titolo del Capitale, consumatori, utenti, genitori e quant’altro? Senza contare che la carneficina bellica non è che la continuazione della guerra sistemica con altri mezzi. Non so chi legge, ma personalmente trovo abbastanza terrorizzante non la prospettiva di una Terza guerra mondiale, più o meno “convenzionale”, ma il carattere permanente del conflitto esistenziale in corso.
E qui ritorniamo alla rivoluzione tecnologica di Cafiero, il quale, dopo aver illustrato i “lati cattivi” e i “lati buoni” (come usa fare lo scienziato sociale pragmatico che disprezza il «catastrofismo ideologico» di chi pretende tutto e subito) dei mutamenti tecnologici che si annunciano, scrive: «Se tutto questo è vero, non resta che porsi una domanda sulla “bontà” della rivoluzione tecnologica. Papa Francesco [sempre Lui!] la guarda con sospetto nella recente enciclica Laudato Sì per il timore che essa, degenerando, pieghi la dignità del lavoro alla logica del profitto». Io sono tra quelli che pensano, anche contro l’Art. 1 della Costituzione italiana, che quando domina la logica del profitto, come accade oggi in tutto il capitalistico mondo, il lavoro non abbia alcuna dignità, se non quella degli schiavi che si acconciano a un’esistenza da schiavi. Dignità umana e lavoro (capitalistico) sono due concetti che mi appaiono antitetici, assolutamente inconciliabili, separati da un abisso ideale e reale. Nemmeno un Miracolo, con rispetto parlando per il “Papa Comunista”, o una rivoluzione tecnologica di nuovo e imprevedibile conio potrebbero riconciliare l’inconciliabile. Ma abbiamo un concetto così vile e modesto di “umanità”, che ne parliamo quasi sempre a sproposito. Non ci piace forse riempirci la bocca con il «capitale umano»? Senza parlare del «fattore umano»…
Il lettore naturalmente può sempre scegliere l’indirizzo pragmatico: «Sicuramente sono tanti i frutti che dall’albero della rivoluzione tecnologica possono cadere. L’importante, per meglio dire, è che l’uomo riesca a controllare il potere che il progresso tecnologico gli consegna perché esso non si traduca in una incondizionata sopraffazione dell’interesse economico sulla logica del bene comune». Insomma, la sopraffazione non deve essere «incondizionata», assoluta, ma solamente relativa, ben temperata. Ci sta che la moglie “viziosa” rimanga incinta, ma che lo sia solo un po’!
Ovviamente l’indirizzo critico-radicale che informa questa breve e accaldata riflessione suggerisce un esito meno accattivante del processo sociale di cui parla Cafiero: «il progresso tecnologico» consegna sempre più potere non all’uomo, ma al Capitale. Di più: «il progresso tecnologico» è esso stesso, nella sua essenza, Capitale. Più la logica capitalistica (sintetizzabile come segue: inseguire il profitto ovunque e comunque*) espande e rafforza le capacità tecno-scientifiche degli “operatori economici”, e meno potere reale ha il non-ancora-uomo sui processi fondamentali che regolano la sua esistenza. L’individuo, osservava Marx nel remotissimo 1857, «porta con sé, in tasca, il proprio potere sociale, così come la sua connessione con la società». Egli si riferiva al denaro in quanto equivalente generale del valore di scambio «cristallizzato» in tutte le merci e come massima espressione dei rapporti sociali capitalistici. Ebbene, quando il potere sociale è nelle nostre tasche, e non nelle nostre mani e nelle nostre teste, significa che non abbiamo alcun reale potere sulla nostra esistenza. Non controlliamo l’essenziale; non abbiamo potere su ciò che decide della nostra intera esistenza, checché ne dica l’etica – o ideologia – della responsabilità, una pistola sempre carica puntata contro di noi.
«Del resto, il robot resta “giovane, affidabile, silenzioso, pulito e intelligente”, come il Time lo definì nel lontano 1982 – quando fece del computer Man of the Year – con un affascinante salto logico». No, signori: qui il salto non è logico ma piuttosto feticistico, come direbbe sempre l’uomo di Treviri; rapporti e relazioni sociali che si danno alla nostra intelligenza come rapporti tra cose. «Non ci sono dubbi. Siamo entrati nell’era del postumanesimo. Quella in cui assumono sembianze le cose che, secondo la macchina di Blade Runner, gli uomini non potevano neanche immaginare!». Postumanesimo? Il lettore mi scusi, ma qui devo ridere. Ma quando mai abbiamo messo piede nell’Umanesimo? Diciamo piuttosto che il dominio della prassi sociale disumana non cessa di espandersi e di radicalizzarsi. Diciamo pure che l’era disumana nella quale ci siamo ficcati non sembra prossima alla fine. Ecco tutto.
* «La prostituzione generale appare come una fase necessaria dello sviluppo del carattere sociale delle disposizioni, capacità, abilità e attività personali. Esprimendosi più compiutamente: l’universale rapporto di utilità e utilizzabilità» (K. Marx, Lineamenti, I, p. 95, Einaudi, 1983). Altro che «dignità del lavoro»!
L’importante, per meglio dire, è che l’uomo riesca a controllare il potere che il progresso tecnologico gli consegna perché esso non si traduca in una incondizionata sopraffazione dell’interesse economico sulla logica del bene comune …
‘sto cafiero è il solito idealista
l’uomo, sempre l’uomo. l’uomo non esiste, è pura astrazione se non viene considerato nel suo contesto storico, dunque come prodotto di determinate circostanze, egoista nei suoi interessi individuali e che però sono espressione di quelli della propria classe, ecc ecc
si stanno accorgendo solo ora che lo sviluppo tecnologico agisce in modo rivoluzionario sulla contraddizione fondamentale, dopo un secolo e mezzo che la cosa era stata illustrata nel perché e nel percome.
Ciao Sebastiano. Questo post mi piace particolarmente perché esprime come il lavoro salariato si evolve, scoprendo —ma forse anche mascherando— la relazione sociale di dominio radicata nella natura del Capitale. Il padrone non ha sembianze umane (non quelle dell’uomo disumanizzato che siamo, intendo dire) ma ha la faccia e l’anima della Cosa stessa. Ovvero, tutti siamo “salariati” del Capitale in quanto tale. La necessità di profitto e di accumulazione, a Lui e a Lui soltanto appartiene, non a Warren Buffet in quanto individuo, insomma. Niente di nuovo, chiaramente, ma questo porta a chiedermi, “Perché questo fatto così evidente non riesce ad illuminare la consapevolezza dell’individuo circa la sua totale sudditanza al dominio della Cosa?” Ma perché poi stupirsi? Il Capitalismo è così “straordinariamente” rivoluzionario.
Come chiunque abbia quel minimo di consapevolezza di essere suddito di Sua Maestà il Capitale, anche io sono convinto che non la scienza, la tecnologia, la cultura salverà l’umanità, anche per questo le disquisizioni dottrinarie mi paiono del tutto sterili. E infatti, mentre tu in questo post “Hai visto cose”, e le hai viste benissimo peraltro, io “Ho letto cose” di alcuni tuoi commentatori, le quali mi hanno lasciato semplicemente, come posso dire, confuso. Vorrei dire qualcos’altro ma mia nonna mi ripeteva sempre, “Don’t swear, don’t golly, don’t darn, not even on the inside”, e la cosa non è facile da mettere in pratica. Lascia che la descriva in questo modo. Il mio più caro amico mi confida i suoi problemi coniugali. In risposta, io scrivo una elegia con parole di conforto e di incoraggiamento degne del grande Bardo. Molto bello. Lui si rallegra e ne trae ispirazione. Poi però mi sorprende a flirtare (sic!) proprio con sua moglie. Bene, io lo mando a rileggersi i miei versi, perché forse non li ha capiti bene. Concludendo, ciò che vedo in certi intellettuali del nostro tempo —Zizek intendo, non il tuo critico— è una certa nostalgia per i bei tempi in cui il Leviatano sapeva come gestire le cose e tutto sommato cavarsela facendo quasi tutti contenti. Tuttavia, visto che qualcuno ha offerto una più completa e autentica lettura del marxista Sloveno, dico, “Grandioso. Ora sappiamo cosa dire agli operai e ai disoccupati brutalizzati dal dominio sociale!” Il loro dramma, infatti, consiste nella mancanza di significante nel linguaggio di cui loro stessi ne sono il risultato. E se qualcuno di loro dovesse dubitare della genuinità rivoluzionaria della proposta di cambiare padrone, anche solo per spaventare quello attuale (sic!), si può sempre rispondere che non hanno capito [un c… ] niente!!
Mi scuso per la lunghezza.
Un saluto.
Bob
Grazie Bob per la bella e profonda riflessione. Come potrai vedere il breve post che pubblico oggi (Il mondo di Nessuno) si muove lungo il sentiero concettuale e politico da te prospettato. Ho visto Cose: l’interpretazione autentica del titolo è dialettica, per così dire. Tutti i giorni vedo Cose… Ciao!
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Banalizzando Zizek o chiunque altro non si fanno acquisizioni di alcun genere.
Detto questo il dubbio che l’orso sloveno -e il suo maestro- girino a vuoto mi è venuto più di una volta.
A decostruire l’identità storico-sociale (a base passatista: lignaggio, proprietà, classe) del soggetto ci ha pensato il Capitale e a Zizek -e a tutti noi- non rimane che accettare la sfida: risalire il fiume controcorrente fino in fondo e senza salvagente
Sulla marxiana decostruzione dell’identità storico-sociale del soggetto consiglio la lettura – o rilettura – dei Grundrisse, I, Il capitolo del denaro, quaderno II. Una inesauribile (per chi scrive, sia chiaro!) miniera che sto cercando avidamente di saccheggiare per l’ennesima volta proprio in questi giorni, tra un tuffo e l’altro. L’uso del salvagente è vivamente sconsigliato! D’altra parte il bagnino di Treviri è sempre lì a lanciarci continuamente corde concettuali: «Non hai preso quella corda? Non preoccuparti: acchiappa questa! Non ci sei riuscito? Fa niente! Vedi se questa riesci ad afferrarla», e così via. Alla fine, perfino io riesco a capirci qualcosa!