Gran gioco tattico della Cancelliera di Ferro, non c’è che dire. Un intelligente gioco che potrebbe avere conseguenze strategiche di grande respiro ancora tutte da verificare, com’è ovvio, ma anche semplicemente da immaginare. Ma è ancora presto per azzardare previsioni: limitiamoci allora alla stretta attualità, e soprattutto teniamoci alla larga dalla facile «compassione per gli ultimi», così irritante soprattutto nell’Anno della Misericordia.
L’imperialismo compassionevole di Angela Merkel ha spiazzato più di un leader politico del Vecchio Continente. L’accoglienza selettiva dei profughi (è benvenuto in Germania solo chi fugge dalle guerre) deliberata da Berlino in un sol colpo ha posto la Cancelliera nelle invidiabili condizioni di poter conquistare i cuori e le menti dei reietti del pianeta, i quali vedono appunto nella Germania la nuova Terra promessa. Dalla Germania “lo straniero” non fugge più, come ai tempi di Hitler, ma all’opposto egli associa a quel Paese i concetti di salvezza, di speranza, di benessere. «Germania! Germania! Germania!»: è il grido dei disperati ammassati in Italia, in Grecia, in Ungheria e altrove. Un capolavoro politico-ideologico! Questo, si badi bene, non esclude affatto che l’attuale governo tedesco non debba pagare dei costi politici, anche salati, sul fronte interno; d’altra parte gli umori dell’opinione pubblica internazionale di questi tempi sono molto volatili, un po’ come le borse. I giorni a venire probabilmente ci diranno qualcosa anche in tal senso.Senza muovere dal suolo patrio un solo soldato teutonico, la Germania bisognosa di “capitale umano” giovane e qualificato (1) si è dunque proiettata al centro della scena geopolitica internazionale, costringendo i colleghi europei di maggior peso politico (Cameron e Hollande) a rincorrerla sullo scottante terreno dei flussi migratori, una patata bollente in termini di consenso elettorale e di gestione delle tensioni sociali. Ma la mossa tedesca ha colto di sorpresa anche e soprattutto i Paesi del fronte del rifiuto, la cui capacità sistemica (economica, culturale, sociale in senso ampio) di integrazione dei migranti è ovviamente assai più modesta. «È facile essere compassionevoli con un Capitalismo così forte», avranno pensato a Varsavia e a Budapest. Di qui la pronta solidarietà accordata da Grillo e da Salvini, che rivaleggiano con i sovranisti europei più arrabbiati quanto a tedescofobia, ai Paesi interessati dallo «sciame migratorio».
«”Il diritto all’asilo politico non ha un limite per quanto riguarda il numero di richiedenti in Germania”. Lo ha detto la cancelliera Angela Merkel in un’intervista pubblicata oggi. “In quanto paese forte, economicamente sano abbiamo la forza di fare quanto è necessario”, ha aggiunto» (ANSA, 5 settembre 2015). Un messaggio indirizzato soprattutto ai tedeschi recalcitranti. Comunque sia, la Germania ha preso l’iniziativa su una questione di grande impatto sociale e di grande significato geopolitico, cosa che sta costringendo i partner europei a mettersi rapidamente in riga, qualche modo, con le buone o con le cattive (leggi sanzioni economiche), oppure a manifestare chiaramente il loro dissenso, cosa che potrebbe avere gravi conseguenze sull’intero progetto europeo. Avere smosso le acque e rotto degli equilibri nel contesto di un dossier così importante e delicato com’è indubbiamente quello dei flussi migratori è di per sé un fatto politicamente importante, le cui conseguenze di breve, medio e lungo periodo sono appunto tutte da verificare e da interpretare. Qui registro solo il rapido contropiede di Berlino e gli affanni delle altre capitali europee.
«Se non sapremo governare questa nuova onda di paura, l’Europa libera e unita che sognavamo alla fine dello scorso secolo si muterà in un grande ghetto»: ha scritto così Lucio Caracciolo su Repubblica del primo settembre. Il giorno prima Angelina aveva espresso lo stesso concetto: «Se non riusciremo a far fronte con intelligenza e solidarietà alla crisi migratoria di questi giorni l’Europa che volevamo rimarrà solo un sogno». Cimentandosi nell’ennesima recriminazione sulla «deriva germanica dell’Unione Europea», qualche giorno fa Giuseppe Cucchi scriveva che «Non è certamente questa l’Europa per cui ci siamo tutti battuti con visione, amore e speranza per tanti decenni!» (Limes, 31 agosto 2015). Analoghi concetti si trovano nei piagnistei europeisti di politici e intellettuali progressisti del Vecchio Continente: «Il sogno europeo è stato tradito, è stato piegato alla logica degli interessi nazionali, è stato sostituito dalla realpolitik che fa capo a leader che non hanno né visione strategica né cultura politica, e che, soprattutto, hanno dimenticato le dure lezioni della storia» (2): questo è il lacrimevole leitmotiv europeista. Non pochi critici della Merkel ai tempi della Tragedia Greca oggi gridano degli Evviva! all’indirizzo della Cancelliera, la quale avrebbe rianimato «il sogno di un’Europa libera, solidale, aperta». Certi personaggi hanno in testa gli Sati Uniti d’Europa, un gigante imperialista (o capitalista: trattasi dello stesso concetto) capace di rivaleggiare con gli Stati Uniti d’America, con la Russia e con la Cina e parlano di “Sogno”! D’altra parte, chi sono io per fare dell’ironia sulle legittime, ancorché “problematiche”, aspettative di una parte della classe dominante del Vecchio Continente?
In forte crisi di autostima, mi sono visto costretto al solito rimedio: leggere qualche famoso “marxista” contemporaneo. La scelta è caduta stavolta su Diego Fusaro(purtroppo non è la prima volta: spero sia l’ultima!: «Credo nel primato della politica e dello Stato sull’economia»: e qui è ben sintetizzato il concetto di “materialismo storico”, diciamo. «Un ritorno a una valuta nazionale sia in Grecia come in Italia sarebbe un modo per riaffermare il potere sovrano dello Stato». Confermo l’impressione del lettore: l’«allievo di Marx e di Hegel, ma anche di Gramsci» sta parlando dello Stato borghese, dello Stato imperialista del XXI secolo (3). Riprendo la citazione: «L’internazionalismo è l’altra faccia della globalizzazione capitalistica. […] Diversamente dai tempi di Marx in cui il capitalismo andava a braccetto con lo Stato-Nazione, oggi è proprio il capitalismo che supporta, per i propri interessi, l’idea di uno Stato sovranazionale» (Lettera 43, 26 agosto 2015). Ma non è stato l’internazionalista di Treviri a sottolineare (già negli anni Cinquanta del XIX secolo!) la dimensione mondiale del Capitale, con tutto quel che, materialisticamente parlando, ne segue sul piano politico? (Ma anche, ovviamente, sul piano dei flussi migratori generati dall’ineguale sviluppo capitalistico e dalle guerre più o meno “regionali”, come quelle che stanno ridisegnando la mappa geopolitica del Nord Africa e del Medio Oriente, una mappa vecchia di un secolo disegnata dalle Potenze del tempo con le armi e con il righello).
Ritemprata la mia abbacchiata autostima, posso concludere dicendo che la vera tragedia dei migranti non è quella di non avere una patria (4), ma di avere per patria il Capitalismo (quello avanzatissimo del “Nord” e quello relativamente più arretrato del “Sud”), esattamente come tutti i cittadini di questo disumano mondo.
(1) «L’invecchiamento della popolazione e le conseguenti preoccupazioni riguardo alla carenza di manodopera qualificata hanno portato i dirigenti tedeschi a riconoscere i vantaggi di un’immigrazione crescente: rinunciare alle conoscenze, alle competenze e al bagaglio formativo degli immigrati vorrebbe dire sprecare delle risorse. Contrariamente a quanto avveniva durante gli anni del miracolo economico, la Germania è ora disposta a investire e a integrare. Non vuole solo ricevere, ma anche dare e non solo denaro, ma anche indumenti o un tetto sotto cui dormire. È pronta a mostrarsi umana e solidale, a offrire ai nuovi arrivati conforto e senso di appartenenza» (Der Spiegel, 25 luglio 2015). Le vie che menano alla “solidarietà umana” sono infinite!
(2) Si dimentica, ad esempio, quanto ebbe a scrivere «Churchill all’inizio della sua Storia della Seconda Guerra Mondiale, allorché enunciava in poche righe il fatto che “il XXesimo secolo è stato caratterizzato da periodiche esplosioni della ricorrente vitalità teutonica” prima di dedicare alcuni volumi al racconto di come siano stati necessari sei terribili anni per riportare nell’alveo della ragione la più recente di tali esplosioni» (G. Cucchi).
(3) D’altra parte, lo “Stato proletario” che ha in testa il maestro di dialettica di cui si parla ha le miserabili/mostruose sembianze dello Stato capitalistico formato “socialismo reale”. E ho detto tutto! «Matteo Salvini è quello che da un lato dice di voler uscire dall’euro e al tempo stesso assicura gli imprenditori che non vuole farlo»: no, decisamente il leghista con la ruspa non è un marxista, al contrario del Nostro sovranista senza se e senza ma. Mah!
(4) «La nazione invisibile non esiste e non esistono i suoi cittadini. Ma esiste una marea umana che si muove alla ricerca di un posto che li accolga. Sono circa 60 milioni di persone, uomini, donne, minori, la maggior costretti a migrare per motivi economici. Di questi 11,7 milioni scappano dal proprio paese a causa di guerre e persecuzioni» (A. Gussoni, L’Espresso, 6 luglio 2015).
Un piccolo aneddoto su quanto scritto da te. Io vivo in Austria e seguo le vicende da qui. Inquietante, come tante persone progressiste, di sinistra, che sono critici di ogni nazionalismo e patriottismo,ora dichiarano di essere “per la prima volta nella loro vita fiere di vivere in questo paese”. Anche se probabilmente in linea con la propria teoria ed – nel senso marxiano – coscienza ideologica, questi capovolgimenti nella propria biografia di ste persone mi fanno venire i brividi.
Ti capisco, ti capisco. Grazie per l’assai significativo aneddoto. Ciao!
In Italia una certa propaganda politica ha portato a identificare i migranti e i neri in generale come il Nemico. Di conseguenza chiunque collabori con loro, da don Biancalani a Silvia Romano, è perfino peggiore del Nemico stesso, perché ha tradito il suo popolo e quindi si meriterebbe un bel viaggio ad Auschwitzland. Accoglione infame, per te solo lame: questo il pensiero medio di chi è stato plagiato da tale propaganda.
Purtroppo a fare da contraltare e da antidoto a tutta questa monnezza non c’è una propaganda di segno opposto altrettanto efficace: infatti dall’altra parte abbiamo la stucchevole retorica con cui una parte della sinistra vorrebbe convincerci che l’immigrazione di massa nel nostro paese è stata una gran botta di culo, e dovremmo festeggiarla unendoci tutti in cerchio a cantare We are the world.
La verità? Sono demenziali entrambe le posizioni. Mi farebbe piacere che sul tema dell’immigrazione e degli aiuti umanitari si potesse discutere con equilibrio, evitando sia la visione manichea per cui noi siamo il bene e i migranti il male, sia quella altrettanto ridicola in base alla quale dovremmo stappare lo spumante per l’arrivo dei migranti, perché sono delle preziosissime risorse che ci pagheranno la pensione. Ma parlare di equilibrio in questo periodo storico, caratterizzato da un imbarbarimento e da un’incazzatura della popolazione mondiale con pochi precedenti nella storia, mi rendo conto benissimo che è pura utopia.