Chiunque abbia avuto a che fare per motivi di lavoro con gli organismi americani preposti ai controlli degli standard sanitari, ambientali e di sicurezza sa bene quanto stringenti e pignoli (a volte fino al parossismo!) siano questi controlli. Ricordo che nel porto di Los Angeles, forse correva l’anno 2002, la nave nella quale lavoravo beccò una lunghissima sequela di salatissime multe che sanzionavano magagne d’ogni genere: troppo caldo in sala macchine, troppo fumo in cucina, troppo freddo in coperta, troppo sporco negli alloggi e via di seguito. Ebbene, la nave venne multata anche perché un recipiente posto appena fuori dalla cucina adibito alla raccolta dell’immondizia (beninteso previa oculatissima differenziazione da parte del personale di bordo) non si trovava al posto giusto: distava infatti di un metro (dicasi un metro!) rispetto al punto previsto dai controllori americani – non mi si chieda in base a quale sofisticato criterio. Cose dell’altro mondo, puro terrorismo psicologico, soprattutto per uno abituato ai più rilassati, diciamo così, standard capitalistici della Magna Grecia.
Naturalmente l’ossessivo perfezionismo americano risponde a precise esigenze economiche (e sociali in genere): si tratta di un’ormai ben consolidata e continuamente aggiornata politica industriale che coinvolge tutta l’economia che si dipana sotto il cielo degli Stati Uniti, e che vede mobilita militarmente e capillarmente l’intera piramide del sistema americano preposto al controllo delle attività, delle persone e dei prodotti. Va da sé che la cosa non ha mai impedito “illegalità” e furbizie economiche d’ogni genere, come sappiamo anche dalla “scandalosa” vicenda dei titoli spazzatura scoppiata nel 2007*; la politica particolarmente stringente e assai severa dal lato penale in materia di “correttezza” nelle prassi economiche serve piuttosto ad innalzare lo standard di qualità complessivo della società americana (il cosiddetto orgware), che non a caso si colloca ancora al vertice del sistema capitalistico mondiale. «È un paradosso che dirigenti, azionisti e lavoratori non devono mai dimenticare: il capitalismo Usa adora il libero mercato, ma punisce severamente deviazioni dalle norme etiche, professionali e legali. Il patto non implicito tra il governo Usa e le società è: vi lasciamo in pace, anzi, vi aiutiamo con sgravi fiscali, regole leggere e poca interferenza, ma quando fate un errore vi schiacciamo come un insetto. D’altra parte, la sinistra dice che le punizioni non sono dure abbastanza. La grande critica del governo Obama tra i benpensanti democratici è di non aver messo nessuno dei capi di Wall Street in prigione dopo la crisi del 2008-2009» (F. Guerrera, La Stampa, 24 settembre 2015). Si sa, i benpensanti sinistrorsi si distinguono dappertutto quanto a giustizialismo populista: il loro modello penale è la Cina.
Com’è noto, la sicurezza sul posto di lavoro (secondo lo standard internazionale del Safety First) e il rispetto ambientale delle «attività antropiche» (secondo lo standard internazionale Anti-pollution) sono già da tempo entrate a pieno titolo nelle aggressive strategie concorrenziali delle grandi imprese multinazionali tecnologicamente più avanzate del pianeta: infatti, attraverso le politiche aziendali “rispettose” della sicurezza e dell’ambiente il grande Capitale mette fuori mercato la media e la piccola impresa, ma anche la stessa grande impresa che non riesce a tenere il passo con quelle aggressive e costose politiche “eticamente corrette”. Standard qualitativi e concentrazione capitalistica sono due facce della stessa medaglia**. Sul terreno della competizione capitalistica globale anche le benemerite Organizzazioni Non Governative dedite alla salvezza del pianeta stanno dando un notevole contributo.
«Nonostante gli sforzi la Volkswagen negli Usa continua a faticare rispetto alla concorrenza. Da gennaio ad agosto ha immatricolato 238 mila veicoli, il 2.7% in meno di un anno fa. L’apertura dello stabilimento di Chattanooga con un investimento di un miliardo di dollari non ha prodotto gli effetti sperati: l’obiettivo di un milione di automobili l’anno entro il 2018 appare lontano» (Il Sole 24 Ore). Evidentemente il management della casa automobilistica tedesca oggi nell’occhio del ciclone ha cercato di dare un “aiutino” alla capacità concorrenziale del suo prodotto, «anche per salvare posti di lavoro» (non solo in Germania): «Es ist der Kapitalismus, Schönheit!». Il Capitale statunitense ha risposto per le rime: «Exactly!».
In attesa di ritornare sulla scottante questione, rinvio a un interessante articolo pubblicato sul Sole 24 Ore.
Post Scriptum: Il lettore forse si aspettava che scrivessi qualcosa sull’orgoglio ferito della Cancelliera di Ferro («oggi di plastica!») e sulla spocchia/ipocrisia dei tedeschi che si rivelano essere «poco affidabili esattamente come gli italiani e i greci». Per il livore antitedesco rimando agli specialisti della materia, che in Italia abbondano a “destra” come a “sinistra”. Piuttosto sarà interessante vedere come reagiranno i politici tedeschi e il “popolo” tedesco a questa battaglia persa in modo così rovinoso e umiliante. La guerra sistemica comunque continua, e pare che a Berlino si stanno studiando contromisure e ritorsioni “a 360 gradi”. Non solo contro gli Stati Uniti. Es ist der Kapitalismus, Schönheit!
* «Nella drammatica vicenda che ha coinvolto Volkswagen e rischia di trascinare nello scandalo altri marchi, c’è paradossalmente un lato positivo. Una speranza perlomeno. Per andare oltre le inevitabili e incalcolabili ripercussioni economiche e industriali dell’intero comparto automobilistico (è prevedibile che crolleranno le vendite dei motori diesel messi così grossolanamente sotto accusa), i maggiori governi europei dovrebbero oggi più che mai fare un sforzo definitivo, serio e soprattutto comune, per dare una spinta alla diffusione delle auto ibride ed elettriche. Quasi tutte le case automobilistiche hanno nella loro gamma vetture a batterie. Le ibride, supportate dal motore termico, hanno vita più facile e si stanno conquistando una loro nicchia di mercato (Toyota docet). Le elettriche pure, quelle veramente a emissioni zero allo scarico, restano praticamente invendute. Mancano le infrastrutture e sufficienti incentivi economici all’acquisto (se si fa eccezione per alcuni Paesi del Nord Europa, la Norvegia prima tra tutti). Ma l’industria è tecnologicamente pronta per dare una svolta concreta alla mobilità nel giro di tre-cinque anni. Ed è pronta anche Volkswagen, come aveva annunciato l’ex CEO Martin Winterkorn prima del terremoto. Non basta? In occasione del recente salone di Francoforte, il grande capo di Mercedes, Dieter Zetsche, ha dichiarato : «Sono disponibile a creare un’alleanza con Audi e Bmw per le batterie delle auto elettriche». Che possa essere davvero questa la via di fuga dell’industria automobilistica europea messa all’indice dagli americani? Come sempre la risposta è nelle mani, speriamo non inquinate, della politica» (M. Donelli, Il Corriere della Sera, 24 settembre 2015 ). Su questi temi rimando a Industria automobilistica e competizione capitalistica totale.
** Per Federico Fubini «Le somiglianze tra la crisi dei subprime del 2007-2008 e Lehman Brothers e lo scandalo Volkswagen sono impressionanti. Volkswagen realizza vendite per oltre 200 miliardi di euro l’anno, è il più grande investitore al mondo in ricerca e sviluppo, assicura in Germania 600 mila posti di lavoro diretti (più milioni di posti indiretti). Il settore auto pesa per 300 miliardi di euro di esportazioni, la prima voce del made in Germany. Anche Volkswagen è “too big to fail”, dunque il governo tedesco interverrà per salvarla: ma lo farà violando e forse demolendo le regole europee sugli aiuti di Stato, quelle che avevano rimesso un minimo d’ordine nel rapporto fra politica e imprese in Italia» (Il Corriere della Sera, 24 settembre 2015).
Mi linkano da Facebook:
http://www.msn.com/it-it/money/storie-principali/dopo-la-grecia-la-nuova-stangata-di-berlino-sull%E2%80%99europa/ar-AAeNglr?ocid=spartanntp
«Solo una profonda rifondazione etica e un forte ripensamento sugli incentivi ai manager che hanno posto le basi per una epidemia di comportamenti scorretti, possono restituirci la civiltà dell’industria [sic!]. Non abbiamo bisogno di nuove leggi ma di tornare a ben dividere la proprietà dal controllo e finirla con i manager azionisti che pensano solo alla profittabilità dell’impresa a breve in relazione solo al loro personale tornaconto». Ma che cattivoni questi «manager azionisti che pensano solo alla profittabilità dell’impresa a breve in relazione solo al loro personale tornaconto»! Mica siamo nel Capitalismo! Come? Dite che trattasi appunto di Capitalismo Mondiale? Beh, allora dobbiamo salvare il Capitalismo dai capitalisti! Almeno dai «manager azionisti che pensano solo alla profittabilità dell’impresa a breve in relazione solo al loro personale tornaconto». Lo dice anche il Compagno Papa Francesco, «un marxiano/marziano all’Onu». E se lo dice Lui…
Caro Sebastiano, e noi che pensavamo di avere individuato il meccanismo in cui il motore capitalista si inceppa. Abbiamo sbagliato tutto! Ecco servita la soluzione. In aggiunta a manager onesti e non azionisti, proporrei anche politici onesti, amministratori locali incorruttibili, burocrati moralmente inattaccabili e ovviamente auspicherei che le classi dominate la finissero di rompere i… Voglio dire, questi lavoratori con le loro richieste, che si mettano in testa di tenere basse le loro pretese e imparino un po’ di cultura del lavoro e vedrai come la macchina da guerra capitalista riprenderà a macinare… ops, macinare? Non è che macinerà anche esseri umani? Quali? Chi li ha mai visti, finora? In fondo, una buona ventata di etica sistemerà tutto, ora che Francis ha portato la sua crociata anche nell’impavida terra d’America. Senza contare che le cosiddette buone pratiche sociali che certificano la responsabilità sociale d’impresa e i suoi requisiti etici, ora si stanno diffondendo anche nel settore agroalimentare, a proposito dei tuoi ottimi post agricoli di qualche settimana fa. Vedi, siamo sempre fuori tempo e senza fiducia nelle grandi capacità morali della buona vecchia borghesia. Non impareremo mai!! Quando mai mettere in discussione il Capitale e le sue meravigliose opportunità di progresso? Non è che poi qualcuno pensa che siamo degli agitatori disfattisti e comunisti?? Mi dissocio…
What a sucking world!!
Buona Domenica
Mi dissocio anch’io, tanto più in considerazione del fatto, inaudito e scandaloso, che oggi è il Caro Francis a essere il campione dei diseredati. Chi siamo noi per contendere al Massimo Vicarius Christi la leadership in fatto di “comunismo”?! Buona domenica a te. Ciao!
Caro Bob, ecco finalmente la buona novella! L’ho scoperta un minuto fa. Con gioia ti metto a parte del segreto lungamente nascosto agli occhi di noi poveri cristi.
«È ora di rendersi conto che il capitalismo sta fallendo. Questa settimana Internazionale pubblica in copertina L’era del postcapitalismo, l’articolo di Paul Mason uscito sul Guardian. Secondo il giornalista britannico, la tecnologia è la via d’uscita alla crisi globale scoppiata nel 2008. Permetterà il superamento del capitalismo come lo conosciamo oggi, dando vita a un’era “postcapitalistica”, in cui il sistema non sarà più incentrato sul mercato ma sulla condivisione del sapere e della produzione. “Il postcapitalismo è il sistema che emergerà sopprimendo i monopoli, facendo cadere i prezzi delle informazioni e delle cose, e separando nettamente il lavoro dai salari, per favorire quella parte di economia dove le cose gratuite, condivise e prodotte in comune prenderanno il posto delle forze di mercato”, spiega Mason nel video del Guardian. La tecnologia ha introdotto modi di lavorare e consumare che mettono in discussione il sistema economico basato sulla legge della domanda e dell’offerta. Tempo libero, attività in rete e gratuità saranno la moneta di scambio del futuro».
Il vecchio avvinazzato di Treviri in soffitta, all’istante. Da oggi il mio motto è: Robot e computer di tutto il mondo, interfacciatevi!
Accidenti! Altra conferma di quanto siamo fuori pista Sebastiano. Propongo che entrambi ci incontriamo a Roma appena Francis ritorna e ci facciamo esorcizzare, perché credo che lo spirito maligno del disfattista di Treviri si sia impossessato di noi!! Il buon Paul Mason, lui e la sua amica Stephanie Flanders, il terrore dei conservatori e dei pescecane neoliberisti, gente malvagia assetata di profitti.
Queste idee sulla tecnologia che metterà fine al Capitalismo sono in auge in UK e USA già dai primi anni 2000, uno dei precursori è il mio caro professore Jeremy Rifkin. Roba da spellarsi una parte del corpo che qui non oso citare dalle risate. Per il nome di qualche dio che non si offende se lo menziono (di questi tempi tra querele e tagliatori di teste bisogna essere prudenti), qui bisogna arricchirsi in fretta, se il Capitalismo sta per crollare, in questa imminente era post capitalista, trovarsi un buon gruzzolo può giovare, che pensi? Sai che ti dico, invece del delirio psichedelico del buon Paul (è stato pure insegnante di musica, lo sapevi?) ora vado a riordinarmi le idee con le rullate psichedeliche del buon Nick, Mason per Mason voto per quello dei Pink Floyd!!
A presto.
Bob
P.S.: fammici pensare sull’invito di mandare in soffitta l’avvinazzato di Treviri, nel caso propongo di farlo insieme e di celebrare l’evento con un buon bicchiere di vino, dalle tue parti ce n’è di ottimo. In quanto all’esorcismo, vediamo, decideremo.
Concordo su tutto. Soprattutto sui Pink Floyd e sul vino, da trincare ovviamente alla faccia del noto teorico tedesco del «feticismo tecnologico»: che robaccia metafisica! Ciao!