MACELLO SIRIANO. C’ERA UNA VOLTA IL MOVIMENTO PACIFISTA…

colomba-medio-orienteUn morto è una tragedia, un milione di morti sono una statistica.

Fecero un deserto e lo chiamarono Pace.

«Pacifism won’t work», Il pacifismo non funziona: così titolava a tutta pagina il Catholic Herald nel numero uscito lo scorso 29 aprile. Come non essere d’accordo? Certo, si tratta poi di capire il senso ideologico e politico di questa mera constatazione dei fatti. L’articolo di Adriano Sofri pubblicato ieri dal Foglio può forse aiutarci a cogliere qualche aspetto significativo del problema messo sul tappeto dalla rivista cattolica, la quale, detto en passant, paventa una “deriva pacifista” da parte della Chiesa di Roma che la porterebbe a rinnegare il principio del «legittimo uso della forza nelle situazioni peggiori». Scrive Sofri:

«Esattamente nelle ore in cui il mattatoio di Aleppo culmina nei crimini di guerra di Putin e Assad contro inermi ostaggi del fanatismo jihadista, […] i nobili pacifisti – nobili davvero, ci credono davvero, quando si mobilitano per lasciare indisturbato il genocidio di Ninive e quando si mobilitavano per lasciare indisturbato il genocidio di Srebrenica – chiamano guerra il soccorso, e credono sinceramente di opporsi alla guerra quando si oppongono al soccorso. […] La Siria è l’esempio più perverso e colossale nella storia contemporanea dei disastri dell’omissione di soccorso. Cinque anni fa Assad scatenò una violenza ottusa e spietata contro i ragazzi delle sue scuole e i suoi sudditi che volevano farsi cittadini. Tre anni fa Assad violò provocatoriamente la solenne Linea Rossa fissata da un Obama renitente e illuso che non l’avrebbe mai davvero superata. Assad è un criminale all’ingrosso ma non è stupido: aveva capito bene Putin e aveva capito bene Obama. Forse avevano capito bene anche il pacifismo e il Papa. […] Che i curdi si battano e valorosamente e dalla parte giusta sono disposti più o meno volentieri ad ammetterlo tutti: ma anche i più incantati sostenitori del valore delle curde e dei curdi del Rojava parlano più volentieri del confederalismo democratico sperimentato colà che della combinazione fra il loro valore militare e l’apporto aereo degli americani e dei francesi. Senza il quale Kobane sarebbe ancora in mano all’Isis, più o meno come le città italiane di settant’anni fa in cui pure si battevano arditamente e immaginavano un mondo giusto i partigiani». Sofri conclude il suo articolo ribadendo la necessità «di invocare una polizia internazionale a protezione di chi soccombe, nel momento in cui soccombe».

Ora, non so se sia meno “utopista” la mia posizione radicalmente anticapitalista, che incita (peraltro inutilmente!) le classi ovunque oppresse, sfruttate e macellate a rispondere alla guerra dei padroni del mondo con la guerra di classe spinta fino alla rivoluzione sociale (campa cavallo!), o l’interventismo “umanitario” di Sofri, indicazione politica che peraltro è perfettamente organica al Sistema Mondiale del Terrore – un po’ come la Croce Rossa è da sempre organica al sistema della guerra. Quando parla di «polizia internazionale» egli certamente pensa ai mitici “caschi blu” dell’Onu («e ho detto tutto», come dicevano i fratelli Caponi); ma pensa anche all’imperialismo, pardon: all’internazionalismo democratico e progressista del Presidente Obama, il quale per molti suoi tifosi europei, oggi delusi, è rimasto vittima della sempre attiva sindrome di Monaco (correva l’anno 1938), mentre per sovramercato incombe sui destini del mondo la sinistra ombra isolazionista dell’inquietante Trump.

Certo è, che il silenzio emesso negli ultimi anni dal movimento pacifista, così reattivo e rumoroso tutte le volte che gli Stati Uniti hanno monopolizzato la scena bellica in qualche parte del pianeta (in Afghanistan e in Iraq, ad esempio), è davvero assordante, cosa che, a mio avviso, porta acqua al mulino delle tesi di chi ha sempre denunciato la sudditanza ideologica di quel movimento, o almeno della sua parte più organizzata e militante, nei confronti del vecchio antiamericanismo di matrice “comunista”, eccellente supporto politico-ideologico dei Paesi concorrenti della Potenza americana. Ma ovviamente non tutti la pensano così.

«Le fotografie dei bambini siriani feriti e morti nei bombardamenti indignano, ma non mobilitano. Nessuno si muove per mettere fine alle strage di Aleppo. Perché? Ne abbiamo parlato con Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della Pace e tra i promotori della Marcia Perugia – Assisi. Cosa risponde a chi vi contesta di aver fatto grandi mobilitazioni quando la controparte erano gli Stati Uniti, per esempio al tempo di Bush? “No, non è cosi, queste sono solo le solite vecchie polemiche. Certo c’è stato negli anni chi si è mobilitato esclusivamente per quello (contro gli Stati Uniti, ndr), ma il movimento per la pace italiano ha radici antiche e ben altro spessore. E sono convinto che rinascerà”. Questo è un auspicio e nel frattempo? “Dobbiamo interrogarci, riflettere, senza scaricare le responsabilità su altri”» (P. Bosio, Radio Popolare, agosto 2016). Buona riflessione, dunque.

Nel frattempo le agenzie di tutto il mondo informano che «Le forze governative siriane, sostenute dall’aviazione russa, da militari iraniani e dagli Hezbollah libanesi, si preparano a un’offensiva di terra senza precedenti contro Aleppo Est». Pare che Putin stia valutando una soluzione di stampo ceceno per la martoriata città siriana: farne una tabula rasa, come accadde alla fine degli anni Novanta a Grozny. Della serie: Fecero un deserto e lo chiamarono Pace.

«Da venerdì, 96 bambini sono stati uccisi e 223 sono stati feriti dai bombardamenti effettuati sulla città di Aleppo. A riferirlo è l’Unicef, che ha definito “un incubo vivente” quello in cui sono “intrappolati” i piccoli siriani: “Non ci sono parole per descrivere le sofferenze che stanno patendo”» (TGcom 24). L’altro aspetto tragico dell’incubo vivente è che nessuno può dire oggi di non saperne niente: tutti sappiamo tutto in tempo reale: a colazione, a pranzo e a cena. E a questo punto i fratelli Caponi avrebbero saputo come ben chiosare. Rimane da dire che «Il segretario di Stato americano, John Kerry, ha minacciato di congelare la cooperazione con la Russia sulla Siria. Gli Stati Uniti stanno valutando inoltre “opzioni non diplomatiche” per far fronte alla crisi siriana». Il linguaggio politicamente corretto degli imperialisti “occidentali” è davvero comico: «opzioni non diplomatiche»! Ecco perché molti analisti geopolitici ascoltano più volentieri il rude e virile linguaggio di Putin.

A proposito del movimento pacifista, Francesca Borri la pensa in modo diverso da Flavio Lotti; in un articolo pubblicato qualche mese fa su Internazionale (Perché i pacifisti in occidente non manifestano contro Assad) scrive: «La solidarietà esiste, non è vero che il movimento pacifista non ha più capacità di mobilitazione. Il problema è che in Siria sta con Assad. Sta con l’uomo che ha usato ogni arma possibile contro i siriani, dai gas alla morte per fame, l’uomo che ha inventato i barili esplosivi, che per anni ha bombardato tutti tranne i jihadisti dello Stato islamico. L’uomo che ha finito per uccidere o ferire il 12 per cento della popolazione che sostiene di governare. Ma che è da molti considerato il male minore. Perché tutto è meglio dell’islam. E non importa che oltre la metà dei siriani, ormai, siano sfollati o rifugiati, non importa che quattro siriani su cinque siano sotto la soglia di povertà e che un milione di loro vivano mangiando erba e bevendo acqua piovana, e che secondo gli economisti ci vorranno 25 anni perché il paese torni a essere quello di prima della guerra, quando secondo le Nazioni Unite il 30 per cento dei siriani viveva già sotto la soglia di povertà. Non importa che Assad abbia demolito la Siria, non importa che abbia distrutto un’intera generazione, che abbia trasformato i siriani in un popolo di mendicanti, coperti di fango e stracci agli angoli delle nostre strade, annegati sulle nostre coste. Non importa che proprio come i suoi tanto criticati oppositori resista solo grazie al sostegno esterno, che non riesca a vincere questa guerra neanche con l’appoggio di Hezbollah, della Russia, dell’Iran e di centinaia di mercenari: non importa che stiamo mantenendo al potere uno che in realtà non ha potere. Non importa: perché Assad è laico. E questa, per noi, è l’unica cosa che conta».

Ma “noi” chi? Noi “occidentali”? noi “pacifisti”? In ogni caso, chi scrive è ovviamente schierato anche contro gli interessi dei Paesi “occidentali”, a cominciare da quelli italiani, che nell’area mediorientale non sono irrilevanti, tutt’altro – e non sempre in armonia con gli interessi degli “alleati” europei: vedi Libia. Quanto al pacifismo, no, decisamente non posso definirmi un pacifista. D’altra parte, la pace è un lusso che questo mondo disumano – perché fondato su rapporti sociali di dominio e di sfruttamento – non può concedersi.

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LA SIRIA E IL SISTEMA TERRORISTICO MONDIALE

5 pensieri su “MACELLO SIRIANO. C’ERA UNA VOLTA IL MOVIMENTO PACIFISTA…

  1. Pingback: LA SIRIA E IL SISTEMA TERRORISTICO MONDIALE | Sebastiano Isaia

  2. Commenti da Facebook:

    M. S.:

    Va bene, potrebbe essere più mirato, più furbo questo movimento pacifista… ma non è per simpatia per le altre parti nel macello…Forse sono analisi da parte di chi non è mai stato pacifista o in qualche manifestazione pacifista…forse manca di profondità. Se uno o due decenni fa, manifestavi contro i bombardamenti in Iraq e non per quelli contro Grozny e la Cecenia non era per simpatia per Putin è perché Putin….non era come per il Vietnam. È perché Putin lo dai per dittatoriale, come non manifestavi contro Saddam perché gasava i Kurdi iracheni…quelli se ne fregano (oddio anche le democrazie occidentali abbiamo imparato che se ne fregano…però). E Invece dimmi che cosa fanno di buono i governi occidentali ? Non vendono forse le bombe all’Arabia Saudita ? Non comperiamo cose dalla Turchia ? In fondo teniamo le sanzioni alla Russia per l’Ucraina, ma magari gliele togliamo perchè bombarda anche l’Isis…Insomma ove il più pulito ha la rogna proprio il pacifismo possiamo dire che fa schifo ? Di nuovo il colpevole di tutto è Assad ? O Putin? O forse non era il caso nemmeno di armare proprio i Salafiti ?

    M. L.:

    Chiediamolo a Sebastiano Isaia. Ho comunque la sensazione che il suo intervento intendesse porsi su un piano abbastanza differente. A parte questo, ti confesso che a volte Sebastiano mi fa venire i nervi con altri suoi articoli in cui si ostina a declinare – qualunque sia l’argomento – la sua posizione rispetto a quello che lui definisce “il Dominio”, prima di arrivare al punto specifico del suo intervento. Forse qui invece sarebbe stata una di quelle volte in cui era utile uno statement introduttivo. Si sarebbe capito meglio che per lui non si tratta di trovarsi una collocazione sul campo, ma di porre le premesse per porsi radicalmente all’esterno. Non per non sporcarsi le mani, ma per trovare quella maniera efficace di contrastare ciò che lo causa. In questo sono molto d’accordo con lui.

    Sebastiano Isaia:

    «E Invece dimmi (o me lo spieghi sebastianoisaia) che cosa fanno di buono i governi occidentali?». Nulla di buono, Mauro. Assolutamente niente. E lo scrivo pure: «In ogni caso, chi scrive è ovviamente schierato anche contro gli interessi dei Paesi “occidentali”, a cominciare da quelli italiani, che nell’area mediorientale non sono irrilevanti, tutt’altro – e non sempre in armonia con gli interessi degli “alleati” europei: vedi Libia». Il concetto di Sistema mondiale del Terrore, di cui ho scritto qualche giorno fa e il cui intento polemico è abbastanza evidente (tutti i governi usano oggi la “guerra al terrorismo” in chiave di controllo e di repressione sociale) comprende in primo luogo i più grandi Paesi del pianeta: Stati Uniti, Cina, Russia, i Paesi dell’Unione Europea e così via. Come dici tu, tutti hanno la rogna. Per quanto riguarda il movimento pacifista, non sono il solo a metterne a nudo le contraddizioni. Scrivevo l’altro ieri: «È ovvio che l’antiamericanismo ideologico di chi vede in opera, e denuncia, solo un imperialismo (il solito, sempre quello, dal 1945 in poi), mentre è pronto a sostenere, o quantomeno a giustificare, le ragioni, a mio modesto avviso non meno reazionarie e disumane, dei Paesi che in qualche modo lo contrastano non aiuta il lavoro di coloro che si sforzano di smontare la propaganda dei governi occidentali senza per questo portare acqua al mulino dei governi che promuovono gli interessi imperialistici dei Paesi concorrenti, non importa se grandi o piccoli, “occidentali” o “mediorientali”, del “Nord” o del “Sud” del mondo. L’autonomia di classe, se non è una vuota frase da spendere sul mercato della politica pseudo rivoluzionaria, non si arresta ai confini nazionali, ma si esercita anche sul terreno della competizione interimperialistica, ovunque e comunque (in forma economica, diplomatica, militare) essa si esplichi».

    M. S.:
    Quindi contro chi manifesto? E Gino Strada è solo antiamericano ? Dove dovrebbe manifestare al Cremlino ? Non credo che abbia simpatia per quei governi… Insomma che ce frega delle contraddizioni dei pacifisti? Oppure cosa consigliate? Se vado a manifestare ad una ambasciata siriana mi ridono in faccia… d’altronde se i qeidisti o salafiti prima dell’Isis beccavano un soldato di Assad lo uccidevano come l’Isis stessa… oppure la politica degli scudi umani, di chi accusavano Saddam non è che la attuano anche i “ribelli” dell’esercito libero siriano? Chi offre un centro di gravità permanente?

    Sebastiano Isaia:
    Mauro, io posso parlarti del mio personalissimo «centro di gravità permanente» (che naturalmente non voglio né imporre né “vendere” a nessuno): l’anticapitalismo radicale – anche perché non concepisco altro anticapitalismo che non sia radicale, ossia inconciliabilmente ostile ai vigenti rapporti sociali e a tutte le sue variegate e feticistiche fenomenologie: capitale, denaro, merce, lavoro salariato e quant’altro. Scrivo questo non per esibire un risibile certificato di idoneità “rivoluzionaria”, né per risponderti punto per punto, ma per chiarire almeno il fondamento concettuale (che parolona!) su cui si regge la mia critica. Certo, anche la mia critica del pacifismo, il quale, sempre a mio avviso, non coglie il fondamento storico-sociale della guerra e, più in generale, della violenza. Io mi sento in guerra contro questa società (declinata nella sua dimensione mondiale, che è poi la dimensione del Capitalismo/Imperialismo del XXI secolo), ed è per questo che non mi ritengo un pacifista, come scrivo nel post. Né intendo illudere i miei interlocutori circa la possibilità della pace nel seno della vigente società, la quale è bellicosa e violenta (e non mi riferisco solo alla violenza delle bombe) per necessità storica e sociale, non certo perché dei pazzi si impadroniscono del potere a Mosca piuttosto che a Berlino, a Pechino o a Washington. Personalmente è dagli inizi degli anni Ottanta che partecipo alle iniziative antibelliche, portando il mio punto di vista “classista” anche nei movimenti pacifisti, nonostante ne riconoscessi limiti e contraddizioni. Perché parlo di punto di vista classista? Perché per me la divisione in classi sociali degli individui rappresenta il male assoluto, nonché una realtà che permette di capire i più importanti fenomeni sociali. Guerra compresa, si capisce. La violenza che è in grado di dispiegare la guerra ci rivela il vero volto di questa società. Insomma, è da questa prospettiva, classista più che geopolitica, che osservo e critico il mondo. Ma mi accorgo di aver scritto troppo, e forse senza aver spiegato nulla della mia posizione. Capita! Diciamo allora che si tratta di una introduzione al tema. Ciao!

    M. L.:
    Quindi la questione è etica, giusto M.? Una carneficina è in corso e ogni individuo che dice di essere “umano” ha il dovere morale di manifestare contro. Ma contro chi? Occorre un obiettivo concreto – una scelta di campo. Questo è ciò che provi tu, giusto? Bene, la mia posizione è differente e viene da un apparentemente freddo calcolo: 1) la mia partecipazione alla protesta in termini numerici, ovvero come un partecipante in più al manifestare, non sarà rilevata; quindi di fatto è nulla. L’obiezione standard a quest’affermazione è: “Ma se tutti la pensassero come te, ecc.?”. Questa obiezione è astratta perché, nei fatti, tutti non la pensano come me, quindi escludiamola. 2) La mia partecipazione alla protesta, ancora una volta in termini numerici, non allevierà benché minimamente il dolore di chi questo orrore lo patisce in prima persona, e ciò per la medesima ragione di cui al punto precedente. 3) Alla domanda: “Manifestare è inutile allora?” rispondo: NO. Schierarsi con alcuni degli attori in campo contro altri è però, a mio avviso, una strada senza uscita. Se conveniamo che non ci sono “buoni” e “cattivi” in un conflitto, io insisto sul fatto che è un errore mortale scegliere tatticamente questa o quella parte con l’illusione di migliorare le cose. La storia ci insegna che anche se “i meno cattivi” alla fine la spuntano contro i “cattivoni”, il problema è solo rinviato alla prossima carneficina: Sebastiano direbbe: “È il capitalismo, bellezza!”. Io dico: chi crede che ci sia sempre la possibilità di scegliere il male minore dovrebbe anche tener conto che al peggio non c’è fine. 4) Come si può allora manifestare senza avere un “obiettivo concreto” contro cui farlo? Qui l’imbroglio sta nel fatto che l'”obiettivo concreto” sia una delle parti in campo, ma soprattutto nella dittatura di un certo uso del verbo “fare”. È un’ansia tipica del nostro tempo quella del “fare” presto e a tutti i costi. Un’ansia che raggiunge un apice esemplare nel marito che si ritrova spodestato da una variazione epocale della corrente di potere che intercorre tra i sessi e deve “fare” qualcosa alla svelta contro la sua frustrazione; allora prende un coltello da cucina infligge 25 colpi alla compagna. Quello che manca al nostro tempo (e che ci fotte), secondo me, non è la mancanza di “fare”, ma quella di “pensare” (che pare strano ad alcuni, ma è anche quello un “fare”). E qui mi avvio verso la conclusione. Il mio modo di manifestare, quello che ritengo efficace, o perlomeno a sentirmi a posto con la mia coscienza (perché alla fine di questo si tratta), non è appendere una bandiera al balcone, firmare una petizione o partecipare a un corteo. Come ho già dimostrato, nessuno si accorgerà mai della mia assenza: né i miei compagni, né i massacrati. Il mio modo di manifestare è piuttosto stare qui a ragionare con te sull’argomento – a pensare ad una maniera inedita che ancora non conosco di trasformare il nostro slancio morale in lotta efficace.

  3. 1. Spettro di Monaco? Nuova Guerra Fredda? Guerra per procura? «Da quel lontano 1938, il ricordo del fallimentare tentativo di pacificazione di Monaco è stato più volte utilizzato, nel mondo occidentale, come strumento di lotta politica ogni volta che ci si è trovati a dover decidere in merito ad un possibile intervento per cercare di risolvere una crisi internazionale. […] Il mondo ha assistito ai primi anni della guerra civile in Siria senza muovere un dito. Quando lo ha fatto, dopo l’entrata in scena delle milizie di Daesh, la situazione era ormai precipitata e ciascuna delle potenze intervenute, a partire dagli Usa fino a giungere alla Russia, distingueva e distingue i “buoni” dai “cattivi” in base ai propri interessi nazionali. Così, anche quando si è cercato di intavolare i primi negoziati, le discussioni erano principalmente incentrate su chi fosse legittimato a sedersi al tavolo delle trattative: l’Iran era escluso dal veto americano e i combattenti curdi da quello turco; per alcuni il presidente al-Assad avrebbe dovuto accettare l’esilio perché i negoziati potessero iniziare, mentre c’era chi lo considerava comunque il legittimo governante della Siria e quindi indispensabile per la ricerca di una soluzione politica. Dopo l’intervento della Russia nel conflitto, attorno alla crisi siriana sembra si sia ricreata l’atmosfera tipica del periodo della contrapposizione tra i blocchi della seconda metà del XX secolo, delle cosiddette “guerre per procura”, nelle quali le due superpotenze di quel tempo – Usa e Urss – evitavano di intervenire in prima persona nelle guerre locali ma solitamente ciascuna appoggiava una delle due fazioni in lotta. […] Le accuse mosse dagli Stati Uniti alla Russia per i recenti bombardamenti sulla città assediata sono probabilmente giustificate e condivisibili, ma i russi non sono gli unici a causare la morte di civili innocenti nel corso di azioni militari contro obiettivi nemici. […] Nessuna delle nazioni intervenute finora in Siria è priva di responsabilità, per quello che ha fatto o per quello che non ha fatto. Ma se si va avanti di questo passo le manovre per i propri obiettivi geopolitici che sembrano muovere le nazioni più potenti non porteranno mai ad una soluzione per le popolazioni siriane. È necessario che il controllo delle operazioni passi alle Nazioni Unite, per quanto non abbiano dato prova di grande efficacia in nessuna delle crisi del passato. O quanto meno che gli Stati Uniti riconoscano alla Russia la dignità e lo status di potenza regionale di primo piano, accettandola come interlocutore al loro stesso livello. Altrimenti la guerra civile siriana rimarrà l’ennesimo banco di prova per i duelli a distanza tra le diverse potenze regionali che puntano a realizzare i propri disegni» (G. Ciprotti, La lezione di Monaco, Notizie geopolitiche, 1 ottobre 2016).

    Sindrome di Monaco, nuova Guerra Fredda, guerra per procura: chiamiamo la cosa come vogliamo, ma la sostanza del problema non cambia di una virgola. La gente soffre e muore a causa degli interessi economici e geopolitici che fanno capo a grandi e a piccole Potenze, a nazioni che perseguono obiettivi di respiro mondiale o regionale. Nella buia notte della competizione interimperialistica fra gli Stati e della lotta per il potere in Siria (vedi la guerra di annientamento fra esercito “lealista” ed esercito “ribelle”), tutti gli attori che si muovono sulla scena mi appaiono neri, come la morte che essi donano agli inermi.

    2. Soluzione politica… «Nel conflitto siriano operano tre principali processi logici, che spesso si intersecano e che sono anche la fonte dei tre principali pericoli. Uno è quello internazionale, che coinvolge considerazioni geostrategiche ed interessi economici. Si tratta dello scontro per il controllo del Medio Oriente fra occidente (USA ed Unione Europea, attraverso la NATO e Israele) da una lato, Russia e Cina dall’altro. Qui la Siria è un elemento cruciale. La sottomissione del paese potrebbe anche significare la possibilità di controllare l’Iran, con la collaborazione degli stati del Golfo, consentendo così la completa egemonia sulla regione. Il secondo è quello regionale. Gli stati islamisti sunniti e quelli governati dalla Fratellanza Musulmana temono la costituzione di un asse “sciita” composto da Iran, Iraq meridionale ed Hezbollah in Libano con l’appoggio della Siria, come stato laico, fra loro. Si potrebbe sviluppare una vera e propria guerra religiosa, anche se questa non è stata l’origine del conflitto. Il terzo è il conflitto siriano interno, fra un progetto laico (del governo o dell’opposizione) e uno islamico. All’interno di quest’ultimo ci sono le due correnti in competizione: la Fratellanza Musulmana e gli islamisti radicali (una minoranza ma con forte appoggio esterno). Questo potrebbe anche sfociare in un confronto armato fra i gruppi di opposizione in Siria (Fratellanza e islamisti radicali), collegato alla dimensione regionale. L’unica speranza per il futuro della Siria sta in una soluzione politica. […] L’ala moderata del governo accetta di trattare, anche se quella radicale (probabilmente dominante per il momento), è favorevole ad una soluzione militare. […] Parte dell’opposizione siriana è a favore di una soluzione politica, anche se la maggioranza chiede un intervento militare per abbattere il regime. C’è anche la proposta di organizzare una conferenza della “società civile” per la riconciliazione e la ricostruzione del paese e sono previste alcune immediate misure umanitarie. Tutto questo può sembrare un segno di speranza molto tenue, ma questo c’è. Deve esser fatto tutto il possibile per fermare uccisioni e sofferenze del popolo siriano e questo è veramente urgente. Una soluzione politica è l’unica soluzione e sembra che questa posizione stia compiendo dei progressi».

    Così scriveva François Houtart, sociologo e prete cattolico belga che nel settembre 2012 si recò in Siria con altri “uomini di buona volontà” per perorare la causa di una soluzione politica del conflitto siriano – Pace con giustizia in Siria. Tre anni dopo possiamo verificare che i tempi per una “soluzione politica” di quella carneficina non sono ancora maturi; d’altra parte, l’inasprimento del conflitto prelude proprio a quel tipo di soluzione, ne spiana – è proprio il caso di dirlo! – la strada, perché ovviamente tutti gli attori in campo desiderano sedersi al tavolo dei futuri negoziati potendo vantare i maggiori successi sul campo che sia possibile “portare a casa”, acquisendo cioè la maggiore forza contrattuale possibile. È la politica dei fatti compiuti. Ovvero: se vuoi la “pace”, prepara l’offensiva finale!

    3. Viva il Campo antimperialista! «Sia le forze governative siriane e sia la Russia stanno combattendo i brutali invasori stranieri che stanno tentando di distruggere una delle nazioni più antiche della Terra e vogliono prendere il controllo su tutto il Medio Oriente. La Siria è in prima linea nella battaglia contro l’imperialismo occidentale. E così è la Russia. E anche l’Iran, mentre la stessa Cina si unisce! Il sacrificio fatto dal popolo siriano è enorme. Ma contro ogni previsione, l’avanzata mortale degli imperialisti può essere fermata qui, dopo tutto. Come ho scritto in precedenza, il prezzo può essere terribile. Aleppo si sta trasformando nella Stalingrado mediorientale. Ma la nazione siriana eroica ha fatto la sua scelta: sarà quella di combattere gli invasori brutali e le barbarie. L’alternativa sarebbe la schiavitù, qualcosa di inaccettabile per il popolo siriano!».

    Così scrive Andre Vltchek, «filosofo, scrittore, regista e giornalista investigativo». Ora, il problema non è che un personaggio come Vltchek scriva l’escrementizia apologia del macellaio di Damasco e dei suoi alleati russi e iraniani appena citata, ma che non pochi “antimperialisti” italiani la pensano esattamente come lui sul conflitto siriano, e che più o meno apertamente anche loro tifano per una parte (quella “giusta”, è ovvio) contro l’altra (quella “sbagliata”), anziché denunciarle entrambe dinanzi alle classi subalterne di tutto il pianeta come nemiche dell’umanità. Anche perché per molti “antimperialisti” duri e puri la Russia di Putin è la continuazione con altri mezzi e nelle mutate circostanze della Russia di Stalin. E hanno pure ragione!

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