Libia e continuità storica. Cambiando l’ordine cronologico dei regimi politico-istituzionali, il risultato non cambia. E si chiama IMPERIALISMO.

Cambiando l’ordine cronologico dei regimi politico-istituzionali, il risultato non cambia. E si chiama IMPERIALISMO.

 

Saranno pure prive di qualsivoglia fondamento e politicamente poco serie, come si è affrettato a liquidarle il Governo Gentiloni, ma le minacce scagliate contro l’Italia da quello che giornalisticamente passa come «l’uomo forte di Tobruk», ossia dal generale Kalifa Haftar, non è precisamente di quelle che si prestano a una diplomatica – e scaramantica! – alzata di spalle. D’altra parte l’opinione pubblica italiana, alle prese con il Generale Agosto che ordina ben altre operazioni di massa, andava prontamente rassicurata: fatto! Si tratta adesso di vedere se la buona sorte assisterà la “missione umanitaria” organizzata dal nostro Paese. In ogni caso vale la pena di ricordare le minacce che incombono sulla proverbiale inclinazione “pacifista” e “umanitaria” del nostro imperialismo: «Kalifa Haftar in tarda serata ha ordinato alle sue forze di bombardare le navi italiane, secondo quanto riporta in serata l’emittente panaraba Al Arabiya. Per Hatar la presenza di navi straniere rappresenterebbe una “violazione della sovranità nazionale” libica» (ANSA, 2 agosto 2017). E, com’è noto, non si sbaglia prevedendo il peggio – o il meglio, punti di vista – quando la posta in palio si chiama «sovranità nazionale», per quanto malmessa e declassata possa essere la nazione, o solo una parte di essa, che si sente minacciata dal nemico. Negli ambienti diplomatici italiani si sospetta e si sussurra che Parigi abbia, se non caldeggiato o suggerito la postura aggressiva assunta dal rais della Cirenaica nei confronti di Roma, certamente creato le condizioni politiche e “psicologiche” per un atteggiamento così esplicitamente avverso agli interessi italiani.

Intanto l’altro ieri il Qatar ha annunciato una commessa all’Italia per la fornitura di 7 navi da guerra, un contratto firmato con la Fincantieri (1) del valore di 5 miliardi di euro. «Lo ha annunciato da Doha, dov’è in visita, il ministro degli Esteri Angelino Alfano. Stando a indiscrezioni della stampa si tratterebbe di 4 corvette, una nave da sbarco anfibia e due incrociatori. Alfano dal canto suo ha affermato che “si tratta di una vera operazione di sistema, non solo di un contratto di vendita, ma di una collaborazione di lunga durata finalizzata, per i prossimi 15 anni, anche alla manutenzione, all’assistenza tecnologica e all’addestramento con il supporto, per quest’ultimo aspetto, del ministero italiano della Difesa”. L’operazione coinvolgerà mille lavoratori italiani» (G. Keller, Notizie Geopolitiche). Mille italianissimi posti di lavoro: buttali via di questi tempi! È il lato buono dell’Imperialismo! Si scherza, compagno internazionalista, si scherza.

Provo a sintetizzare un editoriale-video di Fabrizio Molinari (La Stampa): «In Libia è in corso una prova di forza fra potenze europee e Stati musulmani che ha in palio l’assetto del Maghreb e che vede in vantaggio la Francia perché è l’unica ad avere una strategia di dimensione regionale. In questo grande gioco il maggiore rivale dell’Eliseo è l’Italia, non solo per i suoi cospicui interessi economici in Tripolitania (2), ma perché attraverso una sapiente politica diplomatica il nostro Paese è riuscito ad affacciarsi sul Sahel (3), ed è proprio questa sua proiezione geopolitica che probabilmente ha messo in allarme la Francia. La sfida è comunque solo all’inizio». Una sfida che come abbiamo visto a proposito della cantieristica navale e del settore finanziario-assicurativo coinvolge diversi aspetti della competizione capitalistica tra imprese e tra sistemi-Paese.

Insomma, nel suo piccolo il cosiddetto imperialismo straccione di casa nostra non rinuncia a tessere, riparare e, all’occasione, estendere la propria rete commerciale, politica e militare nella sua storica riserva di caccia in Africa e in Medio Oriente (4). Cosa che necessariamente lo mette in diretta competizione con l’assai più esperto e robusto imperialismo d’Oltralpe, il quale non perde occasione di ricordare al cugino italiano il prestigiosissimo retaggio coloniale francese e, perché no?, l’esito della Seconda carneficina mondiale. Mentre Parigi esibisce la sua tradizionale e sempre meno credibile grandeur, zitta zitta Roma continua a praticare la sua politica internazionale che in termini puntualmente scientifici potremmo chiamare del chiagni e fotti. Certo, si può sempre fare meglio, come pretendono gli incontentabili del tipo di Alessandro Di Battista («il risultato della situazione in Libia è che i francesi si beccano il petrolio mentre l’Italia i barconi») e del Professore Galli della Loggia: «L’Italia è sola. Dalla questione dei migranti al contenzioso con la Francia è questo il referto che ci consegna la situazione internazionale. E così la solitudine diventa inevitabilmente subalternità e irrilevanza. In tutti gli scenari geopolitici caldi che ci circondano, dall’Ucraina/Russia alla Siria, all’Iraq, alla Turchia, appariamo di fatto a rimorchio degli altri» (Corriere della Sera). Ci vorrebbe un sussulto di dignità nazionale, come quello che vide protagonista Craxi nella mitica notte di Sigonella (ottobre 1985), un colpo di reni geopolitico che ci rimetta in piedi: «Nel Mediterraneo perfino su Malta — della quale pure, se ben ricordo, garantiamo l’indipendenza con un apposito trattato! — non riusciamo ad avere la minima influenza. Sul teatro libico, infine, subiamo da anni le conseguenze dello smacco inflittoci a suo tempo dall’iniziativa franco-inglese con relativi flussi migratori che ci si sono rovesciati addosso». È una vergogna! Mi scuso. È uscito il patriota che c’è in me. Non succederà più!

Fonte: Limes

Per Franco Venturini (Corriere della Sera), «È una missione di deterrenza, quella che la Marina e altre forze italiane svolgeranno davanti alla Tripolitania subito dopo l’approvazione parlamentare». C’è da chiedersi: «missione di deterrenza» nei confronti di chi? Nei confronti dei «trafficanti di carne umana» o dell’attivismo francese? «Criticata da noi stessi per la sua passività», continua Venturini, «la “politica libica” dell’Italia va questa volta elogiata per il suo coraggio. Un coraggio sulla carta superiore a quello dell’incontro Sarraj-Haftar di Parigi. Ma l’esito della nostra discesa in campo, come quello delle buone promesse patrocinate da Macron, resta appeso a un filo. Che è in mano ai libici». Allora possiamo stare tranquilli, diciamo…

Livio Caputo (Il Giornale) interpreta il sentimento di molti compatrioti che patiscono «lo sfrenato protagonismo di Macron»: «Cossiga amava dire che “ad atto di guerra si risponde con atto di guerra”, mentre Andreotti chiosava che “di guance ne abbiamo solo due e dopo il secondo schiaffo bisogna rispondere adeguatamente”. […] La partita è complessa, ma se vogliamo giocarcela con qualche possibilità di successo, non dobbiamo dimenticare che, se vogliamo mantenere un ruolo dì media potenza, non possiamo continuare a ridurre, di bilancio in bilancio, le spese per la politica estera e la difesa». E questo è vero. D’altra parte il debito pubblico italiano fa sentire il suo peso su diversi aspetti del Sistema-Italia, azzoppandone gravemente la capacità competitiva. Una magagna che certo non può togliermi né il sonno né l’appetito. E ho detto tutto!

L’«economista, politologo e saggista Edward N. Luttwak, esperto di strategia militare e di politica internazionale» non ha dubbi: l’Italia deve papparsi la Libia, e gestirla, mutatis mutandis, come ai bei vecchi tempi: «L’unico Stato al mondo che ha la conoscenza, la capacità e la necessità di organizzare la Libia è l’Italia. Gli italiani hanno creato la Libia. La Libia non è mai esistita nella storia fino a quando l’Italia non l’ha costruita. La Cirenaica e la Tripolitania erano divisi perfino all’epoca degli antichi romani: una era provincia greca, l’altra era una provincia che parlava latino. È stata l’Italia che poi ha aggiunto il sud, il Fezzan. L’unico Paese che può portare alla stabilizzazione della Libia è l’Italia e lo può fare molto facilmente perché è un Paese con oltre 60 milioni di abitanti, ha la perfetta capacità di reclutare un esercito sufficiente di 100 – 120 mila soldati. Non queste missioni dove si mandano 173 soldati in Asia, non cretinate di questo tipo, non con mezzi militari, io parlo di occupazione militare. Questa occupazione verrà immediatamente appoggiata da moltissimi libici. Questa cosa andava fatta dall’inizio. I francesi in Libia ci vanno ‘con la mano sinistra’, con lo scopo di mettere le mani su qualche affare: commercio petrolifero o la vendita di qualche aeroplano. I francesi non hanno alcun interesse alla riunificazione della Libia: avere la Francia in Libia, vuol dire avere un Paese non stabilizzato che continua a riversare i suoi problemi sull’Italia. Mentre le poche ciliegie e qualche torta, che ci sono, se le mangiano i francesi. L’Italia è di fronte alla Libia, l’ha creata, ha capacità di stabilizzare la sua ex colonia. In Italia ci sono moltissimi disoccupati che si arruolerebbero ben volentieri nelle forze armate». Riecco il lato buono dell’imperialismo! Non a caso il colonialismo italiano si sviluppò sotto la copertura ideologica sintetizzabile nel concetto, ripreso poi da Mussolini, di Nazione Proletaria.

(1) Ecco cosa ha dichiarato l’Onorevole Stefano Fassina nel corso del dibattuto parlamentare sullo scottante caso Fincantieri-Stx: «Quello che fino a ieri è stato il vostro campione di europeismo e di liberismo oggi riscopre un’antica e grande parola del movimento operaio: nazionalizzazione. Magari lo fa a scopo strumentale, in ogni caso egli dà lustro a una parola che voi avete abbandonato da trent’anni». Ecco la «vera sinistra» secondo Fassina, il quale da buon nipotino di Stalin associa il movimento operaio al Capitalismo di Stato. Merda!
(2) Scriveva Pietro Saccò su Avvenire del 27 marzo del 2011, nel momento in cui l’esito dell’operazione anglofrancese volta a destabilizzare gli interessi italiani in Libia appariva ancora incerto: «In Libia economia vuol dire petrolio. I calcoli del Fondo monetario internazionale dicono che l’attività di estrazione, trasporto e vendita di greggio e gas naturale vale il 92% del prodotto interno lordo libico. Alla fine dello scontro in corso nel Paese, che con 46,4 miliardi di barili di oro nero e 55mila miliardi di metri cubi di gas naturale ha le riserve di idrocarburi più vaste dell’Africa, chi avrà preso il controllo dei giacimenti e dei terminal dove il greggio viene caricato sulle petroliere delle multinazionali avrà l’economia libica nelle proprie mani. E le stime dicono che in Libica c’è ancora molto petrolio che ancora non è stato scoperto. […] Se si guarda al conflitto libico attraverso le lenti della guerra per il petrolio, allora anche l’interventismo del Regno Unito e della Francia ha un aspetto meno solidale e motivazioni più comprensibili, così come si spiegano la maggior cautela dell’Italia e tutte le perplessità della Germania (che con Wintershall è il secondo produttore di greggio nella terra di Gheddafi)». Questo semplicemente per dire che nessuno ha mai dato credito alla natura “umanitaria” e antitotalitaria dell’iniziativa anglofrancese del 2011.
(3) «Quella del Sahel è una guerra dimenticata. I francesi sono alla testa di un’operazione anti terrorismo dall’estate 2014 – il dispositivo Barkhane – che prevede la presenza di 3.000 soldati tra Mauritania, Niger, Burkina Faso, Mali e Ciad, quest’ultimo è l’alleato più importante di Parigi in Africa. I tedeschi hanno una presenza sempre maggiore in Mali, e per la logistica si appoggiano all’aeroporto di Niamey, capitale del Niger. I due alleati europei si muovono in stretto coordinamento con una presenza ormai sempre meno discreta: quella degli Stati Uniti, che hanno speso, secondo The Intercept, 100 mila dollari per l’apertura di una base per i droni Reaper e Predator ad Agadez, snodo di contrabbando di migranti, armi, droga e quant’altro nel cuore del Niger. La Francia ha annunciato nei mesi scorsi un investimento di 42 milioni di euro per l’addestramento delle forze armate di paesi del Sahel e ha inviato nei giorni scorsi tra 50 e 80 uomini delle sue Forze speciali in Niger, al confine con il Mali» (Il Foglio).
(4) «La Marina si ritrova immersa in uno scenario regionale fattosi più competitivo. Con il Mediterraneo nuovamente nell’occhio del ciclone e un arco di instabilità che corre dalle sabbie nordafricane fino alle profondità dell’Anatolia, il relativo disimpegno della flotta statunitense dal bacino offre nuove opportunità di manovra e altrettanti motivi di apprensione. Più dell’ampliamento della presenza russa fra Bosforo, Levante e Cirenaica o della comparsa delle prime unità da guerra cinesi a nord di Suez, preoccupano i piani di riarmo navale di ambiziosi attori regionali come Algeria, Egitto e Turchia, finalizzati a dotare le rispettive Marine di nuove capacità di proiezione del potere militare con cui puntellare la propria politica estera spesso assertiva. Episodi come la campagna anglo-francese di Libia del 2011, inoltre, ricordano come la competizione investa ormai anche i rapporti fra paesi alleati e possa assumere di colpo i tratti di aspri scontri diplomatico-commerciali come quello andato in scena fra Roma e Parigi per la megacommessa navale da quasi 5 miliardi di euro alla Marina del Qatar» (Citazione da La Marina prova a tornare grande, Limes).

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9 pensieri su “Libia e continuità storica. Cambiando l’ordine cronologico dei regimi politico-istituzionali, il risultato non cambia. E si chiama IMPERIALISMO.

  1. alcuni, anche di extra sinistra, accusano gli ultimi governi italiani di non aver saputo salvaguardare gli interessi strategici della Nazione
    Falso: ci provano e riprovano ma hanno sbagliato il cavallo su cui scommettere.

  2. I nipotini di Stato o di Stalin hanno tutto l’interesse ad una narrazione circa gli interessi strategici bla bla bla …. per i sostenitori della rivoluzione, a mio avviso, invece, è sempre una questione di classe: la Nazione, almeno nel comparto europeo, è ancora all’altezza di rappresentare gli interessi generali del Capitale?

    Per l’Italia, il sovranismo lepenista in salsa grillino-leghista o l’europeismo con riserva de sinistra, sono forme diverse della stessa volontà imperialistica, costretta nel recinto delle possibilità date.
    Riusciranno i loro eroi? Non è dato saperlo.

    L’indipendenza politica dei salariati parte dalla coscienza di questa contesa democratica.

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