CATALOGNA E NON SOLO. PER UNA “SECESSIONE DI CLASSE” CONTRO GLI OPPOSTI NAZIONALISMI

Un commentatore politico (forse Antonio Polito) ha parlato di «rivoluzione dall’alto» a proposito del processo secessionista in atto in Catalogna; io toglierei la «rivoluzione», che non c’entra assolutamente niente con la cosa di cui parliamo, e lascerei senz’altro «dall’alto», anche se è un “alto” ben nascosto dalla fenomenologia di massa dell’evento qui rapidamente analizzato. D’altra parte nel XXI secolo il marketing – commerciale e politico – ci ha abituati ad associare la parola “rivoluzione” alle cose più stupide e banali di questo mondo.

Qualche giorno fa un intellettuale di “destra” (forse Pietrangelo Buttafuoco) ha scritto da qualche parte che «la secessione è un lusso che possono permettersi solo i ricchi». Pensava naturalmente alla Catalogna, ma anche alle regioni “leghiste” dell’Italia del Nord, Veneto e Lombardia in primis. Se prendiamo in considerazione l’Europa occidentale, le cose stanno proprio così, e anche nell’ex Yugoslavia furono soprattutto le ragioni più ricche (o meno povere) e socialmente più dinamiche (Croazia e Slovenia) a spingere l’acceleratore dell’indipendentismo nazionale che mandò in frantumi la creatura geopolitica assemblata da Tito alla fine della Seconda guerra mondiale, come esito di quella carneficina. Io stesso nel precedente post dedicato alla Catalogna sottolineavo l’aspetto “leghista” della vicenda. Naturalmente sarebbe sbagliato cancellare le peculiarità storico-sociali degli eventi e delle “problematiche” qui ricordati, ma certo è che tirando il filo della “struttura”, degli interessi materiali, qualcosa di vero e di significativo viene sempre a galla.

La Catalogna oggi vanta condizioni capitalisticamente invidiabili, sempre relativamente parlando: con il 16% della popolazione spagnola (7 milioni e mezzo di abitanti su un totale di oltre 47 milioni) la Catalogna è fra le principali mete turistiche della Spagna, ha un Pil pari a quasi il 20% del Pil spagnolo, vanta circa il 23% della produzione industriale spagnola (ospita anche le fabbriche automobilistiche della Seat e della Nissan), è sede di quasi la metà (il 46%) delle imprese estere che investono in Spagna (si parla di 7.000 multinazionali estere), ha un reddito pro capite più alto della media nazionale e forse anche di quella continentale (27.663 euro contro i 24.100 della media spagnola), ha una tasso di disoccupazione inferiore a quello nazionale (circa il 13,2% contro il 17,2%), e molto altro ancora. La squadra ricca e vincente del Barcellona sintetizza plasticamente l’orgoglioso spirito agonistico della Catalogna di oggi.

Certo, non tutti i catalani possono vantare stipendi milionari come quelli che allietano le fatiche dei campioni del Barça, ma questo è tutto sommato un dettaglio, diciamo, e poi non voglio scivolare nella facile demagogia: da sempre disprezzo con tutte le mie forze i professionisti dell’invidia sociale. «Nessuno è contro la Spagna o pensa che la Spagna sia il nemico. Perché un indipendentista non potrebbe giocare con la Spagna? Siamo tutti uguali, vogliamo tutti giocare e vincere. La Spagna e la Catalogna sono come padre e figlio, dove il figlio a 18 anni chiede di andare via di casa. Bisogna dialogare. La cosa più importante sono il rispetto e il dialogo». È quanto ha dichiarato il catalano Gerard Piquè, giocatore simbolo del Barcellona e pezzo forte della Nazionale spagnola. Quasi mi commuovo. Ho detto quasi. A quanto pare, Re Felipe VI e il Premier Rajoy non si sono commossi neanche un po’ ascoltando i discorsi accomodanti di molti indipendentisti catalani “moderati”; forti dell’appoggio ricevuto dall’Unione Europea, essi invece intendono mettere senz’altro con le spalle al muro la Generalitat ribelle, magari nel tentativo di spaccare e indebolire il fronte secessionista. Ieri il quotidiano catalano Avanguardia scriveva che la dichiarazione unilaterale di indipendenza avrebbe esiti catastrofici per la Catalogna, e che la strada da seguire è quella del dialogo, contro gli opposti estremismi di Madrid e di Barcellona. Quanto mi piacerebbe vedere i miei “colleghi di classe” spagnoli e catalani mandare a…, a quel paese, diciamo, le opposte fazioni sovraniste! Lo so, è una speranza destinata a rimanere delusa.

I catalani che sostengono la secessione da Madrid non si chiedono se il successo della loro regione (pardon, nazione) abbia anche a che fare con il recente passato della Spagna (scrive Aldo Cazzullo: «La Catalogna non è una terra oppressa da un conquistatore. È la regione più ricca della Spagna, e lo è diventata anche grazie al sudore e talora al sangue degli operai andalusi, dei muratori estremegni, dei manovali manchegos, dei lavoratori venuti dalle regioni più povere»); o se l’attuale relativo “benessere” possa durare fuori dal vigente quadro nazionale, e questo semplicemente perché essi sono concentrati su come custodire e possibilmente migliorare questa posizione. Tra l’altro essi confidano, non si sa quanto fondatamente, su un rapido riconoscimento del fatto compiuto da parte dell’Unione Europea, la sola cornice geopolitica possibile per una Catalogna capitalisticamente avanzata. Ma i catalani più radicalmente indipendentisti (si possono trovare a “destra” come a “sinistra”) guardano piuttosto alla Russia, alla Cina, al Venezuela come possibili “alleati”.

Ora, che c’è di male in tutto questo? Assolutamente niente! C’è forse qualcosa di male nel secessionismo lombardo-veneto, o in quello, tanto per dire, siciliano? Io credo di no, e non darò nessun contributo alla conservazione del vecchio status quo nazionale, che si tratti di Spagna o di Italia, di Madrid o di Roma. Sono piuttosto refrattario, per dirla gentilmente, ai richiami della patria.

Dimenticavo però di aggiungere al ragionamento questa piccola precisazione: non c’è nulla di male se tutto questo è considerato dalla prospettiva del successo capitalistico e della dinamica capitalistica, considerata in tutta la sua dimensione sistemica (economica, politica, geopolitica), e non a caso nel già citato post sulla Catalogna ho richiamato il concetto di sviluppo ineguale e ho citato Gianfranco Miglio, il cosiddetto teorico della Lega bossiana. Se la cosa viene invece considerata dalla prospettiva dell’autonomia politica, ideale e psicologica delle classi subalterne, essa assume un aspetto completamente diverso, ossia l’aspetto di un ennesimo “incasinamento” di quella prospettiva, visto che si chiede al proletariato catalano (o lombardo-veneto) di sottoscrivere un nuovo patto sociale, ossia la sua resa incondizionata dinanzi agli interessi nazionali declinati in salsa catalana, e magari lo si inganna con la prospettiva di più alti salari e di un più ricco welfare, frutto del mancato prelievo fiscale da parte del «parassitario e ladro» Stato centrale: «Madrid, ladrona, la catalogna non perdona!».

Al tempo del referendum sulla Brexit i politici inglesi che sostenevano l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione parlavano di una drastica diminuire dell’immigrazione, di uno spettacolare aumento dell’occupazione e di un netta riduzione dei costi del sistema sanitario e del welfare in generale, in caso di successo. Il “popolo” abboccò all’amo degli interessi nazionali: «Prima la Gran Bretagna!». E ci ricordiamo la vicenda greca ai tempi del referendum del 5 luglio 2015 sul famigerato Terzo Memorandum della Troika? Sempre nuovi specchietti per le allodole appaiono all’orizzonte delle classi subalterne, soprattutto in tempi di crisi sociale. Per la lotta di classe c’è sempre tempo! E poi, dove le mettiamo le “tappe intermedie”? Lo riconosco, sono un proletario impaziente.

Negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso fu il nazionalismo andaluso a venire incontro agli interessi del capitale spagnolo minacciati dalla lotta dei contadini poveri dell’Andalusia e dei portuali di Cadice, assorbendo e deviando le energie della ribellione sociale verso le sabbie mobili delle rivendicazioni identitarie. Nazionalismo indipendentista, repressione poliziesca e militare, gestione (finalmente!) democratica del conflitto sociale: e il gioco è fatto. Analogo discorso, mutatis mutandis, si può fare per i Paesi Baschi.

Gli interessi nazionali, non importa se declinati da Madrid o da Barcellona, da Milano o da Roma, corrispondono sempre e puntualmente agli interessi delle classi dominanti, ed è per questo che l’anticapitalista si batte contro ogni forma di nazionalismo, di patriottismo e di sovranismo. Nel caso di specie, secessionisti e unionisti per me pari sono. Per come la vedo io, bisogna piuttosto lavorare per la secessione dell’umanità dal Capitalismo. Tappa intermedia: la secessione delle classi subalterne dall’ideologia dominante che, come diceva quello, è l’ideologia delle classi dominanti.

Mi fanno ridere quegli ultrasinistri, catalani e non, che sventolano La Questione nazionale e coloniale della Terza Internazionale per sostenere le ragioni secessioniste della Catalogna, dimostrando in tal modo che per loro il materialismo storico è pura ideologia e fraseologia salottiera da mettere al servizio degli interessi nazionali di questa o quella fazione capitalista, nazionale e sovranazionale.

7 pensieri su “CATALOGNA E NON SOLO. PER UNA “SECESSIONE DI CLASSE” CONTRO GLI OPPOSTI NAZIONALISMI

  1. Sebastiano,
    propongo questa considerazione circa la precisazione sull’ulteriore “incasinamento” della propaganda sovranista declinata in salsa catalana, leghista o inglese antieuropeista.

    I sostenitori della “rivoluzione sociale” muovono dalle contraddizioni per risolvere il Capitalismo, gli opportunisti, al contrario, muovono dal Capitalismo per risolverne le contraddizioni. All’incasinamento sovranista, l’opportunista oppone la tappa intermedia europeista, una via social-imperialista, così definita da un compagno nell’ultimo caffè a Napoli. A mio avviso una strada precisa, chiara, che in attesa di intravedere all’orizzonte la sagoma del “proletario europeo”, sembra accogliere di buon grado tutte le “riforme” in atto. All’incasinamento oppone la chiarezza dell’imperialismo europeo.

    Nel precedente articolo, indicavi come necessaria l’assoluta “indifferenza” riguardo la tutela degli interessi nazionali; oggi siamo dinanzi ad interessi continentali. Qualora la sovrastruttura politica europea giunga alla composizione di un Senato federale, ritengo inevitabile possa farlo senza il passaggio attraverso il conflitto di classe ed intraclasse, che vede la secessione come una delle manifestazioni all’ordine del giorno.

    A chi ti attribuisce la mancanza di un “Che fare?”, l’indicazione politica dell’articolo precedente era chiara: dinanzi al fermento sociale che resta controrivoluzionario, il proletariato può crescere in coscienza ed autonomia politica di classe.

    • Più che di «assoluta “indifferenza”» parlerei piuttosto di assoluta contrarietà. Per il resto, se ho capito bene, condivido quanto scrivi. Ti ringrazio molto e ti saluto. Ciao!

  2. In riferimento alla questione catalana, sono in grande accordo con Sebastiano, di cui ammiro l’impegno ad andare in profondità, ed oltre formule e slogan. Ciò che non fanno partitini e siti da noi in Italia, che si dicono pure anticapitalisti, diventa una vera tortura continuare ad imbattersi nella loro paccottaglia.. Con Sebastiano, ero invece meno d’accordo sul Chavismo o Maduro, purtroppo non ebbi il tempo di rispondere e precisare qualcosa preso dagli impegni del quotidiano, ma credo non mancherà occasione

    Sempre più i partitini pseudo comunisti o quelle aree che aspirano ad essere tali, sono incapaci o rinunziano per opportunismo, a proporre una direzione politica comunista allo scontento che anche in Italia cresce fortemente.

    In misura direttamente proporzionale a tale rinuncia, indicano ai propri potenziali elettori esempi raccattati all’estero, per farne la bandiera sulla base della quale richiedere i voti, non potendo chiedere questi sulla base della visione di classe cui hanno abdicato

    Ecco che giusto per il periodo pre-elettorale si fanno seguaci di qualche modello straniero (tsipras, catalogna indipendente etc), per raccattare i voti utili alle loro stomachevoli poltrone. Poi, ottenute o meno queste, tornano alla totale inesistenza politica fino alla successiva mobilitazione elettorale Scompaiono proprio quando dovrebbero, proprio secondo una logica elettoralistica, favorire una ripresa delle lotte proletarie per poi chiedere il voto e rappresentarle in parlamento

    Ovviamente, i modelli stranieri che strombazzano ai 4 venti, non c’entrano nulla con una ripresa di lotta di classe, la lotta di classe parte dai bisogni quindi non necessita di modelli stranieri. Se fossero modelli di lotta vera, riproporli in Italia significherebbe impegnarsi anche da noi per una ripresa di classe, poi tali aree o partitini avrebbero difficoltà diventare partner dei governi locali, magari di quello nazionale, con presenza diretta o voti dati sottobanco. L”opportunismo e la sfaticataggine correlata rendono ideale il meccanismo dell’esempio che viene dall’estero e risulta parallelamente innocuo, in generale ma soprattutto rispetto ai futuri accordi elettoralistici a scopo di poltrona

    Prendiamo l’attuale innamoramento di aree e partitini pseudo-comunisti per l’indipendentismo catalano, la cosa risponde perfettamente a questo schema
    opportunista, i cui pseudo-argomenti sono

    1) l’indipendentismo catalano è sempre stato contro il franchismo. Non è neanche del tutto vero, negli anno 30 l’indipendentista catalano Louis Compayon, per difendere i privilegi della sua classe, cercò lo scontro con la centrale anarco-sindacalista CNT facendo un grosso favore a Franco (Semana Tragica). Ma poi, inventarsi lo scontro finale tra il fascismo residuo di Madrid e l’antifascismo catalano è una chiara presa per il culo, che non risponde affatto ad una lettura seria della situazione attuale, per quanto sia contestabile anche più in profondità l’dea che si debbano produrre fronti poplari con la borghesia democratica

    2) l’indipendentismo catalano è un vasto movimento di popolo, quando il popolo si muove è sempre buona cosa ed i comunisti devono stare affianco ad esso, come facevano i bolscevichi. I bolscevichi non avevano mai un atteggiamento codista, aitrimenti sarebbe come dire che bisogna appoggiare la lega nord perché tanti proletari la supportano. L’ndipendentismo catalano è la stessa cosa che la lega nord, ed il vantaggio fiscale per la ricca catalogna non sarebbe certo lasciato ai proletari catalani, data la guida borghese dell’indipendentismo. Quanto ai bolscevichi, Martov o Kerenschy parlavano davvero di fine della guerra o di socializzazione della terra, per quanto strumentalmente, ed allora l’atteggiamento dei bolscevichi non era codista ma poteva puntare su una trascrescenza di quel movimento di popolo

    3) L’indipendentismo catalano rompe la gabbia della UE e dell’Euro. A parte che l’Euro è solo una misura formale, se mai il problema è il rapporto sociale capitalistico tra aree periferiche e centrali della UE che la moneta unica esprime (tipo Grecia e Germania), per non dire che l’Euro è al contempo la risposta delle borghesie europee alla crisi del capitalismo. Tuttl gli squilibri di cui viene incolpato l’Euro sono in realtà squilibri dovuti al rapporto sociale capitalistico, si tratta di una questione di classe, di cui l’Euro è solo la espressione formale

    Anche senza Euro resterebbe immutato il rapporto sociale capitalistico tra aree periferiche e quelle centrali della UE così come il rapporto tra borghesia e proletari in generale. L’unico risultato quindi, sarebbe non già il miglioramento delle condizioni di vita dei proletari o una eliminazione degli squilibri regionali, ma solo una parziale ridefinizione dei rapporti di potere all’interno della borghesia europea, o forse solo un passo avanti sulla via della implosione totale.. Il rapporto sociale capitalistico è quello che deve essere superato, e prendersela con L’Euro o la UE è solo mistificare il per cercare accordi frontisti con la borghesia, meglio se “Sovranista o Indipendentista Catalana

    4) Ma il colmo dei colmi, è che a dispetto di quanto tanti pseudo comunisti stanno sostenendo in queste ore circa la rottura della gabbia Ue che tifa per la Spagna, gli indipendentisti catalani non hanno alcuna intenzione di uscire ne dall’Euro ne dalla Ue, e allora si vede bene come questi pseudo-comunisti non sappiano più nemmeno mistificare

    La verità, che definisce ancor più come ignobili ed immondi tanti finto-comunisti, e che nella Catalogna la classe operaia è costituita in maniera notevolissima da spagnoli immigrati da tutte le altre regioni storiche della spagna, per cui la traiettoria indipendentista non può che spaccare la stessa classe operaia catalana, che per una parte essenziale non potrà mai essere indipendentista indipendentista, e la spaccatura ovviamente si produrrebbe nella intera classe operaia spagnola a fronte di un capitale che in ogni caso resta ampiamente europeizzato ed internazionalizzato. La genesi stessa dell’attuale indipendentismo catalano si può inquadrare nel fatto che il governo regionale catalano negli ultimi anni ha implementato con zelo le indicazioni europee contro il lavoro, ed a misura che faceva questo metteva in posizioni istituzionali importanti elementi di spicco dell’indipendentismo per riacciuffare con la scusa dell’indipendentismo il consenso popolare che perdeva a causa delle legislazioni messe in atto contro il lavoro

    Forse forse neanche Renzi con i suoi bonus ( 80 euro) dati come cortina fumogena mentre precarizzava il lavoro con il job act, ha raggiunto un tale vertice di profonda e costante abiezione antiproletaria, così come hanno saputo fare quelli di Poudemont con la cortina fumogena dell’indipendentismo

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