La medaglia d’oro della banalità politicamente corretta oggi va senz’altro concessa a Concita De Gregorio, la quale scrive su Repubblica la perla progressista-francescana (nel senso di Papa Francesco) che segue: «Ridateci una politica dove più dello spread contano le persone. Il dibattito della gente è sulla vita reale più che sui vincoli economici». Come se la «vita reale della gente» non fosse tutti i giorni incalzata e sferzata dalla potenza disumana del Moloch chiamato denaro! Certi personaggi hanno una concezione ben strana circa la «vita reale della gente».
Oggi insomma veniamo a sapere ufficialmente che nella società capitalistica la sovranità politica non appartiene al cosiddetto Popolo, «che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» (borghese), ma ai mercati, ai poteri forti, ai loschi gnomi della finanza (magari amici di Soros, e ho detto tutto!): come si fa a non indignarsi. È vero, il mitico/famigerato “Piano B” dell’ormai celebre Paolo Savona, l’eroe del giorno per ogni sovranista che si rispetti, prevede sacrifici inenarrabili per il Popolo, lacrime e sangue che il Popolo italiano non ha ancora conosciuto negli ultimi 73 anni, ma meglio affrontare mille sacrifici (compreso il taglio dei salari reali per conquistare competitività in regime di forte svalutazione della nuova lira) che patire gli umilianti diktat di Berlino, di Parigi e di Bruxelles.
A proposito: è stato il Professorone Savona a copiare il “Piano B” del “marxista irregolare” Varoufakis, peraltro anch’egli amante come il primo della “teoria dei giochi”, o viceversa? Pura curiosità intellettuale.
«Mi sono accorto che l’Italia è un Paese a sovranità limitata. Mai servi, mai schiavi! Mai chinerò la testa dinanzi a chi non fa gli interessi degli italiani. Mai, mai, mai! Libertà o morte!»: e bravo Matteo Salvini! Che schiena dritta! Come si permettono i tedeschi a trattarci esattamente come i leghisti fino a qualche mese fa trattavano i meridionali italiani (soprattutto i napoletani: «scrocconi che non dicono neanche grazie»)? È stata una vera sofferenza, poi, vedere la Mummia Sicula mettere in sella Carlo Cottarelli, notoriamente al servizio del Fondo Monetario Internazionale, dei mercati, dei poteri forti e degli oligarchi di Bruxelles: il Presidente della Repubblica ha tradito la Sacra Carta, gli interessi nazionali e la democrazia! Certo, suo malgrado Mattarella ha fatto schizzare in alto le quotazioni elettorali della Lega, anche a scapito dei camaleontici grillini, ma queste son quisquilie che non riguardano i sinceri sovranisti, i quali si muovono per amor di Patria, e non per convenienze elettoralistiche.«Siamo pronti a rivedere la nostra posizione, se abbiamo sbagliato qualcosa lo diciamo, ma ora si rispetti la volontà del popolo perché noi l’Italia la vogliamo salvare. Una maggioranza c’è in parlamento, fatelo partire quel governo, basta mezzucci perché di governi tecnici e istituzionali non ne vogliamo. Per quanto riguarda l’impeachment non è più sul tavolo perché Salvini non lo vuole fare e ci vuole la maggioranza». Che Statista, questo Luigi Di Maio! Altro che le indegne caricature di Maurizio Crozza, servo dei poteri forti! E soprattutto, che barzelletta questa “crisi di regime”. Una barzelletta che però, anziché far ridere, può far piangere molti.
Mi si consenta una breve riflessione d’ordine generale. Quel che il sovranista, comunque politicamente “declinato”, è assolutamente incapace di comprendere è che nel mondo governato dagli interessi economici ciò che decide intorno al grado di autonomia di un Paese sono i rapporti di forza sistemici tra le diverse società nazionali. Soprattutto oggi questi rapporti di forza si strutturano appunto intorno alla potenza economica (e quindi tecno-scientifica e, almeno potenzialmente, militare) dei Paesi che si contendono mercati (anche di forza-lavoro), risorse energetiche e influenze geopolitiche. Non si tratta, da parte del sovranista, di un difetto di intelligenza, ma semplicemente di un accecamento ideologico e di un disagio/risentimento di qualche tipo che gli impediscono di prendere atto di ciò che l’intera storia del mondo dimostra oltre ogni ragionevole dubbio.
Ad esempio, per un Paese come l’Italia l’alternativa non sarebbe, ovviamente, quella tra sudditanza e indipendenza, ma sul tipo di sudditanza che meglio verrebbe incontro agli interessi generali delle classi dominanti nazionali, o di quelle fazioni di esse contingentemente vincenti. Oggi conviene stare con la Germania o con la Russia, con gli Stati Uniti o con la Cina? Scriveva il filosofo “marxista” Alain Badiou nel 2015, ai tempi della Grexit: «Sullo sfondo, si agitano timori geopolitici. E se la Grecia si rivolgesse verso qualcun altro di diverso dai padri e dalle madri fustigatori dell’Europa? Allora, io direi: ogni governo europeo ha una politica estera indipendente. Contro le pressioni alle quali è sottomessa, la Grecia può e deve avere una politica altrettanto libera. Siccome i reazionari europei vogliono punire il popolo greco, quest’ultimo ha il diritto di cercare degli appoggi esteriori, per diminuire o impedire gli effetti di questa punizione. La Grecia può e deve rivolgersi alla Russia, ai paesi dei Balcani, alla Cina, al Brasile, e anche al suo vecchio nemico storico, la Turchia». Cito questa posizione perché essa esprime bene l’esatto opposto di quanto sostengo io: la necessità dell’autonomia di classe, sul terreno nazionale come su quello internazionale. Molti “marxisti” credono di poter fare la storia della lotta di classe nello stesso momento in cui partecipano alla storia della lotta interborghese e interimperialistica, ossia alla lotta che il Dominio fa all’umanità in generale e alle classi subalterne in particolare. Non si insisterà mai abbastanza sulla sindrome della mosca cocchiera in guisa “marxista”.
Per chi ragiona ponendosi dal punto di vista degli interessi nazionali (cioè delle classi dominanti), la migliore “scelta di campo”, sempre compatibile con i rapporti di forza interimperialistici, può certamente avere un senso, mentre non ne ha alcuno, se non quello critico qui esposto, per chi pensa e agisce dal punto di vista anticapitalistico. Purtroppo per le classi dominate non si danno “Piani B”…
Quando ad esempio gli Stati Uniti arretrano sullo scacchiere internazionale, non è che in esso si instauri una condizione di autonomia nazionale e di pacifica armonia fra i popoli: semplicemente accade che all’egemonia imperialistica statunitense si sostituisce quella cinese (basata soprattutto sull’economia), o quella russa – basata soprattutto sulla violenza politico-militare. Ovviamente oggi la Cina, la potenza che aspira al primato mondiale nella contesa imperialistica, ha tutto l’interesse a propagandare idee di “armonia”, di “apertura” (pro-global) e di “pacifica convivenza” fra le diverse nazioni, le diverse culture e i differenti regimi politici, mentre gli Stati Uniti, che si sentono sotto pressione, inclinano verso il protezionismo e l’isolazionismo, che comunque sono interpretati da Washington in modalità assai dinamica, pragmatica, mai rigidamente ideologica.
Come dicevano i marxisti internazionalisti ormai quasi un secolo fa, posta la società capitalistica nella sua fase imperialista ogni discorso introno alla libertà nazionale dei popoli non è solo una pia illusione di stampo borghese-illuminista, ma è soprattutto una menzogna che incatena i proletari al carro del nazionalismo, la più velenosa e sanguinosa delle suggestioni.
Viola Carofalo, portavoce nazionale di Potere al Popolo, contende alla De Gregorio il primato della banalità sinistrorsa: «Le persone vengono prima dei profitti!». Questa aurea regola dovrebbe valere nella società-mondo basata sull’ossessiva ricerca dei profitti: il tutto mi sembra di una logica assai stringente, diciamo.
Anziché provare a dire alle «persone» che il Capitale, anche quello con caratteristiche stataliste che tanto piace a molti sovranisti di “estrema sinistra” e di “estrema destra”, è incompatibile con un’esistenza autenticamente umana delle «persone», della «gente», del «popolo», taluni sedicenti “rivoluzionari” continuano a fomentare fra le classi subalterne ogni sorta di illusione democraticista, costituzionalista, statalista, progressista, benecomunista. Mi stupisco? Assolutamente no: certi polli politico-ideologici ormai li conosco da molto, troppo tempo, e se ogni tanto essi cambiano piumaggio, giusto per adeguarsi alle contingenze e reagire alle sconfitte, non sfuggono certo all’occhio allenato.
Lottare contro le diseguaglianze sociali avendo come proprio faro la Costituzione (capitalistica) di questo Paese e i “veri” interessi nazional-popolari, significa nei fatti voler confermare e rafforzare l’attuale condizione di impotenza politico-sociale delle classi subalterne, le quali sono chiamate da tutte le fazioni in lotta a “scegliere” di che morte intendono morire, a quale albero (sovranista, europeista, liberista, statalista) intendono essere impiccate.
«Le affermazioni disinvolte del commissario europeo Oettinger sono un gravissimo attacco alla tenuta democratica del paese. Veramente immaginiamo che qualcuno in nome dei mercati possa indirizzare il voto degli Italiani? Cosa rimane dei diritti democratici in questo paese? Caro Oettinger, gli italiani – non quelli amici tuoi, ma i lavoratori, i giovani, gli sfruttati, i precari, quelli che vorrebbero andare in pensione e non possono – insegneranno ai mercati a stare al loro posto. Prima le persone, poi l’economia» (V. Carofalo). E sì, anch’io sono un tantino in apprensione per la «tenuta democratica del paese». Ma giusto un poco, sia chiaro. In ogni caso, caro Oettinger, spezzeremo le reni a Berlino, a Parigi, a Bruxelles e, dulcis in fundo, «ai mercati»! O quantomeno tenteremo, proveremo con tutte le forze a inchiodare il nemico sul bagnasciuga della nostra Sovranità e della nostra Democrazia. Sovranità o morte! Amici compatrioti, però mi raccomando: non esageriamo…
un po’ di chiarezza!
Ti ringrazio. Ciao!
Commenti da Facebook
V. S.
L’albero al quale impiccarsi può essere identico per molti di noi, tuttavia penso a proletari marginalizzati per questioni di razza e quindi penso che dei merdaioli quali i leghisti, o dei fascisti come i pentastellati, non siano equiparabili, per loro, a un discorso ‘democratico borghese’. Forse chiamarli fascisti esaspera ancora di più gli animi, ma forse no. Immagino che il proletario sia sempre con l’occhio proteso verso i proletari più scamazzati. È vero che il fascismo e la democrazia condividono lo stesso impianto, e sono due forme usate a comodo dal Capitale, ma è altrettanto vero che l’impostazione ideologica fa una differenza reale. Le pratiche classiste rivolte verso i proletari non sono identiche alle pratiche ideologiche e razziste espresse dai fascisti. Il fatto che con l’antifascismo si possono confondere le acque, portando l’acqua al mulino della democrazia borghese, non significa che lo sia sempre. Anche l’antifascismo ha diverse nature. Questo lo dico per aggiungere (forse) degli elementi. Poi forse sto dicendo cazzate. Comunque personalmente, per quello che può valere, sapere che un fascista razzista è stato impedito, anche se solo momentaneamente, mi infonde ‘piacere’.
Sebastiano Isaia:
Sull’antifascismo hai perfettamente ragione, e personalmente ritengo che il vero antifascismo sia quello praticato, oggi purtroppo soprattutto teoricamente, dagli anticapitalisti che cercano di demistificare il contenuto di classe della democrazia capitalistica, la quale non si pone affatto in alternativa radicale ai regimi assimilabili al Fascismo, tanto per richiamare qualcosa di cui storicamente abbiamo fatto l’esperienza.
Scriveva Simone Weil nel 1934: «Le classi medie sono sedotte dalla rivoluzione unicamente quando essa è evocata, a fini demagogici, da apprendisti dittatori. Si ripete spesso che la situazione è oggettivamente rivoluzionaria, e che è solo il “fattore soggettivo” a fare difetto; come se la totale carenza della forza stessa che sola potrebbe trasformare il regime non fosse un carattere oggettivo della situazione attuale, e non occorresse cercarne le radici nella struttura della nostra società!». Intuisco che questi passi hanno molto a che fare con noi, con la situazione che stiamo vivendo, ovviamente mutatis mutandis.
M. L.
Quando si ripete che l’antifascismo è una forma del fascismo bisognerebbe fare i conti con la realtà. ha senso dirlo quando siamo in una democrazia borghese compiuta in tal caso l antifascismo è lo spauracchio con cui tenere a bada ulteriori rivendicazioni, lo stesso nn si può dire in una democrazia incompiuta fondata nn sui diritti, borghesi, ma sulla diseguaglianza, nn di classe ma razziale etnica identitaria. allora ripetere la teoria dei secoli passati dimostra non solo che non si vive il presente con le sue contraddizioni ma che non si ha manco voglia di cambiarlo il presente trincerandosi in slogan vuoti e inutilizzabili considerato lo stato della lotta di classe, ovvero inesistente.
Sebastiano Isaia:
Se ti riferisci a quello che ho scritto: io non ho sostenuto che «l’antifascismo è una forma del fascismo», ma che «la democrazia capitalistica non si pone affatto in alternativa radicale ai regimi assimilabili al Fascismo, tanto per richiamare qualcosa di cui storicamente abbiamo fatto l’esperienza». È un concetto abbastanza diverso che serve appunto a sostenere la possibilità e la necessità di un antifascismo di classe, orientato cioè a favorire lo sviluppo di un’iniziativa autonoma da parte delle classi subalterne. Sulla «democrazia incompiuta fondata non sui diritti, borghesi, ma sulla diseguaglianza, non di classe ma razziale etnica identitaria» ecc. non sono affatto d’accordo e magari ne parleremo un’altra volta. Faccio solo notare che da nessuna parte del mondo esiste una democrazia capitalistica “compiuta”: vedi Stati Uniti d’America. Il razzismo ecc. non contraddicono affatto alla natura “compiutamente” borghese della democrazia. Sulla non esistenza della lotta di classe con me sfondi una porta apertissima. Ciao!
V. S.
Può non esistere una democrazia compiuta, ma esistono momenti nei quali quei diritti vengono messi in discussione non per una emancipazione reale, ma per un peggioramento. Da questo punto di vista, l’autentico antifascismo è di chi lo pratica, ossia di chi contrasta in qualsiasi modo il razzismo e tutte ciò che si identifica ideologicamente con il fascismo. I distinguo servono in determinati momenti storici, ma servono quando, per esempio, si usa quello per delle alleanze tattiche con la borghesia etc etc. Tutta quell’estetica antifascista che serve a molti gruppi a mo’ di identarismo, lasciamola stare. Secondo me, in questo senso, non esiste un ‘autentico antifascismo’.
Sebastiano Isaia:
Per quanto mi riguarda non si tratta di semplice distinguo, ma di precisare una posizione politica “di classe” adeguata a questa fase storica. Ad esempio, io sono favorevole alla realizzazione, “qui e subito”, di organismi (comitati, associazioni, chiamiamoli come vogliamo) che contrastino con tutti i mezzi necessari compatibili con gli attuali rapporti di forza: il fascismo, il razzismo, il supersfruttamento degli immigrati nelle industrie e nelle campagne, il manettarismo, la violenza sulle donne e via di seguito SENZA nutrire nelle persone illusioni di sorta intorno alla democrazia, allo Stato di diritto, alla Costituzione e via di seguito, ma puntando piuttosto sulla solidarietà fra “gli ultimi” (bianchi, neri o gialli che siano), sulla propria forza, ecc. Non è un “distinguo”, è appunto una posizione politica precisa, la quale, lo so benissimo e non da oggi, è di difficilissima applicazione. Ma non è che questo la renda di per sé sbagliata o vecchia. Poi, certo, bisogna mettersi intorno a un tavolo, reale (lo preferisco!) o virtuale che sia, e discutere come implementare magari solo lo 0,1% di quella posizione. Ciao!
C. M.
Io sono molto pratica, quando parlo di diritti nella democrazia parlo di stato sociale, di case popolari a tutti di scuola pubblica di sanità pubblica per tutti, bianchi neri e gialli. e questo non si può negare che la socialdemocrazia l ha sempre garantito. in una situazione con Salvini ministro dell’interno che urla prima gli italiani non so quanto ad un immigrato irregolare ma anche regolare possa interessare di queste sofisticazioni che la democrazia è assimilabile al fascismo. il problema è dare risposte immediate ad esigenze immediate non organizzare la rivoluzione o la presa della Bastiglia, anche perché se non si è capaci di dare risposte alla situazione che viviamo come si può pensare che si possa cambiare radicalmente il sistema. quello che s è introdotto nel pensiero dominante di questo paese è una idea di stato fascista autoritario coi deboli e che garantisce su base identitaria e di classe. su tutto il resto chiaramente sono d accordo in linea di principio ci mancherebbe altro, non dobbiamo penso visto che ti leggo partire dall a b c della democrazia stato rivoluzione
S. A.
L’antifascismo o è indissolubilmente legato all’anticapitalismo, o è solo una sfaccettatura delle ideologie borghesi e riformiste.
Sebastiano Isaia:
Cara M., consentimi di essere più “pratico” di te, ma attraverso un aneddoto. Negli anni Ottanta (e sì, non sono giovanissimo) mi autodefinii “il teorico della fontanella”. Mi spiego. In molte “situazioni di lotta” a quel tempo ebbi a che fare con i militanti di Autonomia Operai, i quali in ogni occasione ponevano il problema dello scontro diretto con lo Stato: «Alzare il livello dello scontro qui e subito!». Si trattava di pura velleità pseudo rivoluzionaria che come conseguenza aveva quella di allontanare dai vari “Comitati di lotta” (per la casa, per la salute, per la pace, contro la disoccupazione e via di seguito) i proletari non politicizzati. Io sostenevo invece che occorresse alzare in primo luogo il livello della coscienza politica, non attraverso lezioni teoriche da dispensare al proletariato, ma attraverso una prassi adeguata alla pessima (anche allora!) condizione politico-sociale dei subalterni. Ciò che importa, sostenevo nelle assemblee, non è tanto l’oggetto della rivendicazione, ma l’orientamento politico che noi siamo in grado di dare alla lotta. Possiamo anche lottare per avere dal Comune una fontanella di acqua per un quartiere che ne è sprovvisto: l’importante è riempire quella lotta di elementi politici intesi a rafforzare lo spirito di autonomia politica e psicologica di chi riusciamo a coinvolgere. Si tratta di un lungo ma necessario percorso. Per l’anticapitalista l’alternativa non è tra fare (diciamo pure recitare, mimare) la rivoluzione e non fare niente; si tratta piuttosto di CERCARE di fare di ogni pur piccolissima (quel che passa il Convento, si dice dalle mie parti) occasione di lotta un elemento di crescita politica per le cosiddette “avanguardie” e per i proletari non politicizzati. Come vedi sono sempre stato abbastanza minimalista. Penso che su molte cose la pensiamo allo stesso modo. Ti auguro una buona giornata. Ciao!
Pingback: IN QUESTA GRANDE EPOCA | Sebastiano Isaia