È FACILE ESSERE “BUONISTI” ACCUSANDO L’IMPERIALISMO DEGLI ALTRI!

Ennesima intervista rilasciata alla stampa dall’uomo che sussurra alla ruspa, insomma da Matteo Salvini. A mio parere degna di una qualche riflessione politica è solo la risposta che il Ministro degli Interni dà in merito alla politica estera italiana in Africa. «Che fine ha fatto la missione italiana in Niger che i francesi hanno bloccato?», chiede Alessandro Farruggia (Quotidiano.net) al Ministro. Risposta: «Bella domanda. I francesi sono un problema, perché la loro è una strategia economica, non umanitaria». Com’è noto, la politica del leader leghista è invece incentrata su rigorosi presupposti etici: prima l’uomo in quanto uomo, poi ogni altro interesse. Si tratta del ben noto sovranismo umanitario estraneo alla volgare cultura materialista dei francesi, i quali pensano solo al vile denaro, all’argent. Ma riprendiamo la risposta: «Noi stiamo lavorando anche con diversi privati ad un piano di investimenti nel Sahel, nei paesi di partenza e di transito. Lo facciamo come Italia, perché come Europa mi fido fino a un certo punto». Bene! bravo! bis! Fidarsi di Bruxelles è bene, non fidarsi è meglio: l’asse franco-tedesco è sempre in agguato. Ecco la perla finale: «I francesi hanno un approccio imperialista e colonialista che non è apprezzato in Africa e quindi qualche paese è disponibile a ragionare di fronte a investimenti veri. Mi piacerebbe che il ministro Salvini, brutto, sporco, cattivo, razzista, fascista, fosse quello che investe seriamente in Africa. Per permettere a quei ragazzi di restare lì a lavorare». Com’è umano lei! E com’è ingiusto che qualcuno lo accusi di razzismo e di fascismo!

Si può però anche dire, volendo essere supercritici, che è facile accusare l’imperialismo e il colonialismo degli altri, tacendo bellamente sull’imperialismo di casa propria. Ma da uno come Salvini non ci si può aspettare altro che questo, ovviamente. Né d’altra parte bisogna pensare che le dichiarazioni del Ministro “populista”  rappresentino una innovazione in materia di politica estera, tutt’altro. È dalla fine della Seconda guerra mondiale che la penetrazione degli interessi economici e geopolitici dell’Italia nel suo tradizionale cortile di casa (Africa del Nord, Balcani) è affidata soprattutto al cosiddetto soft power, fatto non solo di investimenti (soprattutto nell’estrazione di gas e petrolio e nella costruzione di infrastrutture come ponti, porti e dighe) ma anche di “missioni umanitarie” affidate alle ONG. Ed è precisamente questa politica di penetrazione dal basso profilo politico-militare ma di grande efficacia che alla fine ha cozzato con gli interessi dei francesi in un’area che evidentemente essi considerano di loro esclusiva pertinenza. È comunque un fatto che gli interessi strategici italiani in Libia sono minacciati da più parti, come ha chiaramente dimostrato l’intervento “umanitario” internazionale del 2011 ai danni del regime di Gheddafi voluto soprattutto dalla Francia (con il pronto e “fattivo” sostegno della Gran Bretagna e dell’Arabia Saudita) per indebolire appunto la posizione dell’Italia in quel Paese e non solo.

Scrive Francesca Pierantozzi sulla vera natura del contenzioso franco-italiano in Africa: «Negli ultimi tempi tra Roma e Parigi volano parole grosse: irresponsabile e cinica l’Italia che chiude i porti per Macron, arrogante e ipocrita la Francia secondo Salvini. Ma dietro alle scaramucce diplomatiche, quanto pesano gli interessi economici? Quanto pesa il petrolio della Libia, l’Uranio del Niger, il gas del Fezzan, e poi l’oro, il cobalto, il manganese, il litio e le preziose terre rare del Sahel? Sono questi i famosi paesi “di origine e transito” dei flussi migratori che stanno spaccando l’Europa. In Libia, oltre alle idee di Macron e Salvini, si fronteggiano anche Eni e Total. La lotta è ancora impari e a netto vantaggio italiano. Nel 2018 Eni stima una produzione giornaliera di circa 320 mila barili/olio/equivalente (Boe). Nel 2017 la produzione della francese Total è stata di 31.500 barili al giorno. Anche se a marzo Total ha comprato la Marathon Oil Libya, che a sua volta detiene il 16,33 per cento delle concessioni di Waha per 450 milioni di dollari, la produzione dei francesi non supererà i 100 mila barili. La diplomazia di Macron, che per primo ha riconosciuto come interlocutore oltre al premier di Tripoli Serraj – il generale Haftar, signore della Cirenaica e ormai considerato anche signore del petrolio, arriva comunque in ritardo rispetto alle intenzioni di Eni. Il gruppo italiano sta infatti già guardando altrove. A marzo l’amministratore delegato Descalzi ha annunciato che Eni ridurrà la produzione di petrolio in Libia fino a 200mila barili al giorno entro il 2021. In compenso, gli italiani guardano con interesse all’ex francese Algeria, possibile futuro terreno di scontro economico: Descalzi ha firmato di recente una serie di accordi con la Sonatrach, la società di Stato algerina, di cui uno in particolare per l’ esplorazione nel bacino del Berkine. Tra Francia e Italia in Libia non c’è comunque solo il petrolio. Grossi interessi hanno anche Endesa (Enel) e Gdf-Suez, per non citare che i colossi. Senza contare, per l’Italia, il progetto di autostrada che Berlusconi promise a Gheddafi come “risarcimento” della politica coloniale, una litoranea per quasi un miliardo di euro attribuito a Salini Impregilo e di recente confermato, e il gasdotto libico-italiano Green Stream. Stesso tavolo di interessi comuni anche nel Sahel, dove la Francia è presente militarmente dal 2013, prima in Mali con l’operazione Serval, e poi anche in Mauritania, Niger, Burkina Faso e Ciad con l’operazione Serval. Sono questi alcuni dei paesi in cui dovrebbero essere installati i famosi hot spot extra europei. Per ora l’Italia è stata estromessa dal dispositivo presente a Niamey, dove sono di stanza solo una quarantina di militari italiani. Il governo Gentiloni aveva parlato di “opportunità enormi per il nostro sistema manifatturiero”, ma per Parigi sono in gioco soprattutto i giacimenti di uranio in Niger (in particolare la miniera di Arlit) che forniscono ad Areva il 30 per cento di uranio utilizzato nelle centrali nucleari di Francia» (il Messaggero).

Insomma, le ragioni per una tensione crescente tra Roma e Parigi ci sono tutte e non appaiono di facile gestione diplomatica. Un “populista” alla Salvini ha quantomeno il merito di non usare sempre e solo l’affettato gergo diplomatico la cui comprensione è preclusa al popolo bue. C’è da dire, per concludere, che anche per quanto riguarda la politica sui migranti Salvini si muove in assoluta continuità con il suo predecessore al Viminale, con quel Marco Minniti che a sua volta fu accusato di praticare una politica fascista. Non c’è niente da fare: la postura politicamente “decisionista” in Italia deve sempre confrontarsi con l’uomo dalla mascella volitiva!

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4 pensieri su “È FACILE ESSERE “BUONISTI” ACCUSANDO L’IMPERIALISMO DEGLI ALTRI!

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