Al di là della sua caotica fenomenologia politica e militare, la questione libica si presta a una lettura abbastanza semplice: dal febbraio 2011, anno in cui le forze lealiste di Muammar Gheddafi furono spazzate via nell’ambito della guerra per procura voluta da Francia, Inghilterra, Egitto e Paesi Arabi, è in atto nella nostra “Quarta sponda” uno scontro interimperialistico che ha come obiettivo il controllo 1. delle risorse energetiche libiche (petrolio di eccezionale qualità e gas) e 2. della preziosa posizione strategica offerta dalla Libia. Sotto quest’ultimo aspetto, c’è da dire che anche la Russia e la Cina sono interessate al futuro della Libia, e si fanno avanti senza troppi scrupoli sostenendo in qualche modo questa o quella cosca libica che sembra poter sostenere i loro interessi. Il conflitto di questi giorni è insomma l’ultimo episodio di una lunga guerra per procura che fa leva sugli interessi delle fazioni libiche rivali che si contendono il potere economico e politico con ogni mezzo necessario.
Se le cose stanno così, non è difficile prevedere giorni ancor più terribili per il popolo degli abissi tenuto sotto sequestro nei lager libici per scopi economici e politici: «Attenta Italia, attenta Europa, possiamo spararvi contro tutti gli immigrati che vogliamo!». Decisamente la Libia è un posto sempre più sicuro…
In questo caotico contesto l’Italia, al contrario dei suoi numerosi e agguerriti concorrenti internazionali, ha moltissimo da perdere, sia in termini economici, sia in termini geopolitici che di sicurezza interna. Scrive Alessandro Orsini: «L’Italia sta per perdere quanto di più prezioso abbia nell’arena internazionale ovvero il suo rapporto privilegiato con la Libia. Esiste un modo più chiaro di dirlo: persa la Libia, gli italiani hanno perso tutto. Nel senso che hanno perso qualunque possibilità di essere influenti su un governo diverso dal proprio. È un modo ruvido, ma diretto, di chiarire che non conteranno più niente al di fuori dei propri confini. E siccome la sicurezza dell’Italia dipende, in larga parte, dalla Libia…» (Il Messaggero).
In effetti, non è esagerato dire che per il Capitalismo/Imperialismo italiano sono in gioco interessi vitali, almeno nel breve e medio periodo, e bastava ascoltare gli interventi di ieri del Ministro degli Esteri Moavero Milanesi e della Ministra della Difesa Elisabetta Trenta davanti alle Commissioni congiunte Esteri e Difesa di Senato e Camera, nonché il dibattito che ne è seguito, per rendersi conto di quanto cosciente della delicatissima situazione sia la classe dirigente di questo Paese. Per l’occasione anche la locuzione “Quarta sponda” è stata abbondantemente sdoganata, e in un’accezione fortemente positiva, forse come non si sentiva dai tempi del Fascismo. Nientemeno! Moavero ha parlato addirittura di «un destino che lega la Libia all’Italia», e per questo egli vorrebbe convocare la Conferenza Internazionale di pace sulla Libia (il 10 novembre) in Sicilia, la regione italiana che si affaccia sul Mediterraneo meridionale e ne ammira il rigoglioso giardino – dove fioriscono in abbondanza petrolio, gas e pesci. Da parte sua, la Ministra della Difesa ha dichiarato che l’Italia cerca di difendere in Libia i suoi interessi industriali e strategici esattamente come sta facendo la Francia, e per questo si augura che la normale competizione tra due Paesi amici («anzi cugini») possa mantenersi su corretti binari, avendo entrambi cura di non farla deragliare in comportamenti ostili che li danneggerebbero in egual misura. «Tra amici e cugini si compete e si collabora». Un basso profilo diplomatico che si giustifica con gli attacchi antifrancesi venuti da diversi esponenti del Governo italiano nei giorni passati; una postura aggressiva (“sovranista” e “populista”) che in questo momento di delicate trattative internazionali evidentemente non sembra essere di grande aiuto per Roma.
«L’Italia ha e intende continuare ad avere un ruolo da protagonista in Libia», ha dichiarato la Ministra Trenta: su questo non avevo dubbi. E difatti continuo, nel mio infinitamente piccolo, a contrastare con le armi della critica (questo oggi passa il convento!) quel protagonismo: decisamente la nuova moda sovranista-populista non fa per me! La «sicurezza energetica» dell’Italia è cosa che non può suscitare alcuna preoccupazione in una testa autenticamente anticapitalista.
Da sempre in quel quadrante geopolitico l’Italia soffre molto l’attivismo politico-militare della Francia perché non può rispondere sullo stesso terreno, non avendo essa un peso politico-militare paragonabile a quello della rivale d’Oltralpe, la cui esibita grandeur peraltro è più fonte di ironia da parte dei suoi partners-competitors che di preoccupazione. In ogni caso, in confronto alla Francia l’Italia rimane un nano politico, e non sarà certo il protagonismo velleitario di un Salvini a poter cambiare la situazione a favore dell’Italia. Tanto più che la Francia guarda con crescente interesse alla «scatola di sabbia» che Roma considera cosa sua per diritto geopolitico: «La Francia ha un duplice interesse da difendere in Libia. Il primo è connesso alla salvaguardia e al rinnovo di quell’enorme insieme economico che costituisce l’esposizione industriale di Parigi nel Golfo, ed in particolare negli Emirati Arabi Uniti e in Arabia Saudita. Difendere le posizioni così tenacemente sostenute da Abu Dhabi è una priorità per Parigi, che in tal modo può guardare alla Libia anche attraverso una seconda lente di interesse, connessa al potenziale degli interessi economici un tempo oggetto di controllo quasi monopolistico da parte dell’Italia, e che con la crisi del 2011 sono stati invece rimessi sul piatto della delicata partita» (N. Pedde, Huffington Post). È vero che «negli ultimi anni di guerra civile, l’ENI, la più importante azienda energetica italiana, è stata l’unica società internazionale in grado di produrre e distribuire petrolio e gas in Libia, grazie soprattutto ad accordi con milizie locali che le hanno garantito sicurezza e protezione»; ma è anche vero che «dalla scorsa primavera Total, la principale azienda energetica francese, è tornata a muoversi nel paese, con acquisizioni e partecipazioni societarie che potrebbero portare la produzione francese in territorio libico a 400mila barili di greggio al giorno nei prossimi tre anni» (Il Post).
È un fatto che dal 2011 la tensione tra Roma e Parigi si è fatta critica, anche perché l’Italia da parte sua non ha nascosto crescenti ambizioni di espansione economica in un’area dell’Africa che Parigi considera di sua esclusiva pertinenza in grazia del suo passato coloniale. La competizione tra i due Paese dell’Unione Europea acquista un particolare significato alla luce della sempre più forte presenza economica della Cina nel continente africano, penetrazione economica (di merci e di capitali: il trionfo dell’Imperialismo nella sua accezione più “pura”) che presto o tardi avrà delle importanti ricadute sul terreno strettamente politico – e quindi militare.
«Nella Grande sala del Popolo di Pechino c’erano tutti, oltre 50 tra capi di Stato e di governo dei Paesi africani. E dal palco il padrone di casa Xi Jinping ha riservato loro un’accoglienza che più calorosa non si può. Il presidente cinese, nel discorso inaugurale del Forum di cooperazione Africa-Cina trasmesso oggi in diretta tv, ha promesso finanziamenti al continente per 60 miliardi di dollari, tra prestiti e investimenti per infrastrutture. […] Senza dubbio dietro al progetto “africano” di Xi ci sono soprattutto motivazioni interne: dare lavoro alle sue imprese (a cui sono affidati gran parte delle opere) e assicurare il flusso di materie prime di cui l’Africa è ricca. Ma per i partner africani alla ricerca di sviluppo i suoi miliardi sono benvenuti, per scelta o per necessità. Senza contare che la Cina non si immischia mai in questioni di politica interna» (F. Santelli, La repubblica). In diversi post ho avuto modo di sostenere come lo sfruttamento imperialistico dell’Africa da parte della Cina e il processo di sviluppo capitalistico dei Paesi del “Continente nero” sottoposti a quello sfruttamento non si contraddicono affatto e come siano piuttosto due aspetti della stessa realtà, due lati della stessa capitalistica medaglia. Già Marx aveva gettato luce su questa “dialettica” di sfruttamento e sviluppo analizzando il colonialismo del Regno Unito. Ma qui è meglio mettere un punto.
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