A PARIGI, A PARIGI!

Continua la lotta dei gilets-jaunes; «Il Presidente Macron deve considerarci, perché siamo tanti, di tutti gli strati della popolazione. Vogliamo essere ricevuti all’Eliseo, bisogna discutere, non blocchiamo stupidamente tutto il Paese senza motivo. Il dialogo deve cominciare»: è quanto ha dichiarato un leader della protesta ai microfoni di Bfm-Tv. Il Governo francese continua a non voler “dialogare”, anche perché non intende creare un antipatico precedente che potrebbe dare la stura alle rivendicazioni di altri strati della società. Il disagio sociale è tanto, e si fa presto a bloccare un intero Paese!

Anna Maria Merlo sul Manifesto ha definito il movimento di cui si parla «un oggetto sociale non identificato»; non sono in grado di dare giudizi su questa definizione, anche perché di quel movimento conosco assai poco, e cioè solo quello che ho letto sui giornali, i quali peraltro danno su di esso informazioni non sempre fra loro coerenti. Quello su cui oggi vorrei riflettere brevemente è piuttosto sul carattere sintomatico di quel movimento sociale e sulle sue oggettive (e in un certo senso astratte) potenzialità. Inutile dire che dalle mie parti ogni illusione su questo movimento è pari allo zero, e questo lo dico soprattutto a chi, dopo aver fatto l’analisi al sangue ai gilets-jaunes, ha riscontrato in quel movimento preoccupanti tracce di ideologia di estrema destra – vedi Philippe Martinez della Cgt.

Forse complice il cinquantenario del ’68, i media europei hanno subito avvertito l’urgenza di comunicare all’opinione pubblica del Vecchio Continente che con la protesta dei “gilet gialli” francesi non abbiamo a che fare con una rivoluzione: si tratta di un vasto movimento di protesta che il Governo francese oggi stenta a contenere e a piegare, ma non di una rivoluzione. Questo lo avevo capito perfino io. Aldo Cazzullo ci mette invece in guardia: «La Francia ha il mito della piazza, anzi della “rue”, la strada. È un Paese che non procede per riforme, ma per strappi, se non per rivoluzioni. Non è il caso ovviamente di scomodare il 1789, il 1830 con la caduta del re Borbone, il 1848 con la Seconda Repubblica, fino al Maggio ’68. Ma quei precedenti sono ben vivi nella memoria nazionale; la rivolta, l’insurrezione, la prova di forza rappresentano un elemento della cultura politica transalpina» (Il Corriere della Sera). E la Comune di Parigi del 1871, dove la mettiamo? In effetti, l’omissione “storica” di Cazzullo ha una ragion d’essere: la Comune di Parigi, infatti, mal si concilia con lo spirito nazionale francese, essendo stata piuttosto l’espressione (e poi la bandiera) della lotta di classe del proletariato internazionale.

Ma chi sono questi gilet gialli? «Sono operai, pensionati, impiegati, lavoratori di ogni ordine e grado che, attraverso i social network, si sono auto-organizzati» (Panorama). La composizione sociale del movimento è insomma tale da suscitare le giuste apprensioni da parte della classe dirigente francese, che a quanto pare non si trova a dover fare i conti con la rabbia di strati sociali che è possibile criminalizzare, marginalizzare e reprimere abbastanza facilmente e con il consenso di vasti settori di opinione pubblica. I media francesi assicurano, sondaggi alla mano, che tre francesi su quattro sostengono la lotta dei “gialli”.

A ogni buon conto, la democrazia capitalistica reagisce secondo il solito schema: carota (“moratoria” sull’aumento delle accise sui carburanti) e bastone, mea culpa («non sono riuscito a riconciliare il popolo francese con i suoi dirigenti», ha confessato Macron) con contorno di promesse e minacce – carcere fino a due anni, multe fino a 4.500 euro, forte penalizzazione per ciò che riguarda la patente (sottrazione di 6 punti) e sequestro dell’auto. Dichiarare che lo Stato è pronto a colpire la patente e l’automobile di chi non rispetta le leggi a persone che tutti i giorni sono costrette a muoversi in auto per raggiungere i luoghi di lavoro, non è minaccia da poco. Fino a oggi la strategia governativa non sembra aver conseguito alcun successo, mentre l’onda gialla cresce e rischia di diventare una marea di ribellismo sociale pronta a schiantarsi su Parigi, il luogo in cui in Francia tutto si decide, nel bene come nel male.

Leggo sul Foglio di ieri: «L’ultima jacquerie francese è quella dei “gilet gialli”, movimento sociale nato spontaneamente sul web per denunciare l’aumento delle tasse sulla benzina (3 centesimi) e sul diesel (6 centesimi) introdotto da Emmanuel Macron a partire dal 1° gennaio 2019 – l’obiettivo del presidente, all’orizzonte 2022, è rendere meno costosa la benzina rispetto al diesel, più inquinante, e favorire la transizione ecologica». Oggi Giuliano Ferrara ribadisce il concetto: trattasi di una «Jacquerie del Suv in terra di Francia, una notizia spettacolare» che fa perfino ombra ai tanti e importanti fatti politici che si stanno producendo in Europa. «Niente più lotta per il pane o l’identità», continua Ferrara, «oggi in Francia la nevrastenia da chattamento ha prodotto un’insurrezione fiscale». Si tratterebbe insomma di un corto circuito tra “nevrastenia social” e insofferenza fiscale. Ferrara sembra dimenticare che molti “suvvisti” per guadagnarsi il pane devono spendere molti soldi in odiose accise.

Ora, ha senso politico definire jacquerie la protesta dei gilet gialli che da giorni crea non pochi grattacapi al Presidente Macron (peraltro impegnato a progettare una “nuova Europa” per rialzare le quotazioni, bassissime, di quella vecchia)? Forse dal punto di vista “riformista”, ossia dalla prospettiva di chi auspica una Francia più dinamica e competitiva, quella definizione, che da sempre ha una chiara connotazione reazionaria, ci può anche stare. E infatti così continua Il Foglio: «La mobilitazione di oggi contro il rincaro del carburante è anche una protesta contro il senso di isolamento di una certa Francia, quella che non si sente coinvolta dalla dinamica riformista di Macron, non gode dei vantaggi della globalizzazione e si sente vessata dalla pressione fiscale». La jacquerie dei perdenti della globalizzazione minaccia il cuore pulsante della modernità capitalistica? Siamo dinanzi a un tentativo di accerchiamento della Capitale francese (tendenzialmente alla portata solo di chi ha una professione molto remunerativa) da parte della periferia povera e refrattaria a ogni progresso civile reso possibile dallo sviluppo tecnologico? Futuro contro passato? La verità è che la politica “ecologista” del Governo francese ha impattato violentemente su uno strato sociale già duramente provato dalla crisi economica e dalla pressione fiscale. È bastata una scintilla per far esplodere una situazione satura di disagio sociale.

«“Il nostro obiettivo è essere la cassa di risonanza di tutti i malcontenti”, ha detto ieri su Bfm.tv Benjamin Cauchy, portavoce dei “gilet gialli”, prima di aggiungere: “Il nostro movimento è la Francia periferica, non è né di sinistra, né di destra, è la Francia che non ce la fa più ad arrivare a fine mese”. […] Il movimento sociale che sta prendendo in contropiede il governo non è un “epifenomeno” destinato a svanire rapidamente, come alcuni lo avevano definito prima di sabato. E la prova che questa contestazione inedita, senza etichette politiche né sindacali, è più compatta del previsto, arriva dall’annuncio di un “Atto II”, che si svolgerà il 24 novembre a Parigi. “Dobbiamo dare il colpo di grazia e salire tutti a Parigi con ogni mezzo possibile (car-sharing, treno, autobus, etc…). Parigi, perché è qui che si trova il governo!!!! Aspettiamo tutti, camion, bus, taxi, Ncc, agricoltori etc. Tutti!!!!!!”, si legge nella descrizione dell’evento Facebook, organizzato da uno dei guru della protesta, Éric Drouet, professione camionista» (Il Foglio, 20/11/2018). A Parigi, a Parigi!

Finora il movimento “giallo” sembra refrattario nei confronti delle sirene populiste di “destra” e di “sinistra”, il cui linguaggio e le cui ricette peraltro diventano sempre più simili, in virtù del noto teorema politico: insistendo sullo stesso escrementizio terreno sociale (la difesa del Capitalismo), gli estremi politici tendono a toccarsi. «Solo i Verdi non dimenticano gli impegni ecologici e obtorto collo non si scagliano contro il governo» (Il Manifesto). Com’è noto, ai Verdi piace assai un Capitalismo eco-sostenibile, un Capitalismo rispettoso dell’ambiente naturale, e poco importa se c’è un prezzo da pagare per raggiungere questo meraviglioso obiettivo. Evidentemente i “gialli” questo prezzo non intendono pagarlo: «Che trogloditi!»

Dopo qualche esitazione, quando ha capito che i gilet gialli non erano il frutto di una bolla mediatica nata sui social, Marine Le Pen si è schierata dalla loro parte, pregustando un facile successo già alle elezioni europee del prossimo maggio: «La Francia che lavora, la Francia che paga le tasse, la Francia che non chiede mai nulla, oggi, è venuta a dire “stop”, “non ne possiamo più”. […] Questo “popolo centrale” sta soffrendo. Fino a oggi, soffriva in silenzio. Ora non vuole più essere sottomesso». Non è affatto escluso che una consistente quota di astensionismo elettorale, forte proprio nella componente sociale che alimenta il movimento giallo, possa trasformarsi in consenso elettorale per i populisti-sovranisti.

Naturalmente le classi dirigenti del Paese temono che questo movimento sociale possa innescare altri movimenti (di operai, di disoccupati, di piccola e media borghesia declassata, di studenti, di proletariato marginalizzato che vive nelle banlieue delle grandi città) nel cuore della metropoli francese. Il contagio sociale: è questo che le classi dominanti e i loro funzionari politici temono più della peste. È un istinto di classe che si attiva tutte le volte che la gestione dei conflitti sociali diventa problematica a causa dei limiti manifestati dalle istituzioni tradizionali, partiti e sindacati compresi. La democrazia capitalistica vive una profonda crisi di legittimità. Benissimo!

2 pensieri su “A PARIGI, A PARIGI!

  1. Dal manifesto 25/11/2018

    Sul movimento dei gilet gialli abbiamo rivolto alcune domande allo storico e demografo Hervé Le Bras, docente all’École des hautes études en sciences sociales di Parigi. Si tratta di una sorta di contrapposizione tra la «Francia profonda» e bianca e le metropoli multietniche?

    Si tratta di una lettura più politica che scientifica dello stato del paese che ha a che fare con il tentativo di trasformare le questioni sociali in termini identitari. In realtà questo scontro immaginario è evocato dalle destre per celare i veri problemi del paese. E, in ogni caso, tra le parole d’ordine dei gilet gialli, nessuna riguarda l’immigrazione, il tema che ossessiona ogni sorta di identitari. Questo movimento non si sta sviluppando lungo la linea del colore della pelle. … Le zone dove la mobilitazione è stata fin qui più forte non corrispondono affatto a quelle dove Marine Le Pen è arrivata in testa alle presidenziali o dove il suo partito è maggiormente radicato. Anzi, si tratta spesso di collegi elettorale di sinistra, dove si è votato a lungo per il Pcf e poi per i socialisti. Ciò non significa che in prospettiva l’estrema destra non possa trarre profitto da questo movimento, che si rivolge soprattutto contro Macron , in vista delle europee del prossimo anno. …
    La prima cosa che salta agli occhi è che il movimento raccoglie la maggior parte dei propri aderenti lungo quella che chiamerei «la diagonale del vuoto», che va dalle Ardenne ai Pirenei atlantici tagliando in due il paese. È una linea che attraversa regioni che si stanno spopolando, dove sopravvive la ruralità più profonda; zone che hanno visto progressivamente scomparire i servizi pubblici e dove i negozi chiudono i battenti uno dopo l’altro. A titolo di esempio si può citare il dipartimento della Nièvre, che si trova più o meno al centro della Francia, dove in occasione della prima mobilitazione dei gilet gialli, il 17 novembre, quasi il 7% degli abitanti ha partecipato alle proteste. …
    In realtà la composizione del movimento è piuttosto varia. E questo da diversi punti di vista. La componente rurale, o meglio «periurbana», vale a dire in qualche modo sospesa tra città e campagne, è forte, ma al tempo stesso ci sono anche tanti abitanti delle periferie metropolitane, spesso quelle più distanti dai centri cittadini. Non è un caso che le prime proteste abbiano riguardato l’aumento del prezzo del carburante: si tratta di persone che sono obbligate ad utilizzare l’auto ogni giorno, sia per raggiungere il posto di lavoro che per fare acquisti o andare dal medico. … È un movimento composito al cui interno si mescolano, accanto alla richiesta di un taglio alle tasse e all’aumento dei prezzi, diverse rivendicazioni sociali come il ritorno dei servizi pubblici tagliati in questi anni, soprattutto nella sanità e nei trasporti. Questo oltre ad una più generale domanda di «ritorno» dello Stato accanto ai cittadini. In questo senso più che di «poveri», spesso concentrati invece nelle banlieue e nei quartieri popolari delle grandi città, parlerei di un settore del paese che teme di scivolare verso la povertà, che ha visto diminuire il proprio potere d’acquisto e che guarda al futuro con crescente inquietudine: si sentono abbandonati dallo Stato sia sul piano sociale e economico che su quello della rappresentanza.

  2. Pingback: L’APPETITO VIEN LOTTANDO! | Sebastiano Isaia

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