«”Sì, se puede”. L’urlo di obamiana memoria, quel “Yes we can” che nel 2008 portò l’ex presidente degli Stati Uniti al trionfo, si leva altissimo su plaza Venezuela, il cuore di Caracas. Sono decine di migliaia le persone che ascoltano il capo dell’opposizione e leader dell’Assemblea nazionale Juan Guaidó giurare sulla costituzione, autoproclamandosi presidente ad interim fino a che non ci saranno nuove elezioni democratiche» (Il Secolo XIX). Siamo dunque arrivati all’epilogo dell’esperienza “rivoluzionaria” iniziata da Hugo Rafael Chávez Frías nel 1999? «Della dottrina di Hugo Chavez, castrista e guevarista, non resta granché nel paese. Tanto che anche i quartieri operai di Caracas, serbatoio di consensi del «socialismo democratico», ridotti allo sfinimento da una crisi economica senza fine, si sono schierati col giovane ingegnere industriale di 35 anni che ha preso il potere ieri» (A. Spalla, Il Messaggero). In effetti, di “socialismo”, di qualsiasi genere, in Venezuela non è mai stata vista nemmeno l’ombra. Comunque non è il caso adesso di fare i “pignoli”… Rimando piuttosto ai miei post sul “Socialismo petrolifero” o “Socialismo del XXI secolo” – sic!
La devastante crisi sociale del Venezuela, che dura ormai da parecchi anni, ha grandemente indebolito il regime sempre più autoritario e violento di Nicolás Maduro, il quale per sostenersi ha dovuto stringere un’alleanza sempre più stretta con la Cina e con la Russia. Questo a ulteriore dimostrazione (ma solo a favore di chi ha un minimo di intelligenza e di senso critico/autocritico) che nel XXI secolo ogni discorso intorno alla sovranità nazionale è una menzogna che ha il solo scopo di avvelenare la coscienza delle classi subalterne e stringerli al carro degli interessi nazionali, ossia capitalistici. In “pace” come in guerra. Ma questo lo dicevano già un secolo fa i marxisti europei che si opposero alla Grande Guerra: figuriamoci se oggi, nell’epoca del dominio totalitario e mondiale del rapporto sociale capitalistico, si possa parlare con un minimo di serietà “rivoluzionaria” di sovranità nazionale!
Chi dice Nazione dice Dominio di classe: tutto il resto è ultrareazionaria paccottiglia ideologica, sia che venga declinata da “destra”, sia che venga propalata “da sinistra”. «Fra tutte le forme di superbia quella più a buon mercato è l’orgoglio nazionale. […] Ogni povero diavolo, che non ha niente di cui andare superbo, si afferra all’unico pretesto che gli è offerto: essere orgoglioso della nazione alla quale ha la ventura di appartenere» (A. Schopenhauer, Il giudizio degli altri). Combattere ogni forma di nazionalismo è sempre necessario, e lo è tanto più oggi, quando la competizione sistemica tra i Paesi si fa di giorno in giorno sempre più conflittuale, come vediamo, “in piccolo”, anche a proposito del contenzioso italo-francese. Ovviamente il regime venezuelano punta molto sulla carta del nazionalismo “antimperialista”, come d’altra parte hanno sempre fatto in America Latina soprattutto i regimi di matrice “populista” – o peronista che dir si voglia.
Gli Stati Uniti stanno approfittando dell’estrema debolezza economica e politica del regime (*) per chiudere rapidamente la partita con le “forze rivoluzionarie bolivariane” che intendono destabilizzare il suo tradizionale cortile di casa permettendo alla Cina e alla Russia di conquistare importanti posizioni economiche e strategiche, ciò che appare inammissibile all’imperialismo a stelle e strisce. La ritrovata sintonia con il Brasile ha permesso a Washington di premere sull’acceleratore della crisi politico-istituzionale, con esiti imprevedibili. Ieri Trump ha dichiarato che da parte degli Stati Uniti tutte le opzioni sono contemplate «per difendere la democrazia venezuelana dall’usurpatore Maduro». Non ci vuole certo la scienza geopolitica di un Vittorio Zucconi per capire che «Nel sostegno a Guaidó c’è la voglia di ribadire l’egemonia planetaria Usa» (La Repubblica); se non planetaria, certamente quella “regionale”, in un’area del pianeta che tocca il cuore stesso dell’Impero Americano.
«Hanno l’ambizione di mettere le mani sul petrolio, il gas e l’oro, diciamo loro: queste ricchezze non sono vostre, appartengono al popolo del Venezuela ed è così che sarà per sempre»: così ha tuonato sempre ieri Maduro dal Balcone del Popolo nel Palazzo Miraflores. Inutile dire che al «popolo» di quelle ricchezze arrivano solo delle miserrime briciole, e solo quando esse effettivamente cadono a terra – cosa che non sempre avviene e comunque non a favore di tutti: certamente a favore di chi sostiene attivamente il regime. Ha poi così continuato il caudillo di Caracas: «I nostri problemi si risolvono in casa, contando sempre sul popolo, sulla classe operaia, sulle Forze Armate Nazionali Bolivariane, sulle donne. Nessuno deve ingerire negli affari interni del Venezuela!». E io invece mi voglio “ingerire”: contro il regime venezuelano, contro i nemici di Maduro che intendono sostituirlo, più o meno “democraticamente”, al potere, contro l’imperialismo americano, contro l’imperialismo cinese e ogni altro Paese amico o nemico del Venezuela, e soprattutto per esprimere, per quel niente che vale (ma per me personalmente vale moltissimo: un po’ di autoreferenzialità “di classe” ci vuole!), la mia solidarietà politica e umana alle classi subalterne del Venezuela che in questi anni hanno patito miserie d’ogni tipo e che in questi giorni sono chiamati a versare sangue (il loro e quello degli altri) per sostenere cause che non mettono in alcun modo in discussione la loro pessima condizione sociale, la loro subalternità nei confronti di una società basata su rapporti sociali di dominio e sfruttamento. Già si contano parecchi morti (oltre 15 tra ieri e l’altro ieri) e molti arresti, e come sempre molto attivi nella repressione sono i gruppi paramilitari filo-governativi chiamati Los Colectivos.
Non morire per difendere cause ultrareazionarie è un “imperativo categorico” che purtroppo rimarrà ancora una volta inascoltato.
Non si tratta di essere “equidistanti”, come mi rimproverano gli amici di Maduro (che poi spesso sono anche amici della Siria, della Russia, della Cina, insomma del “Campo Antimperialista”: sic!): si tratta piuttosto di essere attivamente nemici di tutte le fazioni e posizioni capitalistiche in campo.
(*) «Il paese ha perso il 10 per cento della popolazione negli ultimi quattro anni. Più di tre milioni di venezuelani hanno lasciato il paese per trasferirsi in uno stato vicino (Colombia o Brasile) o in Spagna per quelli che possono ottenere il passaporto. Per dare un’idea, gli esuli venezuelani sono più numerosi dei profughi del Medio Oriente arrivati in Europa negli ultimi anni. Per quelli rimasti, la vita quotidiana è un inferno, con un’inflazione assurda arrivata a 1.300.000 per cento all’inizio dell’anno e che, secondo le previsioni, potrebbe raggiungere quota 10 milioni per cento nei prossimi mesi. Risultato: la fame, una mortalità infantile in forte aumento, mancanza di medicinali e la miseria più nera in un paese che, ricordiamolo, per decenni è stato molto ricco e segnato da un’enorme disuguaglianza. Alla guida del Venezuela dalla morte di Hugo Chávez, nel 2013, Nicolás Maduro non può più contare sugli introiti petroliferi che avevano permesso al suo predecessore di condurre una politica sociale generosa. La produzione di petrolio continua a calare e il paese non può più ripagare i debiti. Il parlamento controllato dall’opposizione ha dichiarato “illegittimo” il secondo mandato di Maduro, ma il presidente ha privato i parlamentari delle loro prerogative. Pur mantenendo l’apparenza di un funzionamento istituzionale, Maduro ha messo fine alla separazione dei poteri. Ha imprigionato diversi oppositori e preso di mira i mezzi d’informazione. La sua legittimità è contestata da 13 paesi dell’America Latina, riuniti nel cosiddetto gruppo Lima, che hanno firmato una dichiarazione comune con cui si rifiutano di riconoscere il nuovo mandato. Un tempo candidato al titolo di nuova Cuba, faro della rivoluzione, il Venezuela si trova oggi isolato. Solo il nuovo presidente messicano Andrés Manuel López Obrador si è dissociato dalla dichiarazione comune dei paesi del gruppo Lima. La Cina però continua a sostenere il Venezuela, prestando molto denaro al governo e facendosi ripagare in petrolio. Maduro è stato a Pechino a settembre, tessendo le lodi di Mao prima di ripartire con cinque miliardi di dollari di credito. La Russia, nel frattempo, denuncia una “destabilizzazione” del paese. I partigiani di Hugo Chávez in tutto il mondo si sono progressivamente allontanati da Maduro. Persino il leader della sinistra radicale francese Jean-Luc Mélenchon, che in vista delle elezioni del 2017 aveva promesso di far aderire la Francia a una “alleanza bolivariana” ispirata a Chávez, si pronuncia sempre meno sull’argomento. Certo, l’ostilità di Washington nei confronti della rivoluzione bolivariana resta intatta, ma nessuno crede che l’“imperialismo” americano sia così potente da aver distrutto dall’interno il paese. Al momento non si sa come finirà questo incubo per i venezuelani. Nell’attesa, la loro priorità è la sopravvivenza» (Internazionale, 10/01/2019).
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