Noi in questo momento non vogliamo interferire nelle
questioni altrui e per quanto ci riguarda abbiamo un
approccio di non ingerenza nelle questioni di altri paesi.
Luigi Di Maio
Radunate tutti quelli che devono essere radunati.
Partito Capitalista Cinese
«In Xinjiang va tutto bene, parola del Blog di Beppe Grillo. Mentre i media mondiali riprendono un poderoso lavoro giornalistico del New York Times che ha portato allo scoperto altre corpose informazioni sulla repressione dello Stato cinese contro i musulmani uiguri che vivono nella regione, il vangelo grillino ospita un articolo che segue nettamente la linea di Pechino. Ossia quella della narrazione contro i nemici della Cina, e sostiene che è in atto “una campagna mediatica sui diritti umani volta a screditare l’operato del governo cinese”. Passo indietro. Lo Xinjiang è una regione autonoma della Cina nord-occidentale dove vive una maggioranza etnica turcofona e musulmana; è un’area geograficamente strategica da sempre, perché è il prolungamento fisico-politico del Regno di Mezzo verso l’Europa, e ora acquisisce ancora più importanza nell’ambito della macro-infrastruttura geopolitica Belt & Road. Il Partito Comunista cinese da sempre non vive serenamente quella presenza, anche perché ha creato negli anni problematiche autonomiste al governo centrale, ed è stata interessata da fenomeni di radicalizzazione islamica. […] Il Blog arriva al suo nocciolo, che è identico a quello cinese: le denunce, dice, partono dalle organizzazioni umanitarie perché sono collegate al governo degli Stati Uniti. E dunque diventerebbe tutto un gioco di disinformazione americana, chiaramente collegato alla competizione in corso tra potenze secondo l’opinione che il centro di controllo grillino diffonde ai simpatizzanti. È esattamente quello che Pechino sta cercando di raccontare al mondo riguardo questo genere di dossier, dallo Xinjiang a Hong Kong. Situazioni create ad arte dai nemici, dicono i cinesi, con l’atteggiamento tipico dei governi autoritari alle prese con crisi interne» (Formiche.net).
Inutile dire che anche chi scrive è, nel suo infinitamente piccolo, al servizio della «disinformazione americana» – con l’aggravante di non ricevere in cambio nemmeno un dollaro!
«Quanto all’Italia, è di due settimane fa la presa di posizione del ministro degli Esteri, e leader dei Cinque Stelle, Luigi di Maio. Proprio in Cina, in visita a Shangai, ha detto che “noi in questo momento non vogliamo interferire nelle questioni altrui e per quanto ci riguarda abbiamo un approccio di non ingerenza nelle questioni di altri paesi”. Tuttavia, il passaggio (con al seguito molte competenze prima in capo al ministero dello Sviluppo) di Luigi Di Maio alla guida della Farnesina ha confermato senza dubbi l’impostazione pro-Pechino che, nel quadro delle intese sulla “Via della Seta”, è di tutto il Movimento 5Stelle. Non è un caso, del resto, che il presidente della Casaleggio associati abbia presentato il suo piano per la “smart economy” sull’evoluzione delle imprese assieme a Thomas Miao, amministratore di Huawei Italia» (G. Gentili, Il Sole 24 Ore).
Miao?
«I leader del Movimento 5 Stelle sembrano da mesi impegnati a promuovere il modello cinese […] La posizione dei Cinque stelle coincide con quella cinese sia quando parliamo di Xinjiang sia quando parliamo di Hong Kong. Allo stesso tempo si nota anche una sorprendente tenacia da parte del M5s nel promuovere i colossi cinesi in Italia – è il caso di Huawei, ma non solo. […] Del resto all’inizio di luglio, nelle prime settimane delle manifestazioni, era stato il fedelissimo di Di Maio, il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, a volare a Hong Kong senza dire una parola sulle proteste. […] Ma è soprattutto la Casaleggio Associati a tessere i rapporti con le telecomunicazioni cinesi: il 14 novembre scorso il ceo di Huawei Italia, Thomas Miao, ha pronunciato il discorso d’apertura dell’evento “Smart company” della Casaleggio» (G. Pompili, Il foglio).
Sì, Miao! «Non importa il colore del gatto, purché questo acchiappi il topo» (Deng Xiaoping).
«Il blog del noto comico pubblica un imbarazzante elogio del sistema cinese in Xinjiang, nonostante un milione di persone siano state messe nei campi di concentramento per motivi etnici e religiosi» (Dagospia).
Campi di concentramento: le solite esagerazioni! O no?
«Lo Xinjiang come l’Alto Adige. Così sembra dipingerlo il blog di Beppe Grillo. Secondo il Verbo dell’Elevato, la regione cinese mostra chiaramente come tutto quello che si racconta sulla repressione del governo comunista sia pura disinformazione. Non esistono campi di concentramento, c’è il bilinguismo, viene lasciata ampia libertà di espressione e di culto e le misure contro il terrorismo funzionano perfettamente. Un vero modello da importare subito in Europa. Ma sarà vero? La realtà racconta tutt’altro. Come insegna Ilham Tohti, premio Sakharov 2019, condannato all’ergastolo da parte delle autorità cinesi per il suo attivismo nei confronti del popolo uiguro. […] Negli ultimi tre anni qui si è passati a un controllo sempre più massiccio delle persone, soprattutto tramite l’uso del riconoscimento facciale. Nella regione si contano quasi 1000 campi di “rieducazione”, dove, periodicamente, vengono inviati decine di migliaia di persone per facilitare la loro assimilazione nel tessuto socioeconomico della Repubblica Popolare. Secondo alcune esperti intervistati da Radio Free Asia il numero delle persone che sarebbero passate per i campi di “rieducazione” o “lavoro” (o rieducazione attraverso il lavoro) sarebbe il 10% della popolazione uigura». Solo così si spiega la reticenza del governo cinese, che seleziona accuratamente i visitatori nella regione e spinge affinché in Occidente e nelle istituzioni internazionali nessuno parli dello Xinjiang. Altro che complotto americano. Non ne parla l’Europa, divisa tra imbarazzati silenzi e supporto entusiastico alla causa della Repubblica Popolare (il report infatti è stato più un caso isolato). Evitano di farne un caso mondiale gli Stati Uniti, che invece lo citano ma alle volte preferiscono tacere. Troppo grande è la forza e la potenza economica della Cina, che impone il proprio volere senza farsi troppi problemi» (Linkiesta).
È la contesa interimperialistica, bellezza! Sono i sempre mutevoli rapporti di forza fra le Potenze, e tu non puoi farci niente!
«Il New York Times ha ottenuto più di 400 pagine di documenti riservati sottratti al governo cinese che mostrano e raccontano il modo in cui il regime comunista ha organizzato le detenzioni di massa e la repressione delle minoranze musulmane nella provincia occidentale dello Xinjiang, tra cui quella degli uiguri. È una delle fughe di notizie più significative di sempre all’interno del Partito comunista cinese. Il New York Times ha analizzato e in parte tradotto i documenti. Non è chiaro come i circa 400 documenti siano stati selezionati e sottratti al governo cinese, ma il fatto che i documenti siano trapelati, scrive il New York Times, suggerisce un maggiore malcontento all’interno del partito rispetto al passato. Nell’inchiesta il New York Times fa velocemente riferimento a un membro della dirigenza del partito che ha chiesto di restare anonimo e che ha espresso la speranza che la divulgazione di queste informazioni impedisca l’impunità per le detenzioni di massa. […] Xi Jinping Paragona l’estremismo islamico al contagio di un virus o a una droga che crea dipendenza, e dice che “l’impatto psicologico del pensiero religioso estremista sulle persone non deve mai essere sottovalutato. Le persone che sono intrappolate nell’estremismo religioso – maschi o femmine, vecchi o giovani – hanno la coscienza distrutta, perdono l’umanità e uccidono senza batter ciglio”. Dai documenti risulta anche che la repressione abbia incontrato dubbi e resistenze da parte di alcuni funzionari locali: temevano che avrebbe peggiorato le tensioni etniche e limitato la crescita economica. Risulta che Chen Quanguo e il partito abbiano risposto eliminando i funzionari sospettati di ostacolare l’operazione. Il New York Times dice che migliaia di funzionari nello Xinjiang sono stati puniti per aver resistito o non aver seguito le indicazioni. Dice che sono state messe al lavoro squadre segrete di investigatori per identificare coloro che non stavano facendo abbastanza e scrive che nel 2017 il partito ha avviato oltre 12 mila indagini sui membri del partito nello Xinjiang per infrazioni nella “lotta contro il separatismo”. I documenti comprendono, infine, una guida del 2017 su come gestire gli studenti delle minoranze che, tornando a casa nello Xinjiang per la fine del semestre, non trovavano più i loro genitori o i loro familiari che, nel frattempo, erano stati internati. La guida contiene indicazioni precise sulle risposte da dare a domande quali: “dov’è la mia famiglia?”: “È in una scuola di formazione istituita dal governo”, dice la guida. Ai funzionari viene poi data l’indicazione di spiegare che i genitori non sono dei criminali, ma che comunque non possono lasciare quelle “scuole”. La guida comprendeva anche una minaccia: agli studenti doveva essere detto che il loro comportamento avrebbe potuto ridurre o prolungare la detenzione dei genitori: “Sono sicuro che li sosterrai, perché questo è per il loro bene e anche per il tuo bene”. Il documento avverte in generale del rischio che gli studenti possano entrare a far parte della rivolta dopo aver appreso cosa è successo ai loro genitori e raccomanda dunque di incontrarli immediatamente, al loro rientro. La guida fornisce risposte anche a una serie di altre domande: quando verranno rilasciati i miei genitori? Perché non possono tornare a casa? I loro genitori, stabilisce la guida delle risposte, erano stati “infettati” dal “virus” del radicalismo islamico e dovevano essere messi in quarantena e curati. Nemmeno i nonni e i familiari che sembravano troppo vecchi per commettere violenza potevano essere risparmiati, secondo quanto riferito dai funzionari. “Se non si sottopongono allo studio e alla formazione, non comprenderanno mai completamente i pericoli dell’estremismo religioso”. O ancora: “Indipendentemente dall’età, chiunque sia stato infettato dall’estremismo religioso deve sottoporsi allo studio”. La conclusione della guida è che gli studenti dovrebbero essere grati alle autorità per aver portato via i loro genitori e fatto il possibile per alleviare le loro difficoltà» (Il Post).
Com’è magnanimo il Celeste Imperialismo!
«“Ying shou jin shou”: “Radunate tutti quelli che devono essere radunati”. L’eco di 1984, Brave New World o Fahrenheit 451 è inconfondibile. Ma questa non è finzione distopica. È una vera direttiva burocratica preparata dalla leadership cinese, attingendo a una serie di discorsi segreti di Xi Jinping, leader autoritario della Cina, sul trattare spietatamente i musulmani che mostrano “sintomi” di radicalismo religioso. Non c’è nulla di teorico al riguardo: sulla base di questi diktat, centinaia di migliaia di uiguri, kazaki e altri musulmani nella regione occidentale dello Xinjiang sono stati radunati nei campi di internamento per sottoporsi a mesi o anni di indottrinamento destinati a trasformarli in seguaci secolari e fedeli del partito comunista. Questo moderno lavaggio del cervello totalitario viene rivelato in una straordinaria serie di documenti trapelati al New York Times da un anonimo funzionario cinese. L’esistenza di questi campi di rieducazione è nota da qualche tempo, ma nulla prima aveva offerto uno sguardo così lucido sul pensiero dei capi cinesi sotto il pugno del signor Xi, dalla ossessiva determinazione a sradicare il “virus” di pensiero non autorizzato ai cinici preparativi per la repressione a venire, incluso come affrontare le domande degli studenti che ritornano in case vuote e fattorie non curate. Quest’ultima sceneggiatura è stranamente orwelliana: se gli studenti chiedessero se i loro genitori scomparsi avessero commesso un crimine, gli sarebbe stato detto di no, “è solo che il loro pensiero è stato infettato da pensieri malsani. La libertà è possibile solo quando questo virus nel loro pensiero viene sradicato e sono in buona salute”. […] Che qualcuno all’interno della spietata e segreta leadership cinese correrebbe l’enorme rischio di passare 403 pagine di documenti interni a un giornale occidentale è di per sé sorprendente, soprattutto perché i documenti includono un rapporto di 11 pagine che riassume le indagini del partito sulle attività di Wang Yongzhi, un ufficiale che avrebbe dovuto gestire un distretto in cui i militanti uiguri avevano organizzato un attacco violento, ma che alla fine ha sviluppato dubbi sulle strutture di detenzione di massa che aveva costruito. “Ha rifiutato”, ha detto il rapporto, “di radunare tutti coloro che devono essere radunati”. Dopo settembre 2017, il signor Wang è scomparso dal pubblico. Dai documenti emerge chiaramente che il signor Xi è molto più preoccupato per qualsiasi sfida all’immagine di forza del Partito comunista che per la reazione straniera. Già nel maggio 2014 ha dichiarato a una conferenza sulla leadership: “Non abbiamo paura se le forze ostili si lamentano o se le forze ostili diffamano l’immagine dello Xinjiang”. Di conseguenza, il governo cinese non ha fatto alcuno sforzo per negare i documenti trapelati, ma piuttosto ha presentato la repressione nello Xinjiang come un grande successo contro il terrorismo. Il signor Xi ha sostenuto che le nuove tecnologie devono far parte dell’ampia campagna di sorveglianza e raccolta di informazioni per sradicare la dissidenza nella società uigura, anticipando il dispiegamento nello Xinjiang del riconoscimento facciale, dei test genetici e dei big data. Chiunque ha fatto trapelare questi documenti rivelatori ovviamente non era d’accordo e ha avuto il coraggio di fare qualcosa al riguardo. La sua azione coraggiosa è un grido al mondo. Lo sdegno internazionale potrebbe trasformarlo in un campanello d’allarme per i leader cinesi, nonostante la loro spavalderia totalitaria, se il mondo inizia a vederli come paria, non solo come partner commerciali» (New York Times).
E se lo «sdegno internazionale» fosse indirizzato contro tutti gli Stati e le Nazioni del pianeta? «Qui si fa dell’internazionalismo!». E certo; che altro si può fare dalle mie parti?! «Inammissibile internazionalismo!» Ce ne faremo una ragione, signori devoti allo status quo sociale mondiale e alla Realpolitik.
Personalmente me ne infischio bellamente dello «sdegno internazionale» (che poi allude alla presunta superiorità politica, etica e sistemica dell’Occidente), e combatto (che parolona!) per quel che posso e come posso contro ogni imperialismo: sia esso con “caratteristiche cinesi” (o russi), sia esso con “caratteristiche occidentali”. N’è d’altra parte bisogna concedere un solo atomo di credibilità ai rimasugli riciclati dello stalinismo/maoismo, cioè a quei personaggi che accusano chi denuncia la politica repressiva del regime capitalistico cinese (e non sto parlando del solo regime economico, ma del regime sociale cinese tout court) di portare “oggettivamente” acqua al mulino degli interessi statunitensi. Bisogna dare per scontata questa escrementizia tesi, perché per gli stalinisti del XXI secolo l’autonomia di classe è un concetto del tutto privo di senso, sebbene talvolta lo richiamino pappagallescamente per rinverdire la fraseologia della setta: «Siamo ancora comunisti, che diamine!» Come no! Se è per questo, io sono Babbo Natale!
Per quei sinistri personaggi gli Stati Uniti rimangono il «nemico principale» delle classi subalterne dell’intero pianeta, una tesi già completamente infondata quando fu confezionata; figuriamoci oggi, nel mondo che ha conosciuto l’ascesa della Cina ai vertici del capitalismo (e quindi dell’imperialismo) mondiale. Eppure taluni continuano a sostenere le ragioni della Cina a proposito di Hong Kong tirando in ballo un processo di decolonizzazione che esiste solo nelle loro teste: la Cina di Xi Jinping del 2019 non è la Cina di Mao del 1949, del Paese, cioè, che portò a termine la sua rivoluzione nazionale-borghese. Un po’ di “materialismo storico”, per cortesia! Il tempo non passa invano, e infatti, 70 anni dopo la Cina contende il primato mondiale nientemeno che agli Stati Uniti, potenza in declino – ma solo in senso relativo. Questo significa che chi scrive sostiene il separatismo hongkonghese? Nemmeno per idea! Ma di certo non sostengo il centralismo cinese, così come non sostengo il centralismo spagnolo, pur essendo contro il separatismo e il nazionalismo catalani. Sono contro il separatismo della – mitica – Padania, ma non per questo sostengo le ragioni dell’Unità Nazionale centrata su Roma. «E che ne facciamo del Risorgimento?» Mettetelo in quel posto! «Quale posto?» Il solito! A proposito: il mio nemico principale si chiama Italia.
Concludo! Io sostengo le ottime ragioni, oggi totalmente neglette, dell’autonomia di classe, e mi servo di ogni occasione, anche di quelle politicamente più complesse e “scabrose” (vedi Hong Kong) per denunciarne la latitanza e sottolinearne la necessità.
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