«Negli Stati Uniti Donald Trump ha firmato la legge che autorizza a sanzionare la Cina in caso di violazioni dei diritti umani a Hong Kong e che richiede al Dipartimento di Stato una revisione annuale dello status speciale in materia commerciale conferito all’ex colonia britannica. Sono entrambe misure estremamente significative. Si tratta ovviamente di un uso strategico dei diritti umani: gli americani attingono selettivamente alla propria narrazione di protezione umanitaria quando in ballo ci sono questioni strategiche urgenti, come una rivolta in seno al principale rivale. Gli Stati Uniti intendono sfruttare il più possibile questo momento di difficoltà della Repubblica Popolare – dal Xinjiang a Hong Kong, dal rallentamento economico alle rivelazioni sullo spionaggio – per ingolfarne l’ascesa» (F. Petroni, Limes).
Uso strategico e selettivo dei “diritti umani”; ovvero, la continuazione della guerra sistemica (o imperialista) con mezzi politico-ideologici.
«La reazione cinese non si è fatta aspettare. Pechino convoca l’ambasciatore Usa e lo esorta a non applicare la legge. Quindi ribadisce che la questione dell’ex colonia britannica è “un affare interno” alla Cina. Lo si legge in un comunicato del ministero degli Esteri cinese emesso nella mattina di oggi, ora locale. “Avvertiamo gli Stati Uniti a non agire arbitrariamente, o altrimenti la Cina contrattaccherà, e gli Usa dovranno sostenere tutte le relative conseguenze”. La Cina – si legge in una nota emessa nella mattina di oggi dal ministero degli Esteri – accusa gli Stati Uniti di “sinistre intenzioni di natura egemonica» (F. Santelli, La Repubblica).
Da Marx in poi, gli anticapitalisti rivendicano e praticano l’ingerenza di classe, la quale infrange la sovranità nazionale di qualsiasi Paese, se ne infischia bellamente dei confini nazionali difesi dallo Stato. I proletari non hanno patria, diceva sempre quello, e chi gliela vuole dare, con le buone (magari chiamandola “Unione Europea”) o con le cattive (magari in vista di una patria molto più grande e potente: vedi lo scontro Pechino-Hong Kong), lo fa per legarlo mani, piedi e – soprattutto – cervello al carro del Dominio. I proletari non hanno patria, mentre avrebbero un mondo da guadagnare. Avrebbero, appunto. La logica della «non ingerenza negli affari interni di un Paese» è la tipica logica degli Stati nazionali, macchine al servizio delle classi dominanti. Una logica, peraltro, che vale soprattutto quando c’è di mezzo il proprio Paese, mentre essa è più “elastica” quando si tratta del Paese avversario.
Quanto alle «sinistre intenzioni di natura egemonica», di certo il Celeste Imperialismo cinese non è secondo a nessuno.