Ieri anche il Presidente cinese Xi Jinping ha ammasso sottovalutazioni, ritardi, reticenze e omissioni da parte del regime nella famigerata vicenda “virale” che ormai investe l’intero pianeta. Abbiamo sbagliato ma vinceremo la «guerra popolare» contro il «demonio virus», ha dichiarato il “Caro Leader”, la cui rassicurante faccia da qualche giorno non appare più sui media del Paese, come fanno notare gli esperti in dietrologie pechinesi.
«È il 30 Dicembre. Su un gruppo wechat chiamato University of Whuan, clinic 2004 Li Wenliang manda questo messaggio: “Confermati 7 casi di Sars provenienti dal mercato di frutta e pesce”. Quindi Wenliang mette in chat la diagnosi e le foto dei polmoni di alcuni pazienti. Altro messaggio di Li: “I pazienti sono ora isolati nella sala di emergenza”. Un’ora dopo un nuovo messaggio, che però proviene da un altro dei partecipanti alla chat: “Stai attento, il nostro gruppo wechat potrebbe essere cancellato”. L’ ultimo messaggio che si legge è di Li: “Confermato che si tratta di coronavirus, ora stiamo cercando di identificarlo, fate attenzione, proteggete le vostre famiglie”. Li Wenliang non è una persona qualsiasi ma un medico, e il gruppo wechat è composto dai laureati nel 2004 all’Università di Whuan. Pochi giorni dopo questo scambio di messaggi, è il 3 gennaio, la polizia bussa alla porta di Wenliang e gli sottomette un foglio, una cosiddetta “nota di ammonizione”. Il testo è lungo ma il contenuto è chiaro: “Stai diffondendo parole non veritiere in rete. Il tuo comportamento ha gravemente disturbato l’ordine sociale. Hai violato il regolamento dell’amministrazione della pubblica sicurezza”» (La Stampa). In effetti Li Wenliang aveva fatto un solo errore: pensava si trattasse di Sars, non di un coronavirus nuovo di zecca. In Cina le epidemie sono classificate come segreto di Stato, perché la salute e la continuità del Partito-Regime vengono prima di ogni altra considerazione. Solo il 25 gennaio il Comitato Centrale del fantomatico PCC ha deciso di rompere il silenzio e di mobilitare l’esercito con quel decisionismo, tipico dei regimi autoritari a partito unico, che molti politici occidentali invidiano. «Dopo aver curato una donna affetta da glaucoma poi risultata positiva al virus, fin dall’11 gennaio Li aveva cominciato ad accusare disturbi. Anche i suoi genitori si sono ammalati. Solo il 20 gennaio la Cina ha dichiarato l’emergenza sanitaria. Per molti è un eroe e un simbolo. Per le autorità di Wuhan, la testimonianza inequivocabile dei loro fallimenti» (Il Sole 24 Ore).
«Nelle pandemie vere o presunte, gestite da burocrati, il maggior numero di vittime non le fa il virus ma il mix segretezza isteria che trasforma un problema, a volte banale, in una catastrofe, prima comunicazionale, poi, forse, sanitaria di massa. E alla fine il regime che farà per mondarsi? Lo ha detto ieri il solito Xi Jinping: punirà i colpevoli, qualche mini gerarca periferico» (La Verità). Le prime teste sono già cadute, e le “autocritiche” di medici e politici locali non si contano più. Tutto questo basterà a salvare il prestigio dei Cari Leader centrali?
Ovviamente non so se lo spettro di Chernobyl bussa in queste difficili ore alla porta del regime cinese, terrorizzandolo; certo è che la crisi sanitaria innescata dall’epidemia ha fatto balenare nella testa di molti analisti (e certamente in quella di chi scrive) l’idea di un potenziale “effetto Chernobyl” sugli assetti politico-istituzionali della Cina. D’altra parte, della possibilità di un tale effetto si parlò anche cinque anni fa a proposito della sciagura occorsa a Tianjin; in quell’occasione scrissi un post la cui lettura può forse essere di qualche interesse.
Naturalmente i nemici del “comunismo” sono ben contenti di poter “sputtanare” quel colosso dai piedi d’argilla quale oggi appare la “Cina comunista”, la quale peraltro non è mai stata né comunista né socialista, ma neanche lontanamente, nemmeno di striscio, per così dire, e non posso che provare schifo e ripugnanza – l’odio lo riservo per oggetti più importanti e interessanti – vedendo gli italici tifosi del “socialismo con caratteristiche cinesi” difendere con il solito zelo il regime cinese che «si batte eroicamente contro il Coronavirus e contro le menzogne propalate dall’imperialismo occidentale». Non c’è antivirus che possa guarire simili personaggi, le cui capacità critiche sono annichilite da un’ideologia ultrareazionaria che evidentemente continua a fare vittime.
«Le notizie sulla diffusione del coronavirus stanno scatenando un inquietante effetto collaterale, in Italia e in altri Paesi: la ripulsa nei confronti di persone di origine cinese e a volte di altri asiatici, la sinofobia. La paura che gli stranieri (specie se poveri) diffondano malattie è antica e radicata. […] Nell’emergenza attuale l’ondata sinofoba è però ancora più incresciosa, perché investe non soltanto le persone in arrivo dal gigante asiatico, ma anche cittadini cinesi e naturalizzati residenti qui da anni, attività commerciali, ristoranti, bambini che frequentano le scuole italiane, piccoli calciatori: tutte persone e famiglie che non hanno nessun rapporto con la città di Wuhan e la provincia di Hubei, epicentro dell’epidemia. In questo clima intossicato, il presunto allarme sanitario vorrebbe giustificare persino la discriminazione dei più piccoli e indifesi. […] Il razzismo del XXI secolo, non potendo più fare appello a ragioni “scientifiche”, cerca di volta in volta argomenti apparentemente razionali per sostenere la necessità di cacciare o emarginare le proprie vittime: può essere la disoccupazione, il terrorismo, la sicurezza, ora è il coronavirus. Il fatto che la sinofobia sia esplosa a ridosso della Giornata della memoria per le vittime della Shoah invita ad alzare la guardia contro le nuove forme di razzismo e pregiudizio etnico» (Avvenire). Qui mi permetto di citarmi da uno scritto sui Manoscritti marxiani del 1844 che penso di “socializzare” tra qualche giorno:
«L’uomo, dice l’umanista di Treviri, ormai sa intendere e parlare solo il disumano linguaggio delle cose, semplicemente perché la sua stessa vita si è cosificata, a cominciare dal lavoro e dal suo prodotto. E cosa dovremmo dire circa l’alienazione universale che tanto inquietava il “giovane Marx” noi che abbiamo la ventura di vivere nel 2020, nell’epoca del dominio totale dei rapporti sociali che stanno a fondamento di quella alienazione? Probabilmente non sbagliamo di molto se diciamo che al peggio non c’è limite, posta la continuità della vigente epoca storica. E questa considerazione vale anche a proposito dello sterminio industriale degli ebrei e degli altri «indegni di stare al mondo», un evento che non fece registrare un «ritorno alla barbarie», secondo una sua interpretazione fin troppo superficiale e quasi (?) apologetica della società borghese, ma che piuttosto illuminò in modo accecante la disumana radice sociale di quella società, l’ultima nella serie delle società classiste. La bestia capitalistica è sempre gravida di orrori supportati dagli ultimi ritrovati della tecnoscienza, orrori che fanno impallidire quelli concepiti e realizzati nelle epoche precapitalistiche, le quali non sospettavano nemmeno che si potesse creare l’inferno sulla terra. Al cinico motto nazista Arbeit macht frei andrebbe contrapposta questa indiscutibile – almeno per chi scrive – verità: solo l’umanità rende liberi. Umanità, beninteso, nel modo in cui cerco di parlarne in questo scritto, elaborato proprio nel canonico e fin troppo istituzionalizzato periodo della Memoria (ma si tratta di capire, più che di ricordare), sulla scorta dei concetti marxiani, i quali mi consentono di dire, ripensando a Primo Levi, che questo non è un uomo».
«Da Paese divenuto modello di economia “vincente”, senza il minimo rispetto delle libertà e il vantato strapotere negli accordi bilaterali, la Cina rischia oggi di scontare tutte insieme le paure circa la natura oscura dei processi decisionali e le diffidenze per la mancanza di veri controlli. In altre parole, uno degli elementi di forza del “capitalismo di Stato” dell’ex impero celeste è stato rappresentato dalla sostanziale assenza di vincoli ambientali, sanitari e sociali troppo stringenti. L’abbattimento del costo della manodopera, lo spostamento di intere popolazioni per lasciare spazio a siti produttivi, la scarsa attenzione alla qualità dell’aria e delle acque, le carenze nelle verifiche alimentari sono stati, per un ventennio, gli elementi che hanno fatto della Cina, insieme alla sua sterminata popolazione, il luogo ideale per realizzarvi la “fabbrica del mondo”» (Altreconomia). In effetti, la crisi sociale (non puramente igienico-sanitaria) che oggi investe la Cina rende evidente tutti i limiti e tutte le contraddizioni del gigantesco sviluppo capitalistico che ha letteralmente cambiato il volto di quel Paese, soprattutto a partire dai primi anni Ottanta del secolo scorso, quando venne definitivamente abbandonata la via maoista alla modernizzazione capitalistica e all’indipendenza nazionale. Sulla natura nazionale-borghese della rivoluzione cinese rinvio ai miei diversi scritti dedicati al tema (*). La “Cina profonda”, a cominciare da quella rurale delle regioni centrali, è lungi dall’essere stata trasformata dalla modernizzazione capitalistica degli ultimi quarant’anni. Converrà ritornare quanto prima su questo importante aspetto del problema.
Intanto, mentre segue con crescente interesse e trepidazione l’evoluzione della situazione virale, ed esulta come dopo un goal segnato dagli Azzurri in una finale di coppa del mondo di calcio dinanzi ai (supposti) successi conseguiti della scienza medica italiana (vedi «il primato di isolamento del virus, denominato 2019-nCoV/Italy-INMI1, all’ospedale Spallanzani di Roma»), l’opinione pubblica nazionale si risparmia di prendere in considerazione gli ultimi dati sui morti e sui feriti causati non da qualche virus, ma dal lavoro – salariato. «Tra gennaio e novembre del 2019 le morti hanno sfiorato soglia 1.000: dietro il gelo dei numeri vuol dire drammaticamente che 997 persone sono morte mentre svolgevano il loro lavoro, mentre 590 mila sono state nello stesso periodo le denunce di infortunio presentate all’Inail» (La Repubblica). «Il mio lavorare non è vita» (K. Marx).
«Il pericolo delle epidemie rimette in gioco un insieme di valori che pareva desueto e dannoso: la paura, forse anche un po’ irrazionale, diventa lo strumento che spinge a sottomettere i processi di sviluppo a regole che non sono dettate solo dal profitto. I mercati tendono, di fronte alle epidemie, a perdere i caratteri del capitalismo e a riconquistare una loro autonomia in cui la tutela delle persone appare primaria, soprattutto se diventa il tema centrale degli immaginari collettivi» (Altraeconomia). Che inguaribili ottimisti! Mi correggo: che ottusi ideologi! Ideologi, beninteso, in senso marxiano: chi pensa il mondo «a testa in giù». L’ONU ha chiamato infodemia l’epidemia di false informazioni che sta dilagando a proposito del Coronavirus; per certi versi anche i passi appena citati possono venir classificati come «false informazioni».
«L’influenza stagionale ordinaria provoca circa mezzo milione di morti ogni anno a livello globale. Eppure a malapena notiamo l’influenza, ma ci sentiamo in pericolo per le nuove malattie. Nuove malattie, ha osservato il sociologo Philip Strong, sembrano anche esporre la società umana a una fragilità esistenziale. Le risposte alle epidemie sono spesso tentativi delle autorità di dimostrare di avere il controllo e di modellare la narrazione pubblica» (The Guardia). Malattie e controllo sociale: Michel Foucault ha scritto pagine molto interessante su questo tema: «Il corpo umano entra in un ingranaggio di potere che lo fruga, lo disarticola e lo ricompone. […] La disciplina fabbrica così corpi sottomessi ed esercitati, corpi “docili”» (Sorvegliare e punire).
(*) TUTTO SOTTO IL CIELO (DEL CAPITALISMO)
ŽIŽEK, BADIOU E LA RIVOLUZIONE CULTURALE CINESE
Gli hanno vietato di parlare e ora gli vietano di morire!
«Ieri i cinesi hanno pianto e urlato di rabbia per un eroe caduto al fronte. “È morto il dottor Li Wenliang, medico di Wuhan che aveva cercato di dare l’allarme sull’epidemia, ma era stato redarguito dalla polizia”. Questa BreakingNews è stata lanciata dal Global Times, giornale comunista di Pechino. Anche il Quotidiano del Popolo ha espresso “cordoglio nazional”. Poi la smentita: “Il dottor Li ha avuto un arresto cardiaco, ma è in rianimazione”. Il virus si è annidato in profondità nei polmoni del medico e dubbi e rancore sono penetrati nei social network cinesi. Molti non hanno creduto alla smentita, hanno accusato le autorità: “Gli hanno vietato di parlare e ora gli vietano di morire”, si legge su Weibo. Forse il potere non voleva un martire della controinformazione. Ancora ore di ansia. Infine la conferma dell’ospedale: “Lo abbiamo perso”» (Corriere della Sera). La mitica Infallibilità del Partito-Regime forse non è morta, ma di certo in queste ore non sta messa benissimo.
Quei grassi funzionari che vivono con il denaro pubblico, possano morire per una bufera di neve!
«Tra i vari commenti su Weibo e WeChat, ce ne sono alcuni con la chiamata a scendere in strada e allusioni poetiche alla fallacia del Partito comunista, in gran parte poi finite tra le maglie della censura del Great Firewall. “Li è un eroe e ha messo in guardia gli altri sacrificando la sua vita”, ha scritto uno dei follower del medico di Wuhan, morto in piena notte alle 2:58 (le 19:58 di giovedì in Italia), secondo il referto ufficiale. Altri commenti sono più pesanti: “Quei grassi funzionari che vivono con il denaro pubblico, possano morire per una bufera di neve”, ha scritto un netizen in un post, subito oscurato» (ANSA). Naturalmente i Cari Leader di Pechino faranno di tutto per cavalcare in chiave demagogico-populista la rabbia cha sale dalle regioni del Paese più esposte al Coronavirus, e che potrebbe contagiare vasti strati sociali.
Ciao Sebastiano. Che dire, ci voleva anche il coronavirus per mettere in dubbio la leggendaria efficienza del PCC e mettere a serio rischio il magnifico e perfetto sistema sociale dell’unico avamposto socialista rimasto.
Apprendo che un filosofo, così si fa chiamare, in Italia insinua il dubbio che i diabolici Stati Uniti abbiano creato il virus per far crollare il sacro impero Cinese. Via così, metodi sbrigativi, altro che dazi! Certo che i cugini Americani, sporchi capitalisti, non conoscono pietà. Guarda tu cosa non si inventano pur di combattere il capitalismo cinese… er… pardon, comunismo!
Certo però che se lo dice un filosofo—e quel filosofo!—allora sicuro che è così!!
Rotolo così tanto dalle risate che non riesco a fermami.
Intanto vengo anche informato che qualcuno allude alla natura borghese e reazionaria delle sardine dopo le loro ultime uscite. Ma pensa te… Chi lo avrebbe mai detto? E io che pensavo avremmo avuto un riferimento per la liberazione delle masse dalla schiavitù del dominio. Finalmente la coscienza di classe si sarebbe diffusa in tutto il mondo e l’umanità avrebbe conosciuto il suo oggetto più estraneo: l’Uomo… Bene, aspetteremo il prossimo movimento, ovunque esso nasca. Per il momento, tra nazionalismi, populismi, separatismi e via dicendo abbiamo ottimo materiale da cui partire, possiamo rallegrarci. Propio vero, il peggio non conosce fine!
Un caro saluto.
Keep up the awesome!!
Ciao Bob! È sempre un piacere “leggerti”. A proposito! Le sardine piacciono anche me: fritte, scaldate, alla palermitana, alla veneta, macerate nel limone oppure semplicemente crude – con un po’ d’olio, abbondante prezzemolo, uno spicchio d’aglio e molto limone. Mi raccomando: vino bianco come se non ci fosse un sabato, pardon, un domani. Magari la coscienza di classe rimane digiuna, come certamente il tuo “filosofo” antiamericano eccepirà, ma non possiamo saziare solo lo spirito! Un asettico – con la mascherina – abbraccio! PS: stai lontano dagli amerikani: diffondono anche la peste e il virus della CocaCola!!!
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