IMMUNITÀ DI GREGGE…

Come un gregge addestrato, gli uomini restano
 seduti tranquilli e in infinita pazienza (*).

Richiesto da una giornalista televisiva di una spiegazione circa il panico che si è diffuso in diverse parti del Paese nei primi giorni della nota emergenza epidemica, lo scrittore Paolo giordano, un giovane intellettuale totalmente ignoto a chi scrive, se n’è uscito con questa riflessione (riassumo il concetto con parole mie): «I bambini entrano in confusione e nel panico tutte le volte che ricevano dai genitori ordini contraddittori e incerti, mentre si sentono in qualche modo rassicurati e obbediscono in modo più o meno felicemente, ma obbediscono, quando mamma e papà danno loro indicazioni con la dovuta risolutezza e dal significato univoco». Non voglio discutere sulla giustezza di questa tesi; voglio piuttosto cogliere la verità della metafora contenuta in essa (probabilmente all’insaputa di chi l’ha formulata): in fondo non siamo che bambini, persone immature che per condursi in modo razionale (per il sistema, per l’ordine costituito) hanno bisogno di ricevere ordini risoluti e coerenti. Ciò che è decisivo per la nostra vita è delegato ad altri: ai decisori politici, agli scienziati, agli esperti in qualche materia, in qualche emergenza. «In fondo è per questo che li paghiamo. Noi lavoriamo, e ci attendiamo da chi ne sa più di noi indicazioni precise sul da farsi»:  che c’è di male in questo ragionamento? L’essenziale!

Qui non si tratta di una semplice divisione sociale del lavoro, che già comunque la dice lunga sulla natura (disumana) della nostra società; si tratta di qualcosa di più profondo che tocca le stesse radici della nostra condizione esistenziale. A noi ormai sembra del tutto normale delegare a qualcun altro (a un “datore di lavoro”, a un politico, a uno scienziato, a uno specialista, allo Stato) il controllo della nostra stessa esistenza, mentre noi ci appaghiamo del ruolo di onesti cittadini che lavorano, pagano le tasse, vanno a votare quando è il momento di votare e si divertono quando ne hanno l’occasione. Il “sistema” ci rende socialmente bambini (cioè incapaci di controllare e di orientare le fonti della nostra vita), e per noi questo è del tutto normale, naturale. «Quando c’è un’emergenza, comanda lo Stato», ha dichiarato il democratico Ministro per gli affari regionali e le autonomie Francesco Boccia. Ecco, appunto.

«È la scienza medica che deve dirci come dobbiamo comportarci, e i politici devono assumere decisioni dopo aver sentito gli scienziati esperti in virus ed affini»: quante volte in questi giorni caotici e febbrili abbiamo letto e ascoltato questo orecchiabile motivo? Come se la scienza e la sua necessaria propaggine tecnologica fossero pratiche socialmente e politicamente neutre! Come se l’odierna crisi sanitaria fosse un fenomeno naturale, e non invece una crisi sociale (capitalistica) a tutto tondo nella sua genesi, nel suo propagarsi e, com’è ovvio, nelle sue conseguenze.

Non bisogna necessariamente aver letto tutti i libri di Michel Foucault, per capire fino a che punto la scienza medica è implicata nel disciplinamento e nell’orientamento delle condotte sociali e nella stessa fabbricazione dei corpi. La sorveglianza medica delle malattie e dei contagi è intimamente connessa con la pratica del controllo sociale su ogni attività significativa degli individui. Nasce dal controllo e dalla disciplina dei corpi e delle attività umane uno spazio medicalmente e socialmente razionale, cioè piegato alle incoercibili esigenze della conservazione sociale.

Riassumiamo il mantra di questi giorni: la politica ci deve guidare! La scienza ci deve guidare! Gli esperti ci devono guidare! Noi responsabilmente ci atteniamo alle indicazioni che ci danno coloro che noi paghiamo per venir presi per mano e guidati lungo la retta via. Ma che gli ordini siano perentori e univoci! Che c’è di male in tutto questo? La stessa domanda è già una risposta.

Bisogna prendere atto che contro il “virus” della coscienza critico-radicale l’immunità di gregge continua a funzionare benissimo. Il buon pastore continua a inoculare nel corpo delle pecorelle vaccini potentissimi. Mi correggo! Il solito esperto (ce n’è per tutti i gusti!) proprio adesso mi dice che ormai è la stessa pecorella che si autoimmunizza senza ricevere alcuna sollecitazione esterna. Che brutti tempi per gli untori!

Leggi anche: Uno starnuto ci seppellirà?

La scienza del giorno. «Lo spazio e il suo utilizzo regolano le interazioni sociali. Nello scambio interpersonale lo spazio tra gli interagenti è delimitato dal proprio corpo che si muove e definisce la distanza fisica, emotiva e sociale tra loro» (A. C. Venturini, psicologa psicoterapeuta, Roma). «A un metro dal tuo prossimo, una distanza da misurare a occhio, allargando le braccia, come se quello fosse il tuo spazio di sopravvivenza, il tuo respiro. È la distanza di sicurezza, definita per decreto, per resistere al virus. È la soglia del contagio. Tieni il tuo prossimo lontano da te. Non importa chi sia e neppure se non starnutisce. La prima regola è che non ti puoi fidare di nessuno» (V. Macioce, Il Giornale). Scienza della distanza – e del sospetto.

(*) «Nulla l’uomo teme di più che essere toccato dall’ignoto. Vogliamo vedere ciò che si protende dietro di noi: vogliamo conoscerlo o almeno classificarlo. Dovunque, l’uomo evita d’essere toccato da ciò che gli è estraneo. Di notte o in qualsiasi tenebra il timore suscitato dall’essere toccati inaspettatamente può crescere fino al panico. Neppure i vestiti garantiscono sufficiente sicurezza; è talmente facile strapparli, e penetrare fino alla carne nuda, liscia, indifesa dell’aggredito. Tutte le distanze che gli uomini hanno creato intorno a sé sono dettate dal timore di essere toccati. Ci si chiude nelle case, in cui nessuno può entrare; solo là ci si sente relativamente al sicuro. La paura dello scassinatore non si riferisce soltanto alle sue intenzioni di rapinarci, ma è anche timore di qualcosa che dal buio, all’improvviso e inaspettatamente, si protende per agguantarci. La mano configurata ad artiglio è usata continuamente come simbolo di quel timore. […] Solo nella “massa” l’uomo può essere liberato dal timore d’essere toccato. Essa è l’unica situazione in cui tale timore si capovolge nel suo opposto. È necessaria per questo la massa “densa”, in cui corpo si addossa a corpo, una massa densa anche nella sua costituzione psichica, proprio perché non si bada a chi “ci sta addosso”. Dal momento in cui ci abbandoniamo alla massa, non temiamo d’esserne toccati. Nel caso migliore, si è tutti uguali. Le differenze non contano più, neppure quella di sesso. Chiunque ci venga addosso è uguale a noi. Lo sentiamo come ci sentiamo noi stessi. D’improvviso, poi, sembra che tutto accada “all’interno di un unico corpo”. Forse è questa una delle ragioni per cui la massa cerca di stringersi così fitta: essa vuole liberarsi il più compiutamente possibile dal timore dei singoli di essere toccati. Quanto più gli uomini si serrano disperatamente gli uni agli altri, tanto più sono certi di non aver paura l’uno dell’altro. Questo capovolgimento del timore d’essere toccati è peculiare della massa. […] Il panico è un disgregarsi della massa nella massa. Il singolo se ne stacca e vuole sfuggire ad essa che, come insieme, è in pericolo. Ma essendo sempre inserito in essa fisicamente, deve aggredirla. Abbandonarsi ora ad essa sarebbe la sua rovina, siccome essa stessa è minacciata dalla rovina. In un momento simile egli non può sottolineare abbastanza la sua individualità» (E. Canetti, Massa e potere, 1960, pp. 12-26, Adelphi, 2010).

2 pensieri su “IMMUNITÀ DI GREGGE…

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