LA RELAZIONE OGGETTO-SOGGETTO COME FONDAMENTO DELLA “REALTÀ OGGETTIVA”. Una riflessione a partire da Helgoland di Carlo Rovelli

Per se stesso e in quanto si serve dei suoi sensi integri,
l’uomo è il maggiore e il più preciso strumento di fisica
che possa esistere; ed è appunto la maggior calamità
della fisica moderna quella di aver quasi scisso gli
esperimenti dall’uomo, di pretendere di conoscere la
natura solo attraverso ciò che ne rivelano gli strumenti
artificiali, anzi, di voler con questi limitare e decidere
ciò che essa è in grado di fare  (J. W. Goethe).

Leggendo Helgoland di Carlo Rovelli tutto mi sarei aspettato, tranne che di imbattermi, per l’ennesima volta, in Lenin e in Bogdanov, due personaggi che “frequento” ormai da molto – troppo! – tempo, ed esattamente dal 1979. Fu in quell’anno, infatti, che lessi per la prima volta Materialismo ed empiriocriticismo, il “mitico” libro che Lenin scrisse a Londra nel 1908, e che pubblicò a Mosca l’anno successivo, soprattutto contro il suo ex compagno e stretto collaboratore di partito Aleksandr Bogdanov, mettendo insieme gli appunti di uno studio filosofico alquanto frettoloso. Quando parlo di partito, alludo naturalmente alla fazione bolscevica della socialdemocrazia russa, divisa dal 1903 in bolscevichi (maggioranza) e menscevichi (minoranza). Proprio nel 1903, la polizia dello Zar segnalava Lenin e Bogdanov come i due rivoluzionari russi «più pericolosi in assoluto».

Allora accordai la mia simpatia, in modo piuttosto acritico e senza aver compreso bene i termini squisitamente filosofici della questione (dopotutto ero ancora un ragazzino!), al “grande vecchio” del bolscevismo, alle prese, così allora pensavo, con l’ideologia borghese che cercava di infiltrarsi subdolamente nel movimento rivoluzionario russo sotto le seducenti sembianze del “machismo” e del “neokantismo”. Senza parlare dei “Costruttori di Dio” di Gor’kij, Lunačarskij e compagni! La controrivoluzione zarista che aveva spazzato via la Rivoluzione del 1905 aveva indebolito anche il movimento d’avanguardia del giovane ma combattivo proletariato russo, e lo sviluppo di quelle filosofie “eretiche” tra le sue stesse fila ne era la puntuale conferma “sovrastrutturale”. Il movimento operaio russo, battuto dalla sanguinosa repressione zarista, rischiava adesso di disgregarsi anche sul piano ideologico e politico. Ma per fortuna Lenin non si era lasciato vincere dallo sconforto e poteva guidare da par suo la “ritirata strategica” delle forze rivoluzionarie, arginando in primo luogo lo sbandamento politico-ideologico dei bolscevichi. Il testo del 1909 ci offre la testimonianza forse più importante di questa decisiva battaglia leniniana. Con Materialismo ed empiriocriticismo Lenin riuscì a piantare il paletto del materialismo “storico-dialettico” nel cuore del rampante machismo russo, che difatti da lì a poco avrebbe esalato l’ultimo respiro lasciando per intero la scena della socialdemocrazia rivoluzionaria al “marxismo autentico” (cioè a Lenin stesso), all’unico materialismo dialettico possibile – quello di Plechanov e di Lenin, alleatisi “tatticamente” dopo il 1905 proprio per combattere l’eresia bogdanoviana e, in generale, per «debellare il liquidatorismo, l’otsovvismo, il misticismo e il machismo», ossia «tutte le correnti anti-marxiste e revisioniste», come scrisse Deborin nella sua Prefazione all’edizione tedesca del 1927 di Materialismo ed empiriocriticismo. Per qualche anno fu questa la “narrazione” che coltivai sulla vicenda Lenin-Bogdanov.

Ma già qualche anno dopo, quella confortevole “narrativa” iniziò a vacillare grazie a uno studio più approfondito delle “problematiche” filosofiche e alla maturazione di un punto di vista meno ideologico e più critico su ogni aspetto della vita.

[…]

In estrema sintesi. La domanda circa l’esistenza di oggetti reali che non contempli la compresenza del soggetto mi appare del tutto priva di senso. La cosiddetta realtà oggettiva è una costruzione relazionale, non un dato immediato dei sensi o della coscienza. Sostenere, ad esempio, che esistono cose anche se l’umanità non ci fosse mai stata non equivale a esprimere un’inoppugnabile dato di fatto; con tale affermazione ci troviamo piuttosto dinanzi a una concettualizzazione di una costruzione relazionale. Ciò che sta come dato primario della conoscenza soggettiva non è l’oggetto esterno, ma il soggetto collettivo, la concordanza sociale sulle cose, sul loro essere e sul loro divenire. La rotondità della Terra, ad esempio, non è un fatto oggettivo, ma una scoperta dell’uomo ottenuta con mezzi pratici e teorici. La conoscenza del singolo soggetto “cade” cioè dentro la più ampia e articolata dimensione del soggetto collettivo, della Comunità degli umani. Per questo non ha alcun senso sostenere che la negazione di una realtà esterna assolutamente indipendente dal soggetto significa aprire le porte alle più bizzarre e irrazionali credenze circa la realtà del mondo, rendendo così impossibile la stessa esistenza di una Comunità. Del resto, anche quando credevano in divinità, demoni e folletti, gli esseri umani erano in grado di realizzare poderosi concetti scientifici da mettere al servizio della loro vita.  Il concetto di verità implica necessariamente l’esistenza di un soggetto: una cosa, un fatto, un evento sono, infatti, veri o non veri sempre per un soggetto, individuale o collettivo che sia. Da questo punto di vista, solo a un Creatore dell’Universo sarebbe concesso di essere fuori e prima della relazione oggetto-soggetto; è un’ipotesi che personalmente mi sento di escludere – ovviamente non con l’ausilio di dati oggettivi corroborati da esperimenti di laboratorio, ma sulla base di uno studio critico (cioè politicamente orientato) del processo sociale considerato storicamente. «Ma questo metodo non è affatto scientifico!» Lo so bene!

[…]

Ho sviluppato la mia concezione “praxista” (o “correlazionista”) del mondo molto tempo prima che approfondissi la conoscenza della fisica quantistica, e l’ho fatto, come si è visto, in un ambito di studio strettamente storico-sociale e sulla base di interessi di natura sia filosofica che politica – per quanto mi riguarda, due facce della stessa medaglia. Solo quando (2017) ho studiato la fisica quantistica, dai suoi presupposti teorici e sperimentali ottocenteschi ai suoi più recenti sviluppi, ho scoperto, con mia piacevole sorpresa, debbo confessarlo, che la mia cosiddetta “concezione del mondo” non si trova affatto spiazzata, tutt’altro, dalla filosofia che supporta concettualmente la Meccanica Quantistica, quantomeno quella che fa capo alla famosa Interpretazione/Scuola di Copenaghen. Naturalmente dicendo questo non sto affermando che il mio punto di vista “relazionale” abbia trovato una conferma nell’epistemologia adeguata alla dimensione quantistica, anche perché non credo di avere i requisiti giusti per discernere in quel senso, o nel senso opposto. D’altra parte credo di aver spiegato a sufficienza il significato di quella mia affermazione.

I miei limiti cognitivi, soprattutto per quanto riguarda il formalismo matematico della teoria quantistica, di sicuro non mi permettono di comprendere nel modo dovuto quella teoria (che ormai continuo a studiare regolarmente, stregato dalla sua “potenza misterica”), e d’altra parte il mio interesse è rivolto soprattutto all’aspetto filosofico di essa, nonché al suo significato e ai suoi presupposti sociali – in quanto cioè prodotto di una peculiare prassi sociale, di una determinata epoca storica. Il risultato di questo studio è documentato dal mio scritto Riflessioni quantistiche (2017), non più che una raccolta di appunti di studio.

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Un pensiero su “LA RELAZIONE OGGETTO-SOGGETTO COME FONDAMENTO DELLA “REALTÀ OGGETTIVA”. Una riflessione a partire da Helgoland di Carlo Rovelli

  1. COMMENTI DA FACEBOOK

    V. G.: Proprio questa notte ho messo su carta alcune veloci “riflessioni filosofiche” (seppur forse non potrei permettermi di chiamarle così, non essendo una esperta o professionista della materia, ma non so come altro potrei definirle) sul tema. Una volta sglossato un po’ le note, vorrei condividerle. Come sai, entrambi siamo stregati da questo ambito, tempo fa, in seguito ad un guasto del PC, persi gran parte di un lavoro che avevo iniziato, ma con esso non è andato perso il mio interesse, quindi con estremo piacere mi dedicherò alla lettura di queste tue riflessioni. Un abbraccio.

    Sebastiano Isaia: Ciao. Stregati è la parola giusta. Aspetto le tue riflessioni. Un grande abbraccio!

    M. L.: “Io, prima persona plurale” (cit.

    Sebastiano Isaia: “Io”: probabilmente il più plurale, se così posso esprimermi, dei pronomi.

    M. L.: Sai cosa però? Scrivendo che soggetto e oggetto, mettendosi in relazione, fondano la realtà, avremmo stabilito una sequenza temporale progressiva unidirezionale che al punto zero pone un dualismo mitico fatto di soggetto e oggetto ancora irrelati. Per questo mi sono persuaso invece, come sai, che sia la correlazione inscindibile (che preferisco chiamare “legame o rapporto sociale” o, come te, “soggetto collettivo”) a essere originaria. Segue l’invenzione del dualismo di cui sopra, da cui derivano, nello scorrere della storia, le complicazioni e le sfide che la fisica contemporanea pone al senso comune. Penso comunque che Rovelli stesso, alla fine del suo saggio, cada vittima del realismo da cui ha cercato di sottrarsi per tutto il libro.

    Sebastiano Isaia: Concordo, e non credo di aver sostenuto un altro concetto. Per dirla biblicamente, al principio c’è la correlazione. «Nella mia concezione non esiste insomma una realtà che precede il legame sociale che stringe gli individui fra loro e alla natura. Si tratta di un punto di vista non intuitivo, perché per il pensiero è più semplice pensare la realtà in termini dualistici e gerarchici (corpo-spirito, essere-pensiero, sopra-sotto, dentro-fuori, prima-dopo, ecc.)» (p. 9).

    M. L.: Lo so. Mi riferivo esclusivamente alla forma del titolo del tuo post. È chiaro, dal contenuto, che pervieni alla mia stessa conclusione.

    Sebastiano Isaia: «Un certo sostanzialismo ontologico sembra in qualche modo tormentare anche il “relazionista” Rovelli, il quale sente il bisogno di assicurarci riguardo a ciò che segue: “Voglio una teoria fisica che renda conto della struttura dell’universo, chiarisca cosa sia un osservatore dentro l’universo, non una teoria che faccia dipendere l’universo da me che osservo”» (p. 25).

    M. L.: E questo è tanto più interessante se consideri che Nāgārjuna, il filosofo indiano del III secolo che Rovelli cita estesamente, riesce in modo brillante a sfuggire al sostanzialismo ontologico, facendo proprio dell’arguzia dialettica con cui l’aggira la grande virtù del suo insegnamento.

    E. R.: Nella mia ignoranza mi sembra di capire Goethe……. molto meno, anzi per niente il “marxismo autentico” (cioè Lenin stesso).

    D. V.:
    D’accordo con la citazione iniziale, nel senso che, effettivamente, molta della scienza attuale è finita col diventare una mera tecnica di produzione di realtà artificiali, se non addirittura immaginarie(vedi le famose stringhe della teoria M).Non più impegnata ad adeguare il pensiero alla realtà, bensì a prescrivere ciò che la realtà deve essere. La famigerata tecno-scienza, insomma.
    Ma chissà poi se era questo quello che voleva dire il poeta. Comunque il problema della sempre più spinta matematizzazione della fisica e la conseguente snaturalizzazione della natura, ad esempio, è un problema sentito anche da molti addetti ai lavori, non solo dai poeti. Qui un breve stralcio: https://www.iltascabile.com/…/smarriti-nella-matematica/
    Tornando a bomba:
    “In estrema sintesi. La domanda circa l’esistenza di oggetti reali che non contempli la compresenza del soggetto mi appare del tutto priva di senso. La cosiddetta realtà oggettiva è una costruzione relazionale, non un dato immediato dei sensi o della coscienza”
    Giusto! Un esempio tra mille: la riproduzione. Per fare un animale ce ne vogliono come minimo due, e non due che se ne stanno soli per i cavoli loro, ma due che entrano in un particolare tipo di relazione. Per cui si, sono d’accordo la domanda circa l’esistenza reale di rapporti amorosi che non contempli la compresenza di guardoni mi appare del tutto priva di senso,visto che gli animali possono benissimo accoppiarsi per i fatti loro.
    “La rotondità della Terra, ad esempio, non è un fatto oggettivo, ma una scoperta dell’uomo ottenuta con mezzi pratici e teorici.”
    Quindi prima che l’uomo la scoprisse ,la Terra non era rotonda, ma aveva un’altra forma o magari proprio nessuna? Bisognerebbe chiamarla allora l'”invenzione della rotondità della Terra” e non “la scoperta della rotondità della Terra”. Ciò che esiste si scopre, il resto si inventa.
    “Il concetto di verità implica necessariamente l’esistenza di un soggetto: una cosa, un fatto, un evento sono, infatti, veri o non veri sempre per un soggetto, individuale o collettivo che sia.”
    Certo, ma ciò non significa che la rotondità della Terra dipende dal nostro giudizio, significa soltanto che il giudizio dipende da colui o coloro che lo esprimono. Dice: “per chi è allora la “verità” se non per qualcuno”? Ovviamente per noi che formuliamo giudizi. Ma un conto sono i fatti, un conto sono i giudizi sui fatti. E, sebbene la rotondità sia un concetto umano,il fatto che la terra sia rotonda non dipende dal nostro giudizio, bensì da altre circostanze, come la gravità, la massa e in generale dal movimento complessivo della materia. Materialismo della materia? E che c’è di male. D’altronde, perché mai l'”autonomia” dovrebbe valere soltanto per la prassi-che poi tanto autonoma non è, almeno non ancora-e non anche per tutti gli altri enti naturali, che tanto autonomi non sono, visto che anch’essi, per esistere, dipendono da altri.
    Perché dunque negare l’esistenza di tutto un mondo di relazioni che non dipendono da noi? Sinceramente non ne vedo la necessità.Se riconosco che una montagna esiste indipendentemente dalla prassi, non è che allora diventa impossibile farci un foro e passare dall’atra parte. Se le eruzioni vulcaniche accadono indipendentemente dai sismografi, non vuol dire che allora dobbiamo starcene belli immobili con le mani in mano: possiamo sempre evitare di starcene alle sue pendici.
    Può darsi infine che la domanda circa l’esistenza di fenomeni che accadono (anche) senza la compresenza del soggetto serva proprio a questo: a non farci prendere delle sonore cantonate quando essi si presentano.
    Va bene, adesso mi fermo. Non vorrei prendere… cantonate. Poi con calma leggo il PDF. Ciao.

    Sebastiano Isaia: La possibilità che tu prenda “cantonate” è esattamente uguale a quella che ho io di esternare sciocchezze. Abbiamo opinioni diverse su come va concepita la “realtà oggettiva” ecc.: e che c’è di male? Anche io leggerò con più calma la tua riflessione. Intanto ti ringrazio per l’attenzione che dedichi ai miei più che modesti scritti. Ciao!

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