La distruzione degli ecosistemi attraverso la deforestazione, l’inquinamento, il riscaldamento e quant’altro ha creato in alcune aree del nostro pianeta un habitat favorevole alla vita dei pipistrelli, i quali hanno, come ormai sappiamo, «una tragica peculiarità: veicolano circa 3000 tipi diversi di coronavirus. La maggior parte dei quali non si trasmettono agli esseri umani, con qualche eccezione: Mers, Sars e ora Covid-19» (La Repubblica, 5/02/2021).
L’ultimo studio scientifico che dimostra quanto appena affermato è di qualche giorno fa, e ieri ne parlavano tutti i maggiori quotidiani italiani. «I ricercatori del Dipartimento di Zoologia dell’Università di Cambridge suggeriscono che negli ultimi 100 anni l’innalzamento delle temperature globali abbia portato a una esplosione di specie di pipistrelli nella provincia cinese dello Yunnan, a confine con Myanmar e il Laos. Quella stessa area da cui, secondo gli studi genetici, si sarebbe originato il Sars Cov-2, passato probabilmente ai pangolini e poi agli esseri umani. Nello studio pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment si specifica che ben “40 specie di pipistrelli si sono trasferite nell’ultimo secolo verso la provincia cinese meridionale dello Yunnan, specie che ospitano circa 100 tipi diversi di coronavirus”. Ma qual è il meccanismo che ha portato alla concentrazione in una stessa area di così tanti mammiferi alati e dei loro parassiti virali? “Il cambiamento climatico degli ultimi cento anni ha trasformato questa provincia cinese in un habitat ideale per i pipistrelli”, risponde Robert Beyer, zoologo a Cambridge e primo autore dello studio. Più nel dettaglio, i ricercatori del team inglese hanno dimostrato come le variazioni, verificatesi da inizio Novecento a oggi, di temperatura, luce solare e anidride carbonica presente nell’atmosfera abbiano trasformato un’area caratterizzata da arbusti tropicali in savane e boschi di latifoglie. Un ambiente perfetto per molte specie di pipistrelli che vivono nelle foreste. […] Non sarebbe in sé una notizia clamorosa: il riscaldamento globale sta innescando migrazioni in tutto il mondo animale, dagli orsi polari ormai senza ghiaccio ai pesci che inseguono il mutare delle correnti» (La Repubblica).
Purtroppo per noi, i pipistrelli (*) sono portatori della «tragica peculiarità» riportata sopra. Comunque sia, pipistrelli o meno, non c’è dubbio che oggi siamo esposti al rischio di malattie infettive molto di più che in passato. Ma a chi attribuire la responsabilità “ultima” (ma anche “prima”, a ben vedere) di questa sciagurata esposizione? È una domanda che rivolgo a tutti, anche ai “complottisti”, ai “negazionisti” e ai loro critici più spietati – quelli che amano sparare sulla Croce Rossa, per intenderci.
Secondo David Quammen, l’autore dell’ormai famoso e celebrato Spillover, «Dobbiamo raccoglierci, tutti, intorno allo stesso falò intellettuale, e costruire una comunità di persone consapevoli» (Il Corriere della Sera). Esatto! Ma in che senso? Sempre secondo Quammen, «la scomparsa della biodiversità, i nuovi patogeni e i cambiamenti climatici non sono l’una la causa dell’altra, ma sono fenomeni collegati», ed è anche per questo che, a mio avviso, non ha alcun senso attribuire una nazionalità ai patogeni che minacciano la nostra salute e la nostra stessa vita. Il Coronavirus che ci tormenta non parla una lingua nazionale (il cinese, ad esempio), ma la lingua del rapporto sociale di produzione oggi dominante in ogni parte del mondo: dalla Cina agli Stati Uniti, dall’Europa all’Africa, ecc. Chi desidera usare un linguaggio meno “ideologico”, “vecchio” e politicamente connotato del mio, può sempre parlare di “attività antropiche” non meglio definite sul piano storico e sociale: non c’è problema! O no?
«La Terra è malata. Lo sappiamo da anni. Quello che non sappiamo è quale livello abbia raggiunto il suo malessere. I segnali ci sono. Basta guardarsi in giro, vedere e assistere alle reazioni di una natura che si ribella al riscaldamento globale, agli uragani che si abbattono con furia devastando cose e uomini; al disboscamento selvaggio che provoca gli incendi; alle piogge battenti che sommergono interi territori lasciando sul lastrico chi sulla terra ci lavora e ci campa, costringendo a esodi intere popolazioni. Adesso, c’è un elemento in più. Nuovo. Che spinge gli esperti e gli scienziati a redigere un rapporto allarmante: ci sono sempre più specie di animali selvatici che hanno contratto strane forme di infezione. Micosi, funghi, escoriazioni cutanee e del pelo. Sono aggredite da nuovi virus. Il rischio è che lo possano trasmettere ai loro fratelli e sorelle domestiche e da questi ai noi umani. Un “salto di specie”, quello che si chiama zoonosi e che i virologi, ma non solo loro, considerano il veicolo con cui i misteriosi microrganismi ci aggrediscono per nutrirsi, sopravvivere e espandersi. Il Covid-19 è l’ultimo esempio devastante. La malattia del Pianeta sembra aver raggiunto anche la vita silvestre. La fauna selvatica è sempre più aggredita a seconda dell’attività umana» (La Repubblica, 20/11/2020).
Come si chiama la malattia che affligge il nostro pianeta? E qual è, a mio modesto avviso, il solo “programma specifico” in grado di guarirlo intervenendo sulle radici stesse della malattia? Non intendo rispondere a queste due impegnative domande; non per un’improvvisa défaillance cognitiva, o per paura di incorrere in una censura algoritmica (l’Intelligenza Artificiale è troppo sofisticata per curarsi delle mie riflessioni analogiche), ma per non essere ripetitivo.
(*) «In tutto il sudest asiatico il guano di pipistrello costituisce un’importante risorsa economica per le popolazioni locali. Per esempio, in Cambogia, ove il guano di pipistrello è considerato “oro nero”, esso viene raccolto sia direttamente nelle grotte, da appositi minatori, i quali a mani nude e senza nessuna protezione riempiono sacchi della preziosa merce, sia stendendo delle reticelle al di sotto delle rotte frequentate dai pipistrelli, per raccogliere il guano da essi rilasciato in volo (e quindi fresco), come spiegato in un’intervista apparsa sul South-East. Il guano di pipistrello è così apprezzato, che anche l’agricoltura biologica dei ricchi paesi occidentali vi ha accesso, ed è possibile comprarlo direttamente sia su Amazon sia dalla sua controparte cinese, il sito di vendite online AliBaba. Esso, quindi, non solo sostiene l’agricoltura locale – specialmente di riso – ma alimenta una economia che rimpingua le magre casse dei locali, i quali, giustamente, lo valorizzano come una risorsa pregiata per sbarcare il lunario» (E. Bucci, Il Foglio, 3/8/2020). Quando si dice economia di merda!
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