BELT AND ROAD INITIATIVE: NEOCOLONIALISMO O IMPERIALISMO “CON CARATTERISTICHE CINESI”?

The Belt and Road Initiative è una strategia globale di sviluppo delle infrastrutture elaborata dalla Cina nel 2013. Si tratta forse di un «colonialismo con caratteristiche cinesi?», si chiede – retoricamente – un simpatizzante del Partito-Regime cinese. Vediamo come risponde l’amico del Dragone: «La BRI mira a promuovere l’integrazione economica globale e la cooperazione attraverso la costruzione di un gran numero di strade, ferrovie, ponti, fabbriche, porti, aeroporti, infrastrutture energetiche e sistemi di telecomunicazione, che consentiranno una maggiore integrazione dei mercati e un’allocazione più efficiente delle risorse. […] La Cina si trova in una posizione unica per essere la forza trainante di un tale progetto, date le sue dimensioni, la sua posizione e la natura della sua economia. Si tratta evidentemente [sic!] di una forma di globalizzazione, ma senza il dominio e la coercizione che caratterizzano l’imperialismo. Tuttavia, la BRI è stata etichettata da una serie di forze politiche come un progetto neocoloniale». Ora, qual è la natura dell’economia cinese? Già porre questa domanda dovrebbe far sorridere chi ha letto – e magari compreso – gli scritti marxiani, talmente evidente è la natura capitalistica della Cina. La Cina non pratica uno sfruttamento neocoloniale dei Paesi coinvolti a vario titolo nella Belt and Road Initiative, ma uno sfruttamento “classicamente” imperialista. Non c’è bisogno di leggere (ma certo la cosa un poco aiuta) i testi canonici riguardanti la genesi storica, lo sviluppo e la prassi dell’Imperialismo, dalla fine del XIX in poi, per capire di che cosa stiamo parlando quando osserviamo le relazioni che il sistema capitalistico cinese (non “il popolo cinese”, come amano dire i lecchini del Partito Capitalista Cinese) intesse con i Paesi bisognosi di finanziamenti e di investimenti.

«Un sottoprodotto politico fondamentale di ciò [della strategia chiamata BRI] è “stimolare relazioni armoniose tra i paesi”»: dalle mie parti questo «sottoprodotto politico fondamentale» si chiama propaganda di regime, a uso interno e internazionale .

«Paragonare tale processo all’imperialismo praticato dall’Europa occidentale, dal Nord America e dal Giappone è un insulto alle centinaia di milioni in Africa, Asia, America latina, Caraibi, Medio Oriente e Pacifico che hanno sopportato la miseria dell’assoggettamento coloniale e neocoloniale». A mio modesto avviso sono invece i supporter della Cina capitalista/imperialista che offendono la realtà delle cose e gli sfruttati di tutti i Paesi di questo pianeta dominato dal rapporto sociale di produzione capitalistico, e in un modo tale da far arrossire il mondo distopico immaginato da Orwell.

Se il centro di gravità del mondo si sposta dall’Atlantico al Pacifico, «secondo le parole di Henry Kissinger», è cosa che può spaventare la concorrenza occidentale, ma che di certo non rappresenta nessun avanzamento di civiltà (capitalistica!), soprattutto per le classi subalterne, ovunque esse si trovino a subire lo sfruttamento e il dominio del Moloch chiamato Capitale.

 

Sulla natura capitalistica della Cina, tanto per quanto riguarda la sua “struttura” economica quanto per ciò che concerne la sua “sovrastruttura” politico-istituzionale, rimando ai miei diversi scritti dedicati al grande Paese asiatico. Solo alcuni titoli: Tutto sotto il cielo – del Capitalismo; La Cina è capitalista? Solo un pochino; Chuang e il “regime di sviluppo socialista”; La “doppia circolazione” della Cina capitalista; Sulla campagna cinese; Žižek, Badiou e la rivoluzione culturale cinese; Da Mao a Xi Jinping. 70 anni di capitalismo con caratteristiche cinese.

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