«Quarant’anni dopo la scoperta degli elenchi della loggia Propaganda 2 a Castiglion Fibocchi, un interrogativo tra i tanti rimane ancora in sospeso: i nomi ritrovati erano davvero tutti i componenti della loggia di Licio Gelli?» (Il Fatto Quotidiano). Personalmente trovo quell’interrogativo del tutto privo di interesse: chi se ne frega dei (presunti) elenchi completi della P2! «E poi: a cosa serviva davvero quella loggia coperta che metteva insieme politici, alti ufficiali delle forze armante e giornalisti?»: ecco, questa domanda ha invece ai miei occhi un qualche interesse, purché la si collochi fuori dalla trita e ritrita narrazione complottista cara ai cultori degli italici “misteri” – dalla “strategia della tensione” al rapimento Moro, dalla strage di Bologna allo “scandalo P2”, da Tangentopoli a…, e via di seguito.
Al di là delle forme folcloristiche che tanto piacciono ai venditori di scandali (e di fumo), peraltro così bene illustrate nel film Il piccolo borghese (Mario Monicelli, 1977), e prescindendo dalla coscienza che i protagonisti assoluti (a partire dallo stesso Gelli) della vicenda avevano (e spesso millantavano) del loro ruolo, la Loggia “segreta” di cui si parla offrì un servizio in grado di mettere in reciproca relazione i diversi “centri di potere” esistenti nel Paese: politici, imprenditoriali, finanziari, affaristici genericamente intesi (alcuni dei quali in rapporti diretti o indiretti con i gruppi malavitosi regionali: mafia, camorra, ‘ndrangheta, ecc.), militari, editoriali ecc. Senza contare il servizio offerto alla vasta e varia umanità alla ricerca di affari, di denaro, di raccomandazioni e di altre “utilità” idonee a rendere più agevole il successo in questo difficile e competitivo mondo.
Nella sua interessante Relazione di minoranza della Commissione d’inchiesta sulla Loggia P2 (1984), l’allora deputato radicale Massimo Teodori definì la Loggia di Gelli «come luogo di incontro di elementi che occupano posizioni di rilievo in cruciali settori della vita nazionale» (1). Niente di cui meravigliarsi, insomma, e soprattutto, almeno per chi scrive, niente di cui scandalizzarsi, niente di cui indignarsi, ma piuttosto la normale amministrazione capitalistica – come essa si estrinseca in un Paese particolarmente “complicato” (anche dal punto di vista delle alleanze internazionali), contorto e ipocrita come il “nostro”.
A differenza che negli altri Paesi, soprattutto in quelli di cultura anglosassone nei quali la prassi lobbistica è istituzionalizzata e regolamentata fin nei dettagli, nell’Italia del Secondo dopoguerra le lobby si sono affermate all’ombra, non alla luce del sole, e questo soprattutto a causa dell’egemonia politico-ideologica esercitata dal catto-togliattismo, ossia dall’asse DC-PCI, il cui escrementizio moralismo impediva alla normale attività lobbistica di apparire, ma non certo di esistere e prosperare. Si fa (esattamente come nel resto di questo capitalistico mondo), ma non si dice e non si deve vedere! La Loggia “coperta” di Gelli, una delle lobby “informali” allora operanti in Italia, fu insomma possibile grazie alla guerra che dilania la cosiddetta società civile: imprenditori contro imprenditori, politici contro politici, giornalisti contro giornalisti, e così via. Il concetto di classe dominante non azzera affatto la guerra intestina a quella classe, tutt’altro! Come diceva il Venerabile di Treviri, è nel concetto stesso di capitale non solo l’antagonismo tra capitalisti e lavoratori, ma anche la guerra tra gli attori della competizione capitalistica, i quali per vincere sulla concorrenza cercano di appoggiarsi alla politica, allo Stato (anche ai suoi poteri di controllo e di repressione: vedi alla voce inchieste giudiziarie), alle lobby (interne e internazionali) e, non di rado, ai servizi armati offerti dai privati – ci siamo capiti! Non dimentichiamo che il Capitalismo è il regno della «guerra di tutti contro tutti», e che «il fine giustifica il mezzo». È insomma il Capitale il Grande Architetto di cui parlavano i Fratelli massoni – “scoperti” o “coperti” che fossero, senza o con cappuccio in testa.
L’espansione tentacolare della Loggia gelliana si spiega soprattutto con la relativa arretratezza sistemica della società italiana, la quale impediva, come già accennato, l’esistenza di un’ordinata e trasparente attività lobbistica, la quale finì per concentrarsi nelle mani di poche persone particolarmente vicine al sistema politico-istituzionale (anche a quello cosiddetto “deviato”, protagonista di mille “trame nere”), cosa che permise alla P2 di acquisire un considerevole peso politico – fatto risaputo da tutti almeno dalla seconda metà degli anni Settanta del secolo scorso.
Solo da qualche tempo si parla in Italia di come rendere “trasparante” l’attività lobbistica di cui i “centri di potere” hanno bisogno. Il «si fa ma non si dice» a un certo punto mostra tutti i suoi limiti funzionali – e le sue “problematicità” politiche.
Lo “scandalo” della P2 si inquadra esso stesso nella guerra tra bande e tra cosche qui solo abbozzata, e la famigerata Loggia Propaganda 2 va dunque considerata come una banda/cosca perdente la cui rovinosa caduta servì a disfarsi di un personaggio (Gelli) diventato troppo ingombrante, pretenzioso e pericoloso (perché iniziò a servirsi della sua funzione di intermediazione affaristica per ricattare i sodali “massoni”), e a coprire l’attività delle altre “logge” (chiamiamole così tanto per capirci) allora presenti in questo Paese, le quali ovviamente continuarono indisturbate ad offrire alla cospicua e assai differenziata clientela i loro servizi.
Scriveva Teodori: «Andreotti e Berlinguer, Fanfani e Craxi, Piccoli e Spadolini, Longo e Labriola, Zanone e Romita, Forlani ed Almirante appaiono non come i leaders responsabili della politica italiana ma come personaggi sorpresi da eventi improvvisi e straordinari di cui prendono consapevolezza solo a posteriori. È d’obbligo allora pervenire ad una valutazione di un tale atteggiamento complessivo della classe dirigente politica, apparentemente inspiegabile: o ci si trova di fronte ad una serie di personaggi ingenui e sprovveduti che in parte mentono e in parte si ispirano ad un ambiguo machiavellismo, oppure la vicenda di quindici anni di P2 e di piduismo è talmente sovrapposta ed intrecciata alla vicenda del potere partitocratico in Italia che i leaders politici non riescono piu nemmeno a distinguerla l’uno dall’altra. Certamente è presente, anche se in parte piccola e marginale, la componente della sprovvedutezza e del machiavellismo; ma è soprattutto vero che la P2 è stata cosi interna della partitocrazia da non essere percepita come un elemento estraneo dal potere ed al suo esercizio illegale da parte dei partiti. In definitiva la P2 è il grande scheletro nell’armadio dei partiti di cui ognuno conosce l’esistenza ma nessuno ne vuole e ne può parlare» (2).
Naturalmente il punto di vista di Teodori è quello di chi contesta la «degenerazione partitocratica della democrazia», sia nei suoi aspetti politico-istituzionali, sia in quelli economici e sociali (a partire dalla Confindustria e dai sindacati considerati dai radicali di Pannella una «cinghia di trasmissione partitocratica»), nel nome dell’«autentica democrazia liberale». In ogni caso, l’estraneità al «sistema partitocratico» consentì ai radicali di elaborare sulla P2 una narrazione più puntuale e meno ideologica di quella, per molti aspetti semplicemente ridicola, messa in piedi dal «regime partitocratico».
Scriveva Sergio Soave sul Foglio del 2 novembre 2016, ricordando Tina Anselmi, Presidente della Commissione d’inchiesta sulla P2 scomparsa il giorno prima: «La tesi illustrata nella relazione conclusiva redatta dalla Anselmi parla di una associazione segreta che aveva l’incarico di realizzare una specie di colpo di stato in sintonia con indicazioni provenienti dall’America e con la collaborazione della mafia, della massoneria e dei vertici dei corpi dello Stato. Fu la prima volta che in un documento ufficiale approvato dal Parlamento si sostenne l’esistenza di un antistato, promotore di una azione eversiva ordinata da Washington e da realizzare anche attraverso infiltrazioni mafiose. In seguito non è stato provato nulla, le accuse specifiche contro lo stesso Licio Gelli alla fine sono cadute, ma sul piano politico la tematica dell’antistato si è poi rafforzata, le teorie complottistiche si sono moltiplicate, la convinzione di un rapporto inconfessabile tra politica e mafia di tali dimensioni da orientare e condizionare le scelte governative è sopravvissuta ed è infatti ancora oggi la trama fondamentale del teorema farlocco su cui si regge (o meglio traballa) il procedimento palermitano sulla presunta trattativa tra stato e mafia. La tesi della relazione Anselmi fu contestata all’origine solo dai Radicali, che presentarono una relazione di minoranza contrapposta, in cui si sosteneva che la P2 non tramava un colpo di stato contro i partiti ma che fosse piuttosto un’agenzia dei partiti, o almeno di spezzoni delle forze politiche. Comunque, il duplice tema della manovra americana e dell’infiltrazione mafiosa (che nella relazione veniva fatta risalire addirittura ai tempi dello sbarco in Sicilia delle truppe alleate) ha tenuto banco da allora in poi. […] Naturalmente Tina Anselmi non immaginava neppure che la sua interpretazione della finzione della loggia P2 avrebbe dato la stura a tutto ciò. Forse queste tendenze all’interpretazione complottista della storia nazionale avrebbero prosperato comunque, ma vale la pena di ricordare le connessioni che, per quanto involontarie, sono indubbiamente reali». Non dico nulla di originale osservando che «l’interpretazione complottista della storia nazionale» è stata applicata con implacabile coerenza nei confronti del Cavaliere Nero chiamato Silvio Berlusconi, accusato soprattutto dai suoi avversari di “sinistra” di ogni genere di misfatto. Della serie, dimmi chi è il tuo nemico e ti dirò chi sei. «E il tuo nemico chi è?» Il mio nemico è il rapporto sociale capitalistico di dominio e di sfruttamento; il mio nemico è il sistema capitalistico preso nella sua compatta quanto contraddittoria e conflittuale totalità; il mio nemico è lo Stato capitalistico, qualunque sia la sua configurazione politico-istituzionale: democratica, partitocratica, fascista, stalinista, eccetera, eccetera, eccetera. Chi complotta contro la felicità e la libertà degli individui è questa peculiare (capitalistica) Società-Mondo. Questo a proposito di chi comanda davvero nella «sala controllo» del Potere.
Concludo dicendo che do per scontato il fatto che la mia lettura della vicenda piduista possa apparire riduttiva e perfino ingenua non solo agli amanti del genere complottista (questo lo do per certo), ma anche agli occhi di chi crede nelle istituzioni democratiche, viste sempre esposte alle minacce dei “poteri deviati” al servizio di qualche “potere forte” e magari “occulto” – qui il complottista e il democratico si danno la mano, parlano lo stesso linguaggio, un linguaggio che l’anticapitalista comprende benissimo ma il cui significato non condivide affatto.
(1) Relazione di minoranza della Commissione d’inchiesta sulla Loggia massonica P2, p. 23. «Non ho mai pensato che Gelli fosse il capo della P2. L’impressione che ne ho avuto io – l’ho incontrato una volta – è che fosse una sorta di ” grand commis ”, di segretario generale, di attivatore di un’organizzazione alla quale facevano capo un complesso di relazioni, ma non un capo carismatico di un’organizzazione che dipendesse da lui» (Bettino Craxi, ivi, p. 5). Particolarmente significativa è la parte della Relazione che ricostruisce i rapporti intercossi tra il fascista ed ex repubblichino Licio Gelli e il PCI già all’indomani della cosiddetta Liberazione, cosa che spiega ampiamente l’estrema contrarietà con la quale quel Partito, perno centrale, insieme alla DC, della “partitocrazia” (degna erede del regime fascista), accolse il puntiglioso lavoro investigativo di Teodori. «Sono passati 40 anni dai giorni in cui vennero scoperte le liste della P2 e i complottomani ripropongono le interpretazioni ideologizzanti di comodo che allora tennero banco, e oggi continuano a sostenere che la “loggia continua”. […] Non ho mai creduto al programma “sovversivo” di riforma costituzionale dei piduisti (presidenzialismo, etc.). Le loro proposte erano un assemblaggio di idee circolanti in vari ambienti che fu esibito per accreditare una facciata rispettabile. Certo, nella Guerra Fredda alcuni piduisti nelle forze armate e nei servizi facevano il gioco dell’atlantismo avventurista nel quadro del grande gioco internazionale. Ma la chiave di volta di tutto il gruppo era il potere sotterraneo e il ricatto: non appena si conobbero nomi e carte, tutto svanì. Le liste P2 indicarono che sotto la politica ufficiale vi era un livello sotterraneo che trattava gli affari illegittimi, spesso per conto dei protagonisti ufficiali. Era l’effetto della democrazia senza ricambio e del continuismo consociativo che includeva non solo le forze allora di maggioranze (dalla DC al PSI…) ma anche settori importanti del partito di opposizione, il PCI. […] Fece sensazione la quantità dei politici, giornalisti, manager dell’economia e finanza, militari e addetti ai servizi presenti nelle liste. Ma il golpe non era l’obiettivo sociale. La loggia aveva al centro il potere, da chiunque fosse esercitato. Gelli e il vertice della P2 avevano interesse a stabilizzare il sistema di potere in cui erano stabilmente inseriti grazie ai ricatti alimentati dalla conoscenza delle operazioni illegittime volte agli affari politici e a quelli personali di denaro e carriera. Un altro mito è il ruolo attribuito alla massoneria. Quella congrega aveva poco a che fare con la storia della massoneria, se non per il fatto che usava l’etichetta della vecchia loggia d’eccellenza del Grande Oriente d’Italia e molti personaggi importanti erano stati trasferiti da Gelli dalle logge normali al suo elenco “speciale”. […] Gelli, a mio parere, fu un genio organizzativo del potere e del ricatto in quanto riuscì sotto il suo dominio a collegare, intrecciare e usare i settori nevralgici della vita pubblica» (M. Teodori, Huffingtonpost).
(2) Relazione di minoranza, p. 15.
La scoperta dell’ennesima “Loggia coperta”
«Sulla presunta loggia Ungheria Stefano Bisi, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, ha affermato: “La fantomatica loggia Ungheria non è tra le 870 logge che fanno parte del Goi. Dispiace quando si vede accostato il termine loggia a gruppi che poi non si sa se esistono, con accezione negativa, per denigrare persone che fanno parte di gruppi regolari. Spesso è una sintesi giornalistica affidare il termine loggia ad un gruppo. Il complottismo va sempre di moda, nei momenti difficili di un Paese, è la risposta più facile perché diamo la patente di verità anche a fatti che noi sappiamo non essere veri. Purtroppo però il complottismo viene da molto lontano, non viene dagli anni 70-80, ma già nella scomunica del 1738 fatta da Papa Clemente XII”» (Blitz Quotidiano, 10/5/2021).
Perché chiamare “Loggia” un’agenzia “informale” di collocamento/pressione/affari/lobby? Mi si creda sulla parola: non sono un massone – né “scoperto” né, tanto meno, “coperto”.