«Un uomo di 49 anni è rimasto schiacciato da un tornio meccanico in una fabbrica di Busto Arsizio: è morto in un incidente simile a quello che ha coinvolto la giovane Luana D’Orazio. Le morti bianche in Italia sono ancora troppe: 185 secondo i dati dell’Inail nei primi tre mesi del 2021. Due vittime ogni 48 ore» (Today.it). «A Treviso strazianti i funerali del ragazzo schiacciato da un carico pendente. A Torino sciopero dopo due morti bianche in pochi giorni in Piemonte» (Avvenire).
Qui di seguito il post che ho pubblicato su Facebook qualche giorno fa.
No, la bestia, non è Leonardo Pieraccioni! La bestia è ovviamente il Capitale, il Moloch, la Cosa capitalistica che ha il diavolo in corpo.
Pieraccioni: «L’ho avuta come comparsa in un mio film, Se son rose, nella scena di una festa. Il ricordo di quella scena di una festa spensierata di ventenni aggiunge ancora più dolore. Perché la vita a vent’anni dovrebbe essere e continuare così, come una festa. È una notizia terribile, vista la sua età e la modalità dell’incidente. Lascia un bambino di cinque anni, non ci sono parole». Se non troviamo le parole adeguate a esprimere il nostro dolore, cerchiamo almeno qualche parola che possa farci capire con che cosa abbiamo a che fare quando parliamo di “incidenti sul lavoro”. Io le ho trovate nel solito Old Nick:
«Nella fabbrica esiste un meccanismo morto indipendente dagli operai, ed essi gli sono incorporati come appendici umane. Il lavoro alla macchina intacca in misura estrema il sistema nervoso, sopprime l’azione molteplice dei muscoli e confisca ogni libera attività fisica e mentale. La stessa facilitazione del lavoro diventa un mezzo di tortura. Mediante la sua trasformazione in macchina automatica, il mezzo di lavoro si contrappone all’operaio durante lo stesso processo lavorativo quale capitale, quale lavoro morto che domina e succhia fino all’ultima goccia la forza-lavoro vivente (K. Marx, Il Capitale, I, p. 467, Editori Riuniti, 1980).
Leggo da qualche parte: «Luana d’Orazio è rimasta impigliata in un orditoio, un rullo tessile che l’ha risucchiata». Quando la metafora si trasforma in un’odiosa realtà! «Nel 2021 queste cose non possono accadere»: ma se il fatto è appena accaduto! Mi si obietterà che si tratta solo di un modo di dire. Non c’è dubbio; ma è un modo di dire che la dice lunga su questa escrementizia società, sia per ciò che riguarda la sua “struttura”, il suo modo di produrre la ricchezza sociale, sia per ciò che concerne la sua “sovrastruttura”, il suo modo di spiegare e di razionalizzare fatti e relazioni.
Quando «la Costituzione più bella del mondo» (sic!) recita nel suo articolo di apertura che «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro» (salariato, mercificato), essa confessa apertamente la natura capitalistica della società italiana – natura che rende necessaria anche la formazione di un «esercito industriale di riserva» più o meno numeroso: la disoccupazione conferma, non contraddice, la «Costituzione più bella del mondo». Identica cosa si può dire a proposito della precarizzazione del lavoro e dei fenomeni che svalorizzano e disumanizzano la prestazione lavorativa.
Sul fondamento di questo lavoro (salariato), che nega agli individui umanità, libertà, dignità e creatività, e che peraltro svela la radicale continuità tra il regime fascista e quello che lo ha rimpiazzato (e così sistemiamo, con qualche giorno di ritardo, sia il 25 aprile che il Primo maggio del regime!), sono inevitabili anche i cosiddetti incidenti sul lavoro. Nel 2021 queste cose possono e anzi devono accadere, come insegna la statistica dedicata al fenomeno rubricato appunto come “incidenti sul lavoro”. «Quasi ogni giorno, una lavoratrice, un lavoratore si reca al lavoro e non fa più ritorno a casa» (un sindacalista). «Nel 2021 queste cose non possono accadere!»: sic!
Ennesimo “incidente mortale” sul lavoro a Parma.
«Un operaio di 37 anni ha perso la vita in una ditta di mangimi a Bogolese, frazione del comune di Sorbolo-Mezzani, in provincia di Parma. La tragedia è avvenuta giovedì sera. L’uomo, originario della Basilicata, è rimasto schiacciato da un contenitore pieno di mangime per animali del peso di diversi quintali che lo ha ucciso all’istante. “Ennesima tragedia sul lavoro. Una giovane vita spezzata, ieri sera. Sono notizie che lasciano tanto sgomento”, le parole del sindaco di Sorbolo-Mezzani Nicola Cesari» (La Repubblica). Più che «tanto sgomento», notizie come queste mi lasciano tanta incazzatura nei confronti di questa escrementizia società.
VERITÀ PER LUANA!
«Luana D’Orazio non doveva lavorare all’orditoio, con un contratto di “apprendistato professionalizzato” non era la sua mansione, e quella macchina non era in condizioni di sicurezza. Peggio, sarebbe stata manomessa per produrre di più. Secondo i primi rilievi tecnici sarebbe stata rimossa la saracinesca di protezione, una sbarra che avrebbe impedito a Luana di avvicinarsi troppo e di finire risucchiata dai rulli. È un meccanismo indispensabile per prevenire gli infortuni sul lavoro, ma a volte viene eliminato per velocizzare le operazioni: in caso di necessità, gli addetti possono sistemare i fili senza interrompere la produzione. Ma a rischio della loro vita» (Il Messaggero).
Lo Stato, in quanto strumento di conservazione del dominio capitalistico colto nella sua totalità, va alla ricerca delle cosiddette responsabilità personali, in sede penale e civile, per assolvere il vero responsabile degli “incidenti sul lavoro”: il rapporto sociale capitalistico. Colpire – forse – un padrone particolarmente “avido”, “cinico” e “socialmente irresponsabile” per assolvere il capitalismo: una strategia che, bisogna ammetterlo, fin qui si è mostrata vincente. «Verità per Luana!» E la vuoi cercare nei Tribunali?