LO STIGMA “RIVOLUZIONARIO” SULLA PELLE DEGLI OPPRESSI

Pensavo fosse un sogno, e invece era un incubo.

Scrive Carlos Manuel Álvarez: «L’11 luglio, migliaia di manifestanti in tutta l’isola sono scesi in piazza e hanno rivendicato i loro diritti in una forma inedita. Mai prima nella storia della rivoluzione cubana e della sua deriva la popolazione era insorta contro le pattuglie della polizia, aveva insultato il presidente, stracciato fotografie di Fidel Castro e assediato le sedi locali del Partito comunista. Hanno anche saccheggiato i negozi che vendono in dollari, che abbondano ovunque, nuovi nei del capitalismo di Stato comparsi negli ultimi due anni. […] Le proteste non possono non essere interpretate alla luce delle disuguaglianze sociali e della natura razzista di uno Stato centralizzato che pratica costanti e svariate forme di violenza politica verso i propri cittadini. Vigilanza, indottrinamento, punizioni sul lavoro, mancanza di approvvigionamenti, arresti arbitrari, minacce esplicite o velate, capitalizzazione della paura, interrogatori, carcere, come anche la frattura arbitraria tra la vita nazionale e la ricchezza culturale della diaspora. Allo stesso modo, è insostenibile la tesi che le manifestazioni possano funzionare da pretesto perché Washington invada il paese».

«Dietro la protesta si cela anche un linguaggio dei simboli. Cuba porta il peso dello stigma, come ha detto Žižek, di vivere intrappolata nel sogno degli altri. Il problema con la grammatica che giustifica, anche se parzialmente, ciò che avviene a Cuba è che perpetua la disciplina dell’eufemismo, l’unica disciplina esistente nell’ambito cubano del reale, l’unica che sta dietro alle istituzioni dell’isola. Cuba è una finzione, i cubani no. Chi traffica con le parole, traffica con la vita degli altri» (Il Corriere della Sera).

Lo scrittore cubano ha capito quello che i sostenitori nostrani del regime fasciostalinista cubano non hanno mai capito: difendendo il loro (peraltro sempre più ridicolo) sogno di una Cuba perennemente “rivoluzionaria” essi sostengono al contempo un incubo, ossia una realtà fatta di miseria e di oppressione – economica, politica, ideologica, esistenziale, in una sola parola: sociale. Stessa cosa vale ovviamente per il Venezuela “chavista”. Questi sinistri personaggi si aggrappano alle loro sempre più risibili certezze “rivoluzionarie” e “antimperialiste” (e nel frattempo tifano magari per l’imperialismo cinese e russo) senza mostrare alcuna attenzione per quanto accade veramente nella società cubana, che essi guardano attraverso gli occhiali deformanti di un’ideologia che era reazionaria già mezzo secolo fa – figuriamoci oggi! D’altra parte non è facile rinunciare alla mitologia “rivoluzionaria”: come diceva il barbuto di Treviri, l’ideologia è una forza materiale, e non una mera sovrastruttura. L’ideologia è una gran brutta bestia che azzanna la verità e i corpi delle persone.

Difendere le ragioni del regime cubano non significa sostenere le ragioni della “rivoluzione” (quale?) e dell’”antimperialismo”, significa piuttosto difendere l’oppressione sociale dei nullatenenti cubani e schierarsi sul fronte della competizione interimperialistica dalla parte della concorrenza antiamericana. Ecco la sostanza di certi “sogni” – incubi per i subalterni.

«Tra molti analisti politici a Cuba, sembra esserci un consenso sul fatto che le proteste dell’11 luglio siano un appello al regime per includere nel dibattito pubblico importanti rivendicazioni sociali che si sono manifestate nelle strade. Violentemente o meno, stimolate da attori esterni o no, il fatto è che risuona ancora in tutto il mondo la notizia delle più grandi manifestazioni che si siano svolte nel paese negli ultimi 60 anni. Domenica, 11 luglio, numerosi gruppi di cittadini hanno occupato le piazze chiedendo migliori condizioni di vita e più libertà» (G. Paiva, Il Manifesto). Con un certo imbarazzo qui si cerca di prendere atto di una situazione che potrebbe condurre alla definitiva conclusione della “Rivoluzione cubana”. Probabilmente ci si augura che il regime accolga positivamente  l’«appello» che sale dal basso per insufflare ossigeno al boccheggiante “sogno cubano”. Ma “riformare” la “Rivoluzione” non sarà un pranzo di gala.

Leggi anche: CUBA. IL COMPLOTTO DELLA MISERIA CONTRO I DISEREDATI; CUBA. ENNESIMO ANNUNCIO DI UNA “GRANDE RIFORMA ECONOMICA”

2 pensieri su “LO STIGMA “RIVOLUZIONARIO” SULLA PELLE DEGLI OPPRESSI

  1. Commenti da Facebook

    R. B.: È da sessant’anni che la compagneria planetaria,ciancia di una rivoluzione inesistente,che in realtà non è mai avvenuta. Un minimo sindacale di conoscenza del marxismo,farebbe comprendere ai nipotini di Stalin e rossobruni vari,la differenza che intercorre tra una lotta di liberazione nazionale,e una rivoluzione proletaria.

    D. E.: Anche questo è un frutto avvelenato del Lenin-pensiero, che ciancia di rivoluzioni di liberazione nazionale, ovvero una versione riveduta e corretta del progressismo gradualista socialdemocratico. Stalin ebbe poi la bella pensata di inventare la rivoluzione per tappe, come al giro d’Italia. Da parte mia, ho scritto: La faccia rossobruna della «teoria» leniniana dell’imperialismo, in: Il sole non sorge più a Ovest, all’Insegna del Gatto Rosso, Milano, 2017, p. 42.

    R. B: mi piacerebbe conoscere che ne pensa Sebastiano Isaia .

    D. E: Rispondo per quanto mi concerne. Il «leninismo» attecchì in paesi come l’Italia e la Francia, in cui gli interessi operai furono subordinati a quelli della piccola borghesia produttiva, contadini e artigiani. I risultati li abbiamo visti con il tragico fallimento di queste sciagurate tesi, in cui siamo stati coinvolti. Dal Berlusca a Macron… Tenendo conto che la crisi sistemica del modo di produzione capitalistico non lascia spazio a riforme. Tra l’altro, i riots cubani sono a un tiro di schioppo dal sempre più grave dissesto di Haiti. In tutta l’America Latina stanno dilagando scontri sociali di grandi proporzioni. E gli Usa non navigano in buone acque, anzi. Più che dichiarazioni di circostanza, Biden e Kamala non fanno.

    Sebastiano Isaia: Non vorrei sembrare reticente, ma al momento non mi è possibile entrare nel merito della questione, sempre che io ne abbia capito il senso. Qui posso solo dire che non condivido la tesi che individua in Lenin il precursore dello stalinismo, anche se personalmente giudico assai criticamente diverse posizioni sostenute dal leader bolscevico dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Ad esempio, condivido le critiche che la Sinistra Comunista europea (italiana inclusa) mosse alla questione nazionale e coloniale impostata da Lenin – e difesa da tutta la direzione bolscevica; anche qui i bolscevichi fecero prevalere la loro paura, peraltro più che fondata, di rimanere isolati. Come la fretta, la paura è una pessima consigliera: vedi la politica leniniana di “accomodamento” nei confronti dei socialisti europei e l’illusione di poter contare sulle borghesie rivoluzionarie dell’Oriente. Ma questo io lo scrivo da una fin troppo comoda prospettiva storica, mentre allora Lenin e i suoi compagni d’avventura (di Azzardo, come lo definisco io) avevano dinanzi una situazione interna e internazionale a dir poco caotica e contraddittoria. Per questo si tratta di capire la rivoluzione e la controrivoluzione in Russia nel loro sviluppo oggettivo, non di polemizzare con la storia – e dicendo questo non intendo criticare nessuno, ma solo rendere comprensibile il mio punto di vista. Lungi da me voler salvare a tutti i costi Lenin dalla catastrofe stalinista: non sono né un “marxista” né un “leninista” – e di certo non sono un “marxista-leninista”! Ciò che m’importa è contribuire a sbugiardare i “socialismi” di ieri, di oggi e di domani – perché il Castro o il Chávez di turno è sempre in agguato. Per non parlare del Celeste Imperialismo! Buona estate a tutti! Mi correggo: a tuttə!

  2. TODO EL MUNDO CANTA!

    «Mia sorella Neife è torturata in carcere dal regime cubano»: lo sostiene Felix Pablo Rigau. «Le forze di sicurezza cubane stanno abusando di mia sorella Neife Rigau, in questo momento, mentre parliamo. È stata arrestata domenica scorsa a Camagüey, durante le proteste che seguiva come giornalista. La polizia non ci ha dato alcuna notizia sulle sue condizioni, ma sappiamo che è stata trasferita presso la Segunda Unidad de la Policía Nacional Revolucionaria, in un sito noto come “todo el mundo canta”, perché chiunque ci finisce confessa qualsiasi cosa» (La Stampa).

    Com’è noto, a Cuba anche la tortura è “Revolucionaria” – per grazia ricevuta dal Caro Leader Fidel.

    «Neife non ha un avvocato e le hanno negato l’habeas corpus. Il mondo ci aiuti». Nel mio infinitamente piccolo non posso che esprimere solidarietà umana e anticapitalista a Neife e a tutte le Neife sequestrate nelle carceri di questo capitalistico mondo.

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