Nel capitalismo «non gli individui, ma il capitale
è posto in condizione di libertà» (Karl Marx).
Gli individui furono domati (Max Horkheimer).
Ho appena letto, su suggerimento di un amico, un articolo scritto da Roberto Finelli e Tania Toffanin contro la presa di posizione anti Green Pass di Massimo Cacciari e Giorgio Agamben. L’articolo è stato ripreso da Antiper, che ne condivide in pieno l’impianto concettuale basato sulla critica dell’individualismo che «rigetta per principio l’idea che lo Stato possa adottare misure di tutela della salute pubblica che incidono sui diritti individuali (che poi è il classico dispositivo logico che sta alla base del discorso liberal-liberista)». Ma di quale Stato si parla qui? Dello Stato capitalista, ovviamente, visto che per i marxisti non esiste uno Stato che non abbia una precisa connotazione storico-sociale, e questa caratterizzazione per quanto mi riguarda è dirimente sul piano della prassi, delle scelte politiche. Ma riprendiamo la citazione: «Meritevole la sottolineatura della retorica cacciaragambeniana: stiamo diventando come Cina e Unione Sovietica (che dio ce ne scampi!!) – ovvero il Male Assoluto per questi due pagliacci anti-comunisti – in quanto, come loro, produciamo biopolitiche (ma quale paese non lo ha fatto, non lo fa e – soprattutto – potrebbe non farlo?) ovvero disposizioni che si impongono sulla vita delle popolazioni, limitando il sacro diritto individuale di fare il proprio comodo, dunque anche di ammalarsi e ammalare, ma più in generale di arricchirsi e godersi la vita alle spalle del prossimo». Ne deduco che secondo Antiper la Cina e la defunta Unione Sovietica sono esempi di comunismo o quantomeno di “socialismo reale” e in ogni caso qualcosa che i veri marxisti non dovrebbero disprezzare, tutt’altro.
Per chi scrive «il Male Assoluto» è rappresentato dalla società dominata dai rapporti sociali capitalistici, dimensione storico-sociale che riguarda anche il cosiddetto “socialismo reale” (trattandosi di un reale capitalismo/imperialismo) di ieri e di oggi. La società capitalistica ha oggi la dimensione della Terra, esattamente come la famigerata Pandemia, la quale va considerata e approcciata come una crisi sociale capitalistica in senso stretto, e non come una “semplice” crisi sanitaria avente gli ovvi “ricaschi” sociali. La natura capitalistica della Pandemia, non solo nei suoi effetti ma anche nella sua genesi, non sembra essere un elemento degno d’analisi per Antiper,forse distratto dall’urgenza polemica nei confronti dei due noti «pagliacci anti-comunisti». Il fatto che, dalla Cina agli Stati Uniti, dalla Russia all’Italia, da Cuba a Israele ecc., a produrre «biopolitiche, ovvero disposizioni che si impongono sulla vita delle popolazioni» ecc., sia il cane da guardia del vigente status quo sociale, ossia lo Stato capitalista; questo fatto fondamentale che, io credo, dovrebbe orientare la riflessione dei marxisti sulla questione vaccinale non sembra avere per Antiper nessuna importanza. Ne prendo atto, per quel che vale.
Anche Roberto Finelli e Tania Toffanin inciampano, per così dire, sulla Cina e sull’Unione Sovietica: «Con Cacciari, Agamben ha sostenuto l’equivalenza della certificazione verde con pratiche discriminatorie consolidate all’interno di Stati, come Cina e Unione Sovietica, che hanno fatto del controllo della popolazione uno strumento organico di governo del territorio. Boutade, tuttavia, che richiama quelle rappresentazioni che sono frequentemente utilizzate dalla destra conservatrice e liberale per osannare gli imperativi del mercato e invocare l’arretramento dello Stato». Per come la vedo io, la natura totalitaria del defunto regime sovietico e di quello, più vivo che mai (purtroppo!), cinese non è una “boutade” ma una triste realtà. Ma c’è una realtà ancora più triste e significativa, sempre a mio modesto avviso: la natura totalitaria dei rapporti sociali capitalistici che oggi dominano sul mondo intero: Tutto sotto il Cielo del Capitalismo! Gli «imperativi del mercato» (cioè del Capitale) impazzano su tutto il pianeta, a cominciare dal grande Paese asiatico che oggi aspira, del tutto legittimamente, al primato mondiale nella competizione capitalista/imperialista. Altrettanto legittimamente, la concorrenza “occidentale” non guarderà senza reagire i successi del Celeste Imperialismo.
Come ho scritto tempo fa, più che di dittatura sanitaria dovremmo piuttosto parlare di dittatura sociale, un concetto che coglie la realtà del processo sociale ben al di là della mera contingenza.
La «destra conservatrice e liberale [invoca] l’arretramento dello Stato»: ma, anche qui, di quale Stato stiamo parlando? Già lo sappiamo. Roberto Finelli e Tania Toffanin difendono dunque lo Stato capitalistico dagli attacchi della «destra conservatrice e liberale»? Intanto abbiamo visto che è possibile sparare a palle incatenate anche contro il capitalismo cinese e il Partito Capitalista Cinese che ne difende brillantemente gli interessi senza per questo «osannare gli imperativi del mercato» – «invocare l’arretramento dello Stato» invece sì: «Non è assolutamente compito degli operai, che si sono liberati dal gretto spirito di sudditanza, rendere “libero” lo Stato. […] La libertà è data dalla possibilità di cambiare lo Stato da organo sovrapposto alla società, in organo completamente sottomesso ad essa, e anche attualmente le forme dello Stato sono più o meno libere nella misura in cui limitano la “libertà dello Stato”» (K. Marx, Critica del programma di Gotha ). Per Marx anche l’organizzazione statuale derivante da una rivoluzione proletaria vittoriosa andava considerata come un male necessario da doversi superare quanto prima. Cosa poi Marx ed Engels pensassero del Capitalismo di Stato non è il caso di ricordarlo a chi potrebbe impartirmi severe lezioni di marxismo. Dico questo per ricordare quanto il comunismo di Marx e di Engels fosse estraneo a quella concezione statalista che si affermerà nel movimento operaio stalinizzato.
Il punto di vista che qui critico propugna una concezione politica tutt’altro che utile a promuovere la liberazione delle classi subalterne dal «gretto spirito di sudditanza» nei confronti dello Stato.
Ma allora Marx era un liberista? Questa domanda può sorgere solo nella testa di chi non conosce altro che la contrapposizione, tutta interna al pensiero dominante, tra statalismo e liberismo. Marx era radicalmente antistatalista non come può esserlo un liberale, ovviamente, ma come deve esserlo un anticapitalista degno di questa scottante qualifica.
Ancora Finelli e Toffanin: «Del resto, più in generale, va detto che Agamben e Cacciari sono da sempre pensatori dell’Altrove, vale a dire che pensano e parlano da un altro mondo, lontano da quello della gente comune, e partecipano dunque per definizione di una cultura degli áristoi, dei migliori, che, in base all’ispirazione di Nietzsche, li abilita ad essere superiori e indifferenti al sentire delle masse». Il mondo della «gente comune» e il «sentire delle masse» non mi sembrano due argomenti che possano fondare un pensiero critico-rivoluzionario, soprattutto di questi tempi. Tanto più che, come scrisse qualcuno (sempre quello!), le idee dominanti nella società sono, salvo rare eccezioni (vedi le epoche rivoluzionarie), le idee che fanno capo in qualche modo alle classi dominanti, le idee che la prassi sociale considerata nella sua totalità produce sempre di nuovo, e che «la gente comune» e le mitiche masse respirano come l’aria tutti i giorni, spontaneamente, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Com’è noto, per Marx non si poteva nemmeno parlare di classe operaia in un’accezione eminentemente politica, e non in termini meramente sociologici, in assenza di una coscienza di classe, ossia della consapevolezza circa la condizione sociale e la «funzione storica» maturata dagli stessi operai. «La classe operaia è rivoluzionaria o non è niente». I comunisti, sempre nella visione del comunista di Treviri, avrebbero dovuto favorire la maturazione di quella coscienza, quando necessario anche attraverso la critica delle azioni e delle ideologie praticate dai proletari: altro che lisciare il pelo alla “gente” e alle “masse”!
Avverto un forte odore di populismo nella polemica imbastita da Finelli e Toffanin contro i due famigerati «pagliacci anti-comunisti». Non sempre e non necessariamente la verità sta sulla bocca degli ultimi, degli sfruttati, degli oppressi, perché viceversa il capitalismo sarebbe morto e sepolto già da molto tempo. La verità sta allora sulla bocca degli intellettuali che parlano da una «posizione privilegiata»? Nemmeno per idea! A scanso di equivoci è forse il caso di rivelare, a chi ancora non ne avesse contezza, la condizione sociale di chi scrive: trattasi di proletariato. Purtroppo!
Proprio la critica (non l’apologia) del «sentire delle masse» si colloca al centro dell’iniziativa politica (fatta di prassi e di teoria) di chi intende promuovere un’autentica coscienza di classe, la sola in grado di costruire l’autonomia politica, ideale e psicologica delle classi subalterne. Non mi sembra che la concretezza politica esibita da Finelli e Toffanin vada in quella direzione, nemmeno un po’.
E difatti le critiche che Finelli e Toffanin svolgono contro Agamben e Cacciari si muovono interamente sul terreno del governo positivo delle contraddizioni capitalistiche; si tratta insomma di una concretezza che si dispiega interamente all’interno dello status quo sociale: a differenza degli altrovisti che sentenziano su cose che non sanno dai cieli dell’astratta filosofia (e che peraltro subiscono il fascino di «Martin Heidegger, supposto filosofo massimo della modernità, ma, com’è a tutti ben noto, anch’egli per molti anni in odore di nazismo»: capito con chi abbiamo a che fare?); a differenza dei due intellettuali ammalati di individualismo ed estranei alle «filosofie dialettiche», Finelli e Toffanin parlano da questo mondo ma per migliorarlo, non certo per oltrepassarlo: «Sono state investite nuove risorse nel sistema sanitario nazionale? Come sarà gestito in futuro il rapporto tra Governo centrale e regioni, che non poco ha contribuito ad allentare la stretta sulla diffusione pandemica? Quali e quante risorse sono state assegnate alla ricerca scientifica? Quali e quante risorse alle retribuzioni del personale sanitario? Dobbiamo attendere un eventuale e non auspicato altro evento pandemico per avere risposte a questi legittimi quesiti?!». Come si vede, qui si parla il linguaggio della concretezza, distante abissalmente dai «due intellettuali che pretendono di parlare di patologie umane e cose terrene, ignari della distanza che separa il pianeta terra dalle loro costellazioni ontologiche».
Anche chi scrive ha polemizzato con la posizione di Cacciari e Agamben, ma non per evidenziare l’impostazione “individualista” (e quindi “piccolo-borghese”) del loro discorso, ma per rendere evidente le loro illusioni sulla democrazia capitalistica e sulla Costituzione «più bella del mondo» – la quale confessa la sua natura sociale già nel suo Primo Artico: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro» (salariato, mercificato, cioè sfruttato e disumanizzante). Mi cito e mi scuso: «Ovviamente al filosofo progressista, così legato ai valori classici dell’Occidente, manca il concetto di democrazia capitalistica. Cossiga mostrò una non spregevole intelligenza politica quando una volta dichiarò che con la Costituzione si può fare tutto: ciò che conta è la decisione politica dei governanti» (Tacete! Il nemico vi ausculta!).
Ha senso contrapporre la libertà individuale alla libertà collettiva nel seno di una società, quella dominata in modo sempre più stringente e capillare dai rapporti sociali capitalistici, che nega in radice ogni autentica libertà (e umanità)? A mio avviso non ha alcun senso, se non quello di affermare la subordinazione del singolo individuo alla totalità sociale realizzata alle nostre spalle da quei rapporti sociali. Non può venir considerato libero chi non controlla i processi sociali fondamentali, a partire da quelli che rendono possibile la nostra stessa “nuda vita” (attraverso la soddisfazione dei bisogni essenziali: mangiare, vestire, abitare), ma è piuttosto dominato da questi processi, che l’individuo subisce alla stregua di potenze estranee e ostili (vedi Marx). Nel capitalismo «non gli individui, ma il capitale è posto in condizione di libertà» (Karl Marx). Per Marx la prassi sociale capitalistica genera «la più completa soppressione di ogni libertà individuale e il più completo soggiogamento dell’individualità alle condizioni sociali, le quali assumono la forma di poteri oggettivi» (Grundrisse). Le cosiddette libertà individuali, che secondo Finelli e Toffanin devono senz’altro arretrare dinanzi alla superiore «libertà collettiva», non intaccano minimamente il carattere totalitario del dominio capitalistico, e l’individualismo tanto reclamizzato dall’ideologia liberale non è che una risibile menzogna venduta con indubbio successo alla gente comune e alle masse – e che come si vede, è comprata anche da chi osteggia la «destra conservatrice e liberale» in nome di un’ideologia che personalmente giudico altrettanto ultrareazionaria.
Lo stesso anticapitalista vive in una dimensione esistenziale necessariamente contraddittoria, che può superare solo attraverso la rivoluzione sociale (oppure con la propria morte fisica o politica): è contro il lavoro salariato ma per vivere deve lavorare; è contro il denaro, ma per vivere deve averne una certa quantità («meglio avere molti soldi in tasca che pochi», disse una volta il grande filosofo Catalano), odia la forma-merce ma non può farne a meno (e qui nuovamente il filosofo dell’ovvietà insegna). Più che di uno stato d’eccezione, parlerei piuttosto di uno stato di costrizione permanente: di qui il concetto di totalitarismo sociale che è ben più pregnante del totalitarismo concettualizzato in sede politologica. Marx spese la sua intera esistenza nel dimostrare il carattere formale, illusorio e ideologico delle cosiddette libertà borghesi, le quali evaporano miseramente al cospetto del Moloch-Capitale del XXI secolo. Parlare di individualismo senza tenere conto di questa realtà “strutturale” significa a mio avviso fare della pessima e volgare ideologia.
Detto en passant, molti ultrasinistri criticano la “sinistra ufficiale” perché essa avrebbe abbandonato il popolo lavoratore per abbracciare i temi relativi ai diritti civili, temi che toccherebbero gli interessi di sparute e spesso privilegiate minoranze, mentre sorvolano sulla natura ultrareazionaria del vecchio, caro e virile PCI – il Partito stalinista con caratteristiche italiane. Evidentemente quei personaggi non condividono il mio ultraminoritario giudizio sul “comunismo” italiano.
Questa società nega e mortifica ogni autentica individualità a partire dalle attività che producono la ricchezza sociale nella sua attuale configurazione capitalistica. Se questo è vero, mi domando quanto sia fondata ed efficace una critica alle argomentazioni di Agamben e Cacciari fondata sulla contrapposizione, a mio avviso ideologica nell’accezione marxiana del concetto, individuo/collettività. «Chi accusa i No Vax (*) di praticare un individualismo incapace di riconoscere la dimensione comunitaria del nostro vivere, e che oppone il «bene comune» ai «pruriti individualistici del singolo»; questo cultore della cosiddetta etica della responsabilità farebbe bene a interrogarsi sulla natura della dimensione collettiva che intende difendere, sulla sua qualità “esistenziale”, se così si può dire. Forse potrebbe scoprire che ciò che lo minaccia e gli complica una vita già sufficientemente complicata, non è certo il No Vax/No Passa, ma la Società-Mondo che ha reso possibile la crisi sociale planetaria che chiamiamo Pandemia» (Tacete! Il nemico vi ausculta).
Scriveva Walter Benjamin nell’ottava delle sue Tesi di filosofia della storia: «La tradizione degli oppressi ci insegna che lo “stato di eccezione” in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo fatto». Credo che il concetto di totalitarismo sociale come ho cercato di tratteggiarlo sopra colga un fondamentale aspetto del problema posto a suo tempo (1940) dal filosofo tedesco.
(*) Per No Vax e Sì Vax non intendo chi, rispettivamente, non si vaccina e chi invece si vaccina: intendo piuttosto riferirmi a un approccio politico-ideologico nei confronti della campagna vaccinale. Ci si può vaccinare senza per questo appartenere al partito dei Sì Vax, ma anzi criticandolo (è il caso di chi scrive), e si può rifiutare di farsi vaccinare senza per questo appartenere al partito dei No Vax. «Per Davide Bennato, sociologo dell’Università di Catania che ha fatto ricerche sulla comunicazione digitale degli anti-vaccinisti, i No Vax “duri e puri” sono al massimo il 4-5% degli italiani, tra i 2,5 e i 3 milioni. Gli altri sono indecisi, impauriti, ex malati, procrastinatori ma non No Vax ideologizzati. E fra i 10 milioni c’è anche chi (non tanti) presto farà la prima dose» (La Repubblica).
Spesso chi si vaccina viene considerato dai No Vax un «servo del Sistema» (Big Pharma, i Poteri Forti, il Pensiero Unico – che è sempre quello degli altri –, la lobby sostituzionista, la lobby ebraica, che non deve mai mancare in ambito complottista, e molto altro ancora: ognuno declina infatti il “Sistema” come meglio crede, secondo la sua inclinazione politica, la sua esperienza, ecc.); a sua volta, chi non si vaccina viene trattato dai Si Vax come un No Vax, ossia alla stregua di un complottista, negazionista, cretino, ignorante, nemico della scienza, irresponsabile, individualista e via di seguito con le definizioni che tendono a emarginare e a criminalizzare non solo i No Vax “duri e puri”, ma chiunque osi avanzare un piccolo dubbio sull’utilità dei vaccini e sulla legittimità del Green Pass. Inutile dire che per il progressista il No Vax va senz’altro rubricato come fascista o quantomeno come destro: per il progressista infatti vaccinarsi e tifare per l’obbligatorietà del vaccino e del Green Pass è quanto di più sinistro si possa immaginare. Sinistro, appunto.
Con i Si Vax e i No Vax ci troviamo insomma dinanzi a persone politicamente e ideologicamente motivate, a dei militanti, a dei tifosi, e come tali vanno a mio avviso considerati. Si tratta di due fazioni, di due partiti, di due Chiese, di due eserciti che si contendono lo scettro della Verità e della Responsabilità; la possibilità di un compromesso e di un dialogo tra le due parti è qui fuori discussione. Considero i No Vax e i Si Vax, come ho cercato di definirli sopra, le opposte facce della stessa medaglia che possiamo chiamare in modi diversi: impotenza sociale, incoscienza, subalternità, miseria sociale, lotta tra poveri.
Il partito Sì Vax sostiene attivamente ed entusiasticamente, con uno zelo davvero vomitevole, la campagna vaccinale organizzata dallo Stato, ossia dal baluardo principale di quella società che è la vera causa di ciò che chiamiamo Pandemia.
La posizione di completa estraneità alle due opposte fazioni vaccinali che ho cercato di delineare nasce sul terreno dell’anticapitalismo più radicale – e d’altra parte non concepisco un anticapitalismo che non sia radicale, che non metta cioè in questione le radici della società capitalistica, ossia i suoi rapporti sociali. Questo significa che per quanto mi riguarda, non si tratta di esibire una posizione che sia equidistante da No Vax e Sì Vax («Né con gli uni né con gli altri»); si tratta piuttosto di diffondere l’idea che il Nemico dell’umanità (e soprattutto delle classi subalterne, dei nullatenenti, di chi per vivere è costretto a vendere una capacità lavorativa di qualche tipo) non è né il virus né le opposte tifoserie vaccinali, ma la Società-Mondo che non smette di complicarci la vita in tutti i modi possibili e immaginabili – spesso anche inimmaginabili.
Aggiunta del 14 settembre 2021
Nel suo articolo dell’altro ieri Ezio Mauro ha messo bene in luce ciò che più spaventa il personale politico-intellettuale di questo Paese posto dinanzi al fenomeno sociale chiamato No Mask/No Vax/No Pass: la secessione di una minoranza dal “consorzio civile”. Oggi questa minoranza si coagula attorno alle problematiche vaccinali, ma un domani potrebbe aggregarsi attorno ad altre questioni, perché ciò che sostanzia il fenomeno in questione non è tanto il merito delle “problematiche” che lo alimentano dandogli anche una dimensione organizzativa, quanto piuttosto un disagio esistenziale di fondo, il quale a mio avviso va declinato in termini squisitamente sociali e non meramente “esistenzialistici” o rozzamente psicologici. Abbiamo a che fare, osserva Mauri, con persone che non si riconoscono più nei valori comuni che tengono in piedi la nostra società, e senza i quali non sarebbe possibile uno Stato, una nazione, una comunità. Si tratterebbe di una ribellione «che sembra contraria alla legge di gravità e al calcolo elementare del rapporto tra costi e benefici»: un’autentica aberrazione irrazionale, se così si può dire.
Saremmo di fronte a una sfiducia radicale che investe tutti i pilastri che reggono la comunità nazionale: l’economia, la politica, la scienza, la cultura. Non ci si fida più di niente e di nessuno, mentre si è aperti e disponibili solo nei confronti di ciò che può alimentare e confermare sentimenti di sfiducia, di disillusione, di frustrazione, di risentimento, di rabbia. La negazione sarebbe la cifra più verace del fenomeno di cui parliamo.
«Proprio per la radicalità della frattura nel senso comune nazionale è probabile che i No Vax diffidino di ogni forma di politica organizzata, considerino la terra di nessuno dove sono approdati il loro territorio ideale e preferiscano mettere in scena se stessi direttamente, senza deleghe e mediazioni, affidando per ora la protesta al buco grigio del non voto. Questa protesta non nasce infatti da una motivazione economica, da un interesse di categoria, da una rivendicazione di classe. È piuttosto una fermentazione naturale in atto da tempo, che oggi fa saltare il tappo del rapporto fiduciario tra il potere e i cittadini, dopo che nei primi due anni della pandemia questa fiducia aveva portato la popolazione ad accettare le misure di limitazione della libertà come una sottomissione volontaria alla necessità. Il carattere estremo dell’ordalia pandemica, l’ingresso in campo delle categorie ultime della vita e della morte, l’intimità personale di scelte che riguardano i destini privati, hanno sciolto il vincolo sociale, liberando pulsioni e istinti individuali che non sembrano riconducibili a una lettura comune della crisi Covid, a un’analisi condivisa. Si è così sprigionata un’energia della negatività, che contesta il valore di ogni presupposto scientifico, di qualsiasi giudizio tecnico, di tutti i pareri degli esperti, respingendo di conseguenza le scelte governative che ne derivano, uscendo dalla politica di copertura generale della comunità nazionale, con i vaccini e la loro certificazione. Non si propone un’alternativa, che non c’è: si sceglie di star fuori, come se l’altrove fosse l’antidoto, il rifiuto la soluzione e la norma l’inganno. Ma proprio questi sono gli aspetti che interessano al populismo estremo di destra: la denuncia del sapere, una sorta di secessione culturale che si separa da ogni deposito di conoscenza; l’alterità rispetto al sentire collettivo e alle scelte condivise; il rigetto della regola, che significa il disconoscimento di qualsiasi autorità e dell’agire comune» (La Repubblica). (*)
Ovviamente l’orizzonte politico-ideologico di Ezio Mauro è tutto interno al pensiero dominante e agli interessi della società capitalistica, e quindi egli vede muoversi sulla scena politica e sociale solo progressisti e populisti, amanti della civiltà (capitalistica) e i suoi avversari più o meno consapevoli e culturalmente attrezzati; esponenti del «sentire collettivo e delle scelte condivise» (leggi difesa dello status quo sociale) e gli esponenti di un individualismo irresponsabile che porta solo disarmonia e conflitto sociale. Io credo che la secessione “civile” (perfino “antropologica”) di cui Mauri parla con giustificata preoccupazione dovrebbe interessare molto l’anticapitalista, sia dal punto di vista dell’analisi teorica, quanto dal punto di vista strettamente politico, ovviamente nei limiti che la situazione gli impone. Siamo infatti confrontati con un fenomeno che va approcciato come sintomatologia di un disagio sociale talmente forte e radicato che appare totalmente sordo nei confronti di ciò che con Lacan possiamo chiamare discorso del padrone. Non si tratta, beninteso, di vedere in quel fenomeno chissà quale anticipazione di eventi apocalittici, di esagerarne cioè la portata sia sociale che politica, ma di prestargli la dovuta attenzione, rigettando le semplificazioni e gli schemi che riconducono la questione vaccinale in uno scontro tra opposte tifoserie: No Vax versus Si Vax. Si tratta a mio avviso di prendere confidenza con un modo di ragionare autenticamente critico, di costruire un atteggiamento autenticamente radicale nei confronti dei fenomeni sociali, di acquisire una forma mentis davvero rivoluzionaria.
Vedo in giro molta gente che si attarda a far fuoco sulla Croce Rossa, che si diverte cioè a impallinare i populisti, i fascisti e i complottisti di varia specie che cercano di cavalcare la tigre anti vaccinale, e a sottolineare gli aspetti ridicoli, folcloristici, grotteschi e irrazionali del movimento No Vax, mentre della sua valenza simbolica e delle sue cause sociali di lungo periodo si dice poco o niente. Da molto tempo l’illuminismo e il razionalismo non sono più efficaci strumenti di penetrazione analitica, mentre portano molta acqua al mulino del dominio di classe, il quale peraltro si sostiene in grazia di una prassi sociale che definire irrazionale è ancora poco. È su questa irrazionalità strutturale e necessaria che l’anticapitalista cerca di attirare l’attenzione delle persone, anche per evitare che l’irrazionalità messa in campo dai No Vax (generata dalla «fermentazione naturale in atto da tempo») diventi uno specchietto per le allodole e un alibi – nonché un eccellente combustibile per far divampare la lotta tra poveri.
Ripeto: non si tratta di “cavalcare” ciò che non esiste neanche lontanamente (una potenziale “ribellione rivoluzionaria” oggi egemonizzata dalle “destre”) ma, assai più realisticamente (?), di fare della crisi sociale in corso un’occasione per una nostra crescita umana e politica, rifiutando di sprecare il nostro tempo andando dietro a ciò che passa il convento mediatico, assai interessato ad alimentare le baruffe tra le opposte tifoserie su qualsiasi cosa, e alle “narrazioni” del Potere.
Ho trovato la stessa preoccupazione espressa dall’editorialista di Repubblica nel documento fondativo del Comitato Nazionale “Chiarezza sui Vaccini”, che se ho ben compreso sostiene la dittatura stalinista cubana (e cinese?): «Si sta diffondendo un approccio limaccioso, che mescola frammenti di pensiero (apparentemente) critico con atteggiamenti anti-scientifici e irrazionalistici, in un mix che alimenta in maniera indistinta la sfiducia nel potere costituito a prescindere dal suo carattere (borghese conservatore, riformista, o socialista), diffidenza e scetticismo nei riguardi di ogni dato ufficiale o informazione scientificamente fondata, arrivando persino all’aperta avversione verso i medici e gli stessi lavoratori della sanità. Questo fenomeno sta producendo una crescita del pensiero anti-progressista che, anziché dirigere le più ampie masse verso la prospettiva di un’alternativa di sistema in chiave anticapitalista e comunista, affonda nel ribellismo senza prospettive o nel ripiegamento familistico e comunitaristico, nell’individualismo soggettivista e antisociale, o nella polarizzazione esasperata da social network» (Marxismo e metodo scientifico nella nuova fase pandemica).
Inutile dire che «l’alternativa di sistema in chiave anticapitalista e comunista» di cui si ciancia nello scritto appena citato non solo non ha niente a che con l’anticapitalismo e con il comunismo, ma ne rappresenta piuttosto l’esatto opposto. Ecco perché al cospetto di certe denuncie del “soggettivismo antisociale” occorre rispondere con una sonora pernacchia – ancora meglio con ‘o pernacchio concettualizzato dal grande Eduardo De Filippo .
(*) Nel febbraio del 2019 ho intitolato un mio post come segue: Per la secessione dei poveri!, intendendo «per secessione dei poveri, con evidente riferimento polemico al rognosissimo dibattito che intorno alla “Questione meridionale” si è acceso in questi giorni, al processo di autonomizzazione politica delle classi subalterne dal devastante punto di vista degli interessi nazionali comunque “declinati”».
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