Il movimento ambientalista, l’innovazione tecnologica
e le forze del mercato stanno modellando il futuro del
nostro business. Chi non seguirà questa tendenza, sarà
destinato a pentirsene.
(Frank Ingrinelli, manager della Texaco, 2001).
La cosiddetta “Transizione ecologica” è la forma che nel XXI secolo ha preso la competizione capitalistica globale – o totale/sistemica. Ovviamente l’obiettivo dell’ormai mitica “Transizione” non è quello di mettere in sicurezza il nostro Pianeta, di salvarlo dalle “attività antropiche”, secondo la banalissima e sempre più stucchevole propaganda che circola ovunque grazie ai media, ma quello di assicurare al Capitalismo altri decenni di crescita economica, ossia di profitti, i quali rappresentano la sola ragion d’essere del Capitale, la potenza sociale che domina sull’intero pianeta. Ridurre quanto più è possibile le fonti di inquinamento si rivela infatti per il Capitale una straordinaria occasione di rilancio a tutto campo, “a 360 gradi”, a cominciare da quelle attività tecnoscientifiche che si collocano al cuore della trasformazione strutturale della società capitalistica dei nostri tempi. Distruggere il vecchio per costruire il nuovo: si tratta appunto di un’eccezionale occasione di sviluppo per un Capitale in debito d’ossigeno (cioè di pingui profitti) ormai da molto tempo. La “distruzione creatrice” rappresenta un balsamo steso sulle piaghe del Moloch che patisce le vicissitudini del saggio del profitto.
Senza parlare delle conseguenze geopolitiche connesse alla ricerca e allo sfruttamento delle risorse energetiche e minerarie necessarie ad alimentare la “Nuova Rivoluzione Industriale” – che qualche personaggio particolarmente originale e spiritoso definisce “Intelligente”. “Transizione ecologica” e competizione interimperialistica sono intrecciate fra loro intimamente, indissolubilmente, e mi viene da ridere quando penso a chi associa il “Capitalismo green” a una prospettiva di pace mondiale.
I costi sociali della famigerata Transizione ricadano ovviamente sulle classi subalterne. Chi crede che salvare il Pianeta e salvare il Capitalismo sono le due facce di uno stesso problema non sa quanto sia abissalmente distante dalla realtà delle cose. Per chi scrive si tratta piuttosto di salvare l’umanità e la natura dal Capitalismo (non da un generico e contingente «modello di produzione e di consumo»): tutto il resto è propaganda ideologica e marketing sociale. Altro che «sfida per migliorare il mondo in cui viviamo», come scrive un sedicente “Quotidiano comunista” giustamente interessato (dal suo punto di vista) a rivitalizzare il «ruolo politico e sociale dei partiti socialisti e dei sindacati» sui temi posti dalla «questione ecologica». Per chi scrive è impossibile – è irrealistico, è ideologico – separare la «questione ecologica» dalla più generale questione capitalistica.
«Il nostro futuro è nell’idrogeno», scriveva Jeremy Rifkin nel suo interessante saggio Economia all’idrogeno (Mondadori, 2002), che così continuava: «Ma chi controllerà il “combustibile perpetuo”? Molto dipende dal “valore” che gli attribuiremo: lo considereremo una risorsa condivisa, come i raggi del sole e l’aria che respiriamo, o come una merce, comprata e venduta in un libero mercato?» Solo una concezione del mondo infantile, che non comprende l’ABC del Capitalismo, consente domande di questo tipo. Non bisogna necessariamente aver letto Il Capitale scritto dal comunista di Treviri per sapere che nella vigente Società-Mondo è il valore di scambio che domina sul valore d’uso, con ciò che inevitabilmente ne segue su tutte le più importanti attività umane, anche su quelle più lontane dell’immediato processo economico. In ogni caso, il marxiano Capitale continua a essere di una qualche utilità, diciamo così, per capire questo capitalistico mondo, e quantomeno evita al pensiero più intelligente che possiamo concepire di farsi infantile (e stupido) quando approccia l’essenza dei processi sociali.
Nel suo videomessaggio al Forum delle Maggiori Economie sull’Energia e il Clima, promosso dal Presidente Usa Joe Biden, Mario Draghi ha confessato che se continuiamo di questo passo, perdiamo la partita contro i cambiamenti climatici e rischiamo la catastrofe. Ma la catastrofe è già qui, e da moltissimo tempo ormai: si chiama – inutile dirlo? – Capitalismo, un regime sociale altamente distruttivo e irrazionale che espone l’umanità a ogni genere di pericolo, come stiamo verificando ultimamente con la crisi sociale mondiale chiamata Pandemia.
Leggi: E se Greta avesse ragione? Rivoluzione!; L’apocalisse al tempo di Greta Thunberg; Lettera di un anticapitalista a Greta Thunberg
«La transizione energetica comporta costi sociali ed economici immensi e abbiamo un programma non facile da conciliare: percorrere questa transizione con il massimo impegno ma anche proteggere i più deboli dalle sue conseguenze che come abbiamo visto ora con l’aumento delle bollette, potrebbero essere veramente significative» (Mario Draghi). E se «i più deboli» smettessero di chiedere la paterna assistenza dello Stato e incominciassero a lottare per creare un mondo migliore (o semplicemente umano, cioè senza classi sociali, senza Stato, senza Capitale)? Anche Greta Thunberg sarebbe d’accordo: «Per avere un mondo migliore bisogna crearlo»! Nella mia beata ingenuità non riesco a immaginare altro mondo migliore possibile che non sia quello creato dopo una rivoluzione sociale planetaria vittoriosa. (Il mondo migliore in un solo Paese lo lascio ai nostalgici di Baffone e ai tifosi del Capitalismo con caratteristiche cinesi). Altro che «transizione energetica»! Altro che «transizione ecologica»! Nel frattempo, «i più deboli» potrebbero impegnarsi in una lotta senza quartiere per parare i colpi del Moloch capitalistico impegnato nella quotidiana guerra per la propria esistenza. Si tratterebbe cioè di lottare, senza alcun riguardo nei confronti delle compatibilità economiche e politiche: per il lavoro, per il salario (più salario e meno orario !), per migliori condizioni di lavoro e di vita – riduzione delle bollette, riduzione degli affitti, sussidi adeguati per i disoccupati, pensioni più alte, ecc. ecc., ecc. Qualcuno potrebbe dire: «Tanto vale allora fare la rivoluzione sociale». Appunto! Ma bisogna pur cominciare da qualche punto, praticando il motto: Da cosa nasce (può nascere) cosa!
Pingback: UN’EMERGENZA TIRA L’ALTRA… | Sebastiano Isaia
Pingback: IL MONDO DEI VECCHI | Sebastiano Isaia
Pingback: LA SINDROME DEL DINOSAURO FRANKIE | Sebastiano Isaia