La nota vicenda del gruppo Evergrande offre ad Augusto Minzolini l’occasione per la “paradossale” considerazione che segue: «L’occidente è appeso agli ultimi comunisti» (*). Ripeto una mia battuta di qualche giorno fa: prima di ridere dei bambini che credono in Babbo Natale, ricorda che c’è gente che crede nell’esistenza del socialismo in Cina. Il “simpatico” direttore del Giornale crede nell’esistenza degli «ultimi comunisti» nel grande Paese asiatico (risata!), mentre parla di «capitalismo di Stato» a proposito della sua economia; per il nostro perspicace personaggio il “comunismo” va piuttosto riferito al regime politico-istituzionale fondato sulla dittatura del Partito – cosiddetto – Comunista Cinese. Nei miei modesti scritti sulla Cina ho cercato di affermare la tesi secondo cui in quel Paese regime economico-sociale e regime politico-istituzionale si corrispondono alla perfezione, nel modo più puntuale e stringente, essendo la “struttura” la “sovrastruttura” le due facce di una stessa medaglia: il dominio capitalistico – il quale peraltro ha oggi una dimensione planetaria, come dimostra da ultimo la vicenda del gruppo Evergrande, il cui disastro finanziario ci dice come il capitalismo cinese sia entrato ormai da tempo nella sua fase di piena maturità. Ovviamente i nemici del comunismo (posto che essi ne abbiano una lontanissima idea) hanno tutto l’interesse nell’accreditare come “comunista” la natura del regime cinese, così che l’opinione pubblica mondiale possa farsi un’idea di cosa significhi vivere in un Paese ultracapitalista governato dai “comunisti”.
«Oggi siamo arrivati al punto in cui il castello di carte non sta più in piedi. E i cinesi scoprono così, anche loro, che le crisi finanziarie nascono dall’immobiliare. E se pensavano di risolvere il problema attraverso il dirigismo, oggi scoprono che i meccanismi del mercato vanno avanti da soli, non si possono fermare d’ufficio. Un problema anche sociale, perché in gioco ci sono i risparmi di centinaia di milioni di cinesi. Un popolo che, negli investimenti, ama incredibilmente l’azzardo, inconsciamente fiducioso che poi qualcuno aggiusterà le cose. Invece ci sono già persone che hanno perso tutto quello che avevano». Mi aspetto che il governo scarichi gli azionisti delle società, lasciandoli al proprio destino. Ma il problema resta perché il credito bancario è pubblico e i soldi da qualche parte devono trovarli. Quindi credo che risolveranno questa storia facendo quello che avevano detto di non voler più fare già dal 2014: la nazionalizzazione delle società immobiliari, incamerando il valore delle abitazioni per poi magari distribuirle a chi le vuole perché ne ha bisogno. La soluzione è una nazionalizzazione che salvi le banche» (A. Amighini, Il Giornale). Staremo a vedere – forse giovedì prossimo ne sapremo di più, e comunque i maggiori analisti finanziari del mondo escludono un effetto Lehman. Inutile dire che i tifosi del capitalismo con caratteristiche cinesi sono pronti a spacciare la probabile nazionalizzazione del gruppo Evergrande come una plastica testimonianza dell’esistenza del “socialismo” in Cina: e qui si ride nuovamente.
«Usciremo presto dai nostri giorni più bui», ha detto Xu Jiayin, presidente del gigante immobiliare cinese. Che bella notizia! Mi sento meno depresso. E quando uscirà l’umanità dai suoi giorni più bui? Non si sa e, lo ammetto, su questo punto sono meno ottimista del Caro Presidente Xu Jiayin. Il Capitalismo è forse diventato troppo grande per fallire (Too big to fail)? Io non credo, ma è la prassi che, marxianamente parlando, dovrà dimostrarlo.
(*) «La crisi del colosso immobiliare Evergrande rischia, infatti, di infettare l’intera finanza cinese e di propagarsi su tutte le borse del mondo. Un crac simile a quello di Lehman Brothers, qualcuno addirittura lo paragona alla crisi del ‘29. Magari non succederà, magari la nomenklatura comunista cinese sacrificherà i privati e salverà le banche in nome del partito. Ma anche se così fosse, anche se si riuscisse a circoscrivere il virus finanziario (ma è difficile), questa vicenda dimostra che il mondo è condizionato dal battito d’ali di una farfalla cinese. Altro che sogni di gloria dell’Occidente: a vent’anni da quell’11 dicembre del 2001, per evitare un’epidemia finanziaria siamo appesi alle decisioni di Xi Jinping. Non è certo una bella condizione» (A. Minzolini, Il Giornale).
Il sinologo Francesco Sisci, già corrispondete per la Stampa dalla Cina e docente all’Università del Popolo di Pechino, non crede nell’effetto farfalla: «Quello di Evergrande è un dramma ma non così drammatico. Con Lehman Brothers questa faccenda non c’entra forse molto. Il dollaro e Wall Street erano e sono il centro della finanza mondiale, crollato un pezzo crollò il castello di carte. La Cina non è organicamente collegata con il sistema finanziario mondiale, come lo sono gli Stati Uniti. Ha una serie di compartimenti stagni e la moneta non è convertibile e dunque non ci può essere una fuga di capitali. E poi ci sono delle restrizioni amministrative, non si può comprare una casa in Cina e rivenderla a piacimento. Inoltre grandi riserve monetarie e un enorme surplus commerciale difendono il RMB da eventuali altri tentativi di attacco. Tutto questo di fatto isola dal mondo la finanza cinese, dunque è difficile che questa crisi cinese sfoci nel mondo» (Formiche).
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