Dobbiamo affrontare la crisi climatica con la stessa urgenza e fermezza con cui abbiamo affrontato la crisi pandemica: è questo il concetto che la cosiddetta comunità scientifica sta cercando di far passare negli ambienti politici e nell’opinione pubblica mondiale. Dall’emergenza pandemica all’emergenza climatica: chissà come avrebbe concettualizzato la cosa Carl Schmitt…
Di fatto questo senso di urgenza e di “fine del mondo” («Non c’è più tempo», «Siamo a un minuto dalla mezzanotte», «Ultimatum alla Terra», «Anche i dinosauri pensavano di avere ancora tempo», «Siamo già oltre il tempo massimo») ha lo scopo di mettere fuorigioco qualsivoglia obiezione sulle cause del climate change, sui mezzi per porvi rimedio e, ovviamente, sui tempi della cosiddetta “transizione ecologica” – dal capitalismo “fossile” al capitalismo “ecosostenibile”. Chi, con ammirevole spregio del pericolo, osa balbettare qualche obiezione più o meno seria e argomentata intorno al Global Warming viene subito zittito con le solite odiose accuse: negazionista, nemico della scienza, amico dei poteri forti (cioè “fossili”) e altro ancora.
Questo clima catastrofista (è proprio il caso di dirlo!) creato ad arte da scienziati e politici “ecologicamente sensibili” ha soprattutto l’obiettivo di preparare il terreno a iniziative di politica economica che impattano pesantemente sulle condizioni di vita delle classi subalterne, le quali potrebbero reagire violentemente a imposizioni di stampo “ecologista”. Abbiamo visto cosa è successo in Francia con i Gilet gialli, quando Macron cercò di introdurre un pacchetto di “riforme” economiche e sociali con la scusa di svecchiare il Paese e di renderlo più “green”. «Voi vi preoccupati della fine del pianeta, noi ci occupiamo di finire la settimana avendo qualcosa da portare e tavola»: questo fu il messaggio “populista” lanciato allora dai Gilets Jaunes.
Così si cerca di colpevolizzare (“responsabilizzare” secondo l’affettata terminologia dei politicamente corretti) la singola persona circa i suoi «errati stili di vita» (alimentari, sanitari, estetici e quant’altro), i quali darebbero un contributo decisivo alla crisi climatica: «La rivoluzione ecologista inizia da ognuno di noi, dai nostri comportamenti individuali come lavoratori, come consumatori, come cittadini. Nessuno si senta escluso: siamo tutti coinvolti nella salvezza del pianeta e delle giovani generazioni». Per “mettere a terra”, come si usa dire oggi, un simile straordinario obiettivo ogni sacrificio appare accettabile.
Gli analisti economici che si occupano della “transizione ecologica” prevedano per la sola Europa decine di milioni di perdenti nella guerra “climatica”, e, inutile dirlo, saranno le famiglie a basso reddito che pagheranno il prezzo più salato sull’altare di una rivoluzione capitalistica che si annuncia senza precedenti – soprattutto in termini di profittabilità degli investimenti.
Le metafore a sfondo naturalistico (vedi l’estinzione dei dinosauri) hanno il significato di cancellare la natura sociale della catastrofe imminente che si denuncia con ossessiva insistenza: per la salvezza del nostro amato pianeta occorre mettere da parte ogni differenza di classe, di nazione, di religione, di ideologia. Dinanzi all’Apocalisse imminente siamo uomini e donne tutti allo stesso titolo! È lo stesso schema ideologico che si è usato per la crisi pandemica: il virus non guarda i passaporti, né il colore della pelle, né il conto in banca (*). Sulla natura squisitamente capitalistica della crisi sociale chiamata Pandemia rimando ai miei diversi post dedicati al tema.
Chi finanzierà e sosterrà nel tempo la transizione ecologica/tecnologica? Qui si confrontano due scuole di pensiero: quella liberista e quella statalista. I liberisti pensano che solo l’iniziativa privata e il “libero mercato” sono in grado di avviare e dare slancio alla mitica transizione, mentre gli statalisti credono che solo lo Stato, non interessato al profitto immediato, può creare le giuste condizioni per una transizione “dal volto umano” (sic!). In ogni caso, è il Capitale (“privato” o “pubblico” non ha alcuna importanza) che viene messo al centro della scena, confermando la tesi secondo cui è più facile immaginare la fine del mondo, magari per via epidemica piuttosto che per via climatica, che la fine del capitalismo.
In ogni caso, secondo molti esperti la produzione delle materie prime (come il rame e le cosiddette terre rare) chiamate a supportare la “transizione ecologica” darà vita a un saccheggio ambientale senza precedenti che finirà per farci rimpiangere le vecchie miniere di carbone e i vecchi pozzi petroliferi. Quando guardiamo un pannello fotovoltaico, una turbina eolica o qualsiasi tecnologia e bene di consumo “intelligenti e puliti” dobbiamo chiederci quanti minerali e quanta energia elettrica (prodotta come?) sono necessari per produrli.
«Fermiamo la febbre del pianeta» dice la Lega Ambiente; ma la febbre è solo un sintomo della malattia! «Dobbiamo consegnare il carbone alla storia» dicono i Cari Leader a Glasgow; per chi scrive, si tratta invece di consegnare il capitalismo alla storia, e inaugurare una nuova epoca storica che non conosca rapporti sociali di dominio e di sfruttamento degli esseri umani e della natura. Non si tratta, sempre a mio modesto avviso, di salvare il pianeta (leggi: il capitalismo, perché di questo si tratta, che se ne abbia coscienza o meno) dalle emissioni inquinanti, ma di salvare l’umanità e la natura, due facce della stessa medaglia, dal Moloch-Capitale, la cui natura è altamente disumana a prescindere dalle tecnologie e dalle forme organizzative che usa per generare profitti, i quali sono, come tutti sanno (alcuni fanno solo finta di non saperlo, per non apparire in disaccordo con lo spirito del tempo), la ragion d’essere della «mostruosa creatura». Più che di «giustizia climatica» c’è – ci sarebbe – bisogno di una «giustizia sociale», la quale ai miei occhi postula necessariamente il superamento rivoluzionario della Società-Mondo che ci ospita.
Come ho scritto nel precedente post, la catastrofe non è imminente, è presente, e si chiama Capitale – che non è una cosa, una tecnologia, una categoria economica, ma un rapporto sociale di dominio e di sfruttamento. È questo rapporto sociale che permette al Capitale di far profitti sia quando sporca e distrugge il pianeta, sia quando lo “ripulisce” e lo incerotta alla meglio.
«Ebbene sì, questa volta hanno ragione i giovani, almeno in parte. “Questa non è più una conferenza sul clima, è un festival del greenwashing per i Paesi ricchi”, ha denunciato la pasionaria Greta Thunberg, usando un termine azzeccato, cioè lavarsi la coscienza col verde» (Il Giornale): ma cosa si pretende dai (cosiddetti) “potenti” della Terra! «L’ambientalismo non è un giardino d’infanzia» (Maurizio Crippa), e non è nemmeno un pranzo di gala: l’ambientalismo è un modo di essere e di apparire degli interessi capitalistici in questa calamitosa fase storica. Tutto il resto è bla-bla-bla!
(*) «Qui discutiamo di come le quote di carbonio personali (APC) potrebbero svolgere un ruolo nel raggiungimento di ambiziosi obiettivi di mitigazione del clima. […] In particolare, durante la pandemia di COVID-19, milioni di persone hanno adottato restrizioni per gli individui per il bene della salute pubblica e forme di responsabilità individuali che erano impensabili solo un anno prima. Le persone potrebbero essere più preparate ad accettare il monitoraggio e le limitazioni relative ai PCA per ottenere un clima più sicuro e i molti altri benefici (ad esempio, riduzione dell’inquinamento atmosferico e miglioramento della salute pubblica) associati all’affrontare la crisi climatica. Altre lezioni che potrebbero essere tratte riguardano l’accettazione pubblica in alcuni paesi di una sorveglianza e di un controllo aggiuntivi in cambio di una maggiore sicurezza. Ad esempio, in molti paesi, le app mobili progettate per il monitoraggio e il tracciamento delle infezioni da COVID-19 hanno svolto un ruolo importante nel limitare la diffusione della pandemia. L’implementazione e il test di tali app forniscono progressi tecnologici e approfondimenti per la progettazione di app future per il monitoraggio delle emissioni personali. Studi recenti mostrano come le app di tracciamento dei contatti COVID-19 siano state implementate con successo con schemi obbligatori in diversi paesi dell’Asia orientale, come Cina, Taiwan e Corea del Sud» (Nature Sustainability).
Leggi: E se Greta avesse ragione? Rivoluzione!; L’apocalisse al tempo di Greta Thunberg; Lettera di un anticapitalista a Greta Thunberg; La crisi ecologica nell’epoca del capitale. Sul concetto di Antropocene.
Sulla Pandemia leggi: La deriva antiscientifica…; Il Virus e la nudità del Dominio; Tacete! Il nemico vi ausculta; Miseria dell’individualismo. E dei suoi nemici; Per chi suona la campa del lebbroso; Giochi di potere sulla nostra pelle; L’intelligenza del virus; “Contro la barbarie dell’obbligo vaccinale”
Un commento da Facebook:
M. L.: In questo caso un siparietto umoristico s’impone. Durante la campagna che lo porterà a diventare primo ministro in UK, il leader del partito conservatore britannico David Cameron compensava i voli intercontinentali con cui promuoveva la sua immagine nel mondo, donando a Climate Care. L’ultima trovata di questa compagnia, che compensava il carbon footprint, era quella di fornire “pompe a pedale” alle famiglie rurali povere dell’India, in modo da poter portare l’acqua sulla loro terra senza dover usare l’inquinante energia diesel. Fatte di bambù, plastica e acciaio, queste pompe a pedale funzionano come “step machine in una palestra”. Per farla breve, i membri delle famiglie povere pedalavano per ore per estrarre l’acqua di falda che veniva utilizzata per irrigare i terreni agricoli. Occorre precisare che queste pompe sono state abolite nelle prigioni britanniche oltre un secolo fa. Sembra quindi che quella che in passato era considerata una forma inaccettabile di punizione per i criminali britannici, venisse ora promossa a positiva eco-alternativa ai macchinari per i poveri contadini indiani.
Sant’Obama della Transizione Ecologica
Potevano mancare le banali blaterazioni progressiste di Barack Obama alla CoP26 di Glasgow? Ovviamente no! Due sole perle:
«Il tempo sta scadendo: abbiamo fatto significativi progressi dall’accordo di Parigi ma dobbiamo fare di più, sia collettivamente che individualmente». Leggi: preparati a sacrifici eco-insostenibili.
«Non siamo neanche lontanamente dove dovremmo essere». Io invece so perfettamente dove vorrei mandarti.
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