Joachim Sauer, marito della Cancelliera tedesca Angela Merkel e chimico quantistico di fama internazionale, si dice «dispiaciuto di quella parte di popolazione tedesca che semplicemente ignora la realtà per ragioni illogiche, come chi non crede nei vaccini», e non riesce a capire perché così tante persone «non vogliono dare retta alla razionalità scientifica, non trovano l’ingresso nel mondo razionale» (La Stampa). Ma non è che è proprio la realtà della società capitalistica (mondiale, non solo tedesca o europea) a essere palesemente e grandemente illogica e irrazionale, nonostante il larghissimo uso che essa fa della scienza e della tecnica? Non è che siamo in presenza di una scienza e di una tecnologia al servizio, fondamentalmente, del Capitale e non dell’Umanità? E ancora, chi ci assicura che lo “zoccolo duro” di chi continua a non fidarsi della scienza, nonostante «lo sviluppo dei vaccini rappresenti», sempre secondo il nostro chimico quantistico, «una grande vittoria della scienza», non sia in realtà l’espressione, una delle tante e certamente oggi quella più eclatante e difficile da accettare per la massa dell’opinione pubblica, di una sfiducia assai più diffusa nei confronti della Civiltà capitalistica? Una sfiducia, beninteso, istintiva, “a pelle”, ossia non elaborata concettualmente e non compresa nelle sue reali cause.
Queste domande interrogano, io credo, soprattutto l’anticapitalista, il quale oggi si trova nella tristissima condizione, che peraltro ha radici storiche e sociali tutt’altro che misteriose e incomprensibili (vedi la catastrofe stalinista e le continue rivoluzioni economico-sociali capitalistiche), di non avere alcun tipo di influenza nemmeno sulla parte più disagiata e offesa dell’umanità, quella che da una rivoluzione sociale avrebbe tutto da guadagnare e nulla o pochissimo da perdere. Come dimostra sempre di nuovo il processo storico-sociale, se non compare sulla scena sociale mondiale la Grande Alternativa, e mi scuso per l’estrema economia di pensiero che mi costringe a una terminologia evocativa, per conquistare visibilità a capacità di iniziativa il disagio e la sofferenza cercano e trovano altre strade, tutt’altro che rivoluzionarie e amiche dell’umanità.
Osservo che non pochi cosiddetti anticapitalisti, anziché prendere atto con coraggio e radicalità di pensiero di questa tragica condizione, senza cioè rifugiarsi in ideologiche quanto confortanti certezze circa una futura (millenaristica!) rivoluzione anticapitalista, si attestano su una posizione di difesa della scienza a dir poco reazionaria, governista, statalista, tecnocratica, in una sola parola del tutto subalterna al dominio sociale. Questa posizione di stampo tardo-illuminista non prende in considerazione l’intero contesto sociale nel cui seno si dipana la crisi sociale capitalistica che chiamiamo Pandemia. L’atteggiamento rivoluzionario, o supposto tale, è stato sospeso in attesa che passi la tempesta, mentre è proprio quando impazza la tempesta che quell’atteggiamento ha la sua più autentica ragion d’essere, non fosse altro che per saggiare la propria consistenza politica e teorica, per misurarsi con la realtà e, ovviamente, per fare delle feconde esperienze, accettando con la dovuta cautela il rischio dell’errore. In questo peculiare senso la rivoluzione è sempre attuale nella testa dell’anticapitalista.
Anziché esercitare la critica più radicale dello status quo sociale, senza nascondere la propria attuale debolezza politica ma anzi facendone un fondamentale tema di riflessione, non pochi “anticapitalisti” hanno invece trovato assai più utile e gratificante sparare sulla Croce Rossa, cioè sulle corbellerie complottiste e “antiscientifiche” dei No Vax – peraltro spesso accomunandoli ai No Pass, confermando in questo modo la loro completa superficialità e pochezza politica. Ma su questo aspetto del problema rimando ai miei precedenti post (1). Ritorniamo piuttosto al discorso di partenza, per concluderlo (si fa per dire!) rapidamente.
L’ottusa contrarietà dei No Vax nei confronti della “scienza ufficiale”, concepita come parte integrante di un non meglio specificato “Sistema” impegnato in un complotto economico e politico dalle immani proporzioni e dalle terribili conseguenze; e l’altrettanto ottusa e feticistica fede dei Sì Vax (2) in una Scienza considerata come una benefica prassi orientata esclusivamente al cosiddetto “bene comune” mi porta a riflettere, tra l’altro, sulle conseguenze della divisione sociale del lavoro che fa della scienza un’attività che esclude la grande massa delle persone, le quali sono costrette a fidarsi dello specialista di turno. Solo chi è in possesso di determinate “competenze specifiche” è autorizzato a esternare opinioni e a dettare comportamenti su questa o quella “problematica” riconosciuti (certificati) sul piano politico e giuridico.
«Ma tu che non sei uno scienziato sui vaccini ne vuoi sapere più della scienza? Ma cerca di essere serio!» E difatti la questione è dannatamente seria, perché coinvolge la nostra salute, la nostra “nuda vita”, e ciò spiega, tra l’altro, la carica emotiva che caratterizza le tesi che fanno capo alle opposte fazioni vaccinali. Quando c’è in gioco la salute e la vita (come nelle guerre, come nelle crisi economiche devastanti, come nelle epidemie) le sofisticate intermediazioni relazionali costruite dalla Civiltà (borghese) entrano in crisi, e si fa presto a passare dalla tolleranza nei confronti delle opinioni e delle abitudini altrui alla più cieca intolleranza, la quale rende impossibile qualsiasi dialogo “civile” tra tesi e abitudini discordanti.
Su ciò che riguarda direttamente la nostra salute, non dovremmo essere noi come individui appartenenti a una Comunità ad avere l’ultima parola? E non dovrebbe questa stessa Comunità trovare il modo di coinvolgere attivamente tutti i suoi membri su come affrontare, ad esempio, una crisi epidemica? Per rispondere a queste domande dobbiamo prima capire di quale Comunità si sta qui parlando, cosa che mi porta direttamente alla riflessione che segue.
Su ciò che è essenziale per la nostra vita (che riguardi il nostro lavoro o la nostra salute fisica e “mentale”) noi non abbiamo alcun autentico potere di decisione, alcun controllo, e dobbiamo fidarci degli specialisti di turno: economisti, politici, scienziati, tecnici e così via di seguito. Chi mette in discussione questa realtà, perché considerata oltremodo disumana (cioè ostile all’umanità, alla sua libertà, alla sua intelligenza, al suo benessere psicofisico, alla sua felicità), viene bollato dall’opinione comune (che, come insegnava quello, è l’opinione delle classi dominanti) come un nemico della Scienza, un po’ come nei “tempi bui” del Medioevo la Chiesa accusava di connivenza con le forze demoniache chiunque osasse esprimere idee definite eretiche dai Tribunali della Vera Fede. Dal Presidente della repubblica in giù, è tutto un fiorire di accuse al pensiero “antiscientifico”.
Cacciari e Agamben, ad esempio, sono stati randellati sulla pubblica piazza perché in quanto filosofi non avrebbero dovuto esternare opinioni che esulano dal loro specifico “campo di interesse”: «Che parlino di filosofia, non di pandemia e di politica sanitaria!» Come se la pandemia e la politica sanitaria a essa correlata non dovessero interpellare ognuno di noi! Su tutto ciò che ci riguarda direttamente, la Comunità deve (diciamo dovrebbe, forse un domani…) non solo consentire e tollerare, ma caldeggiare e tenere nella dovuta considerazione l’opinione di tutti i suoi membri. Ma in questa società vige la divisione sociale del lavoro (manuale e intellettuale), e ognuno è credibile solo nel ristretto campo di lavoro che la società gli assegna attraverso delle procedure più o meno complesse. Inutile dire che quel tipo di divisione sociale poggia le sue fondamenta sulla divisione classista della società: entrambe le divisioni si presuppongono e si pongono vicendevolmente, sono l’una funzionale e necessaria all’altra. L’autorevolezza di un filosofo (con tanto di certificazione statale che lo qualifica come tale, beninteso!) non può andare oltre la “filosofia” (3), e la stessa cosa vale naturalmente per un virologo o per un altro scienziato, la cui opinione cessa di essere considerata dall’opinione generale autorevole fuori della sua specifica e sempre più specializzata “competenza”.
A questo proposito, è difficile non ridere dinanzi alle ingenuità “libertarie ”dei No Vax, i quali denunciano la «dittatura sanitaria» in atto senza avere la minima contezza della dittatura sociale che ormai dura da molto più di un secolo. Alludo naturalmente alla dittatura instaurata dai rapporti sociali capitalistici, e la cui fenomenologia politico-istituzionale (democrazia parlamentare, totalitarismo monopartitico, democrazia autoritaria, democrazia tecnocratica, ecc.) è piuttosto un dato “sovrastrutturale”, un fatto derivato e contingente che va spiegato alla luce, appunto, delle sue matrici storico-sociali. Per questo il piagnisteo “costituzionalista” di Cacciari e Agamben sulla «deriva autoritaria» mostra, quantomeno agli occhi di chi scrive, tutta la sua impotenza politica e la sua superficialità concettuale. Personalmente concordo con chi sostiene che sulla base della Costituzione Italiana sono legali tutti i provvedimenti emergenziali legati alla crisi pandemica, a cominciare dall’obbligo vaccinale e dal Super Green Pass. Opporsi alle leggi emergenziali appoggiandosi alla Costituzione è un grave errore politico, soprattutto se lo si fa non con intendo tattico/strumentale, per cercare di seminare contraddizioni nel campo del nemico, ma per tesserne gli elogi, e per questa strada santificare e rafforzare il dominio sociale di cui quella Costituzione è figlia. La mia radicale opposizione alla “politica sanitaria” del Governo è di matrice puramente anticapitalista e antilegalitaria.
All’ingenuità “libertaria” dei No Vax fa da perfetto pendant l’ottusa ed esibita accettazione dei pareri espressi dal “Comitato tecnico-scientifico” da parte dei Sì Vax, il cui vomitevole zelo vaccinale legittima ampiamente l’accusa di gregarismo belante rivolta loro dai primi. Per Gilberto Corbellini e Alberto Mingardi gli scienziati, che hanno fatto della scienza un «talk show», hanno una precisa responsabilità nella formazione delle opposte tifoserie vaccinali: «In questo contesto, i dati diventano uno strumento allucinogeno. Abbiamo ormai, purtroppo, consolidato nell’opinione pubblica l’idea che essi parlino non nel contesto di una elaborazione teorica, ma senza di essa» (4). I dati, insomma, non parlano da soli, ma sono interpretati sulla base di precisi presupposti politico-ideologici e di ben individuati interessi politici, economici, professionali.
Qui, come negli altri miei scritti dedicati alla “questione pandemica”, non sono in questione la scienza e il metodo scientifico astrattamente considerati, ma la scienza in quanto fondamentale istituzione sociale, la prassi scientifica come potentissimo strumento concettuale e “fattuale” posto al servizio di interessi ostili all’umanità, la scienza insomma come attività capitalistica di primissima grandezza – quella che, secondo Marx, ha determinato il passaggio dalla sussunzione solo formale del Lavoro al Capitale a quella reale (5). Che questa istituzione sociale capitalistica indebolisca la sua presa sugli individui, per l’anticapitalista non sarebbe affatto una cattiva notizia ma una feconda possibilità di iniziativa teorica e politica. Che questo indebolimento oggi abbia una possibilità estremamente ridotta e remota di tradursi in una presa di coscienza critica (figuriamoci se rivoluzionaria!) sulla natura e sulla funzione sociale della scienza e della tecnologia, ebbene questo fatto non dovrebbe sorprendere né inquietare l’anticapitalista, il quale non fa mai affidamento al deterministico “tanto peggio tanto meglio”. L’incremento della sofferenza purtroppo non si è mai tradotto meccanicamente in un incremento di “coscienza di classe”, e quasi sempre il tanto peggio, che in questa società è una certezza inscritta nella materialità del processo sociale (e non nella volontà del cattivone di turno), ha portato acqua al mulino di “populisti” e “demagoghi” di diversa estrazione politico-ideologica.
Il Presidente della Repubblica ha detto che da questa “crisi sanitaria” l’autorità della Scienza esce rafforzata («La scienza sta vincendo 9 a 1 sull’antiscienza»): ecco, questa sì che è una pessima notizia!
Scriveva nel 1946 Max Horkheimer: «Nagel tradisce solo l’intolleranza della sua dottrina quando afferma che qualunque sforzo diretto a limitare l’autorità della scienza è evidentemente “maligno”. […] Il timore che l’autorità della scienza possa essere indebitamente limitata ha colto gli scienziati proprio nel momento in cui tutti riconoscono quell’autorità e la scienza tende persino a diventare troppo autoritaria. I positivisti metterebbero al bando qualunque tipo di pensiero non si conformi perfettamente al postulato della scienza organizzata. La generale tendenza al monopolio è ormai così potente da investire anche il concetto teoretico di verità. […] Nella scienza moderna non esiste nessuna netta distinzione fra liberalismo e autoritarismo; anzi, essi tendono a integrarsi in modo tale da contribuire ad affidare un ancor più rigido controllo razionale alle istituzioni di un mondo irrazionale» (6).
«Dove sta andando la scienza?», si chiedeva polemicamente Giorgio Agamben qualche mese fa. Provo a rispondere molto – forse troppo – sinteticamente: verso una sua più forte integrazione nel sistema di dominio capitalistico.
Scrive sempre Agamben: «La lucida coscienza della propria situazione è la prima condizione per trovare una via d’uscita»: non posso che concordare, come si ricava da quel che ho scritto fin qui. «Non credo che la via d’uscita passi oggi necessariamente, come si è forse troppo a lungo creduto, attraverso una lotta per la conquista del potere. vi può Non essere un potere buono – e quindi nemmeno uno Stato buono. Noi possiamo solo, in una società ingiusta e falsa, attestare la presenza del giusto e del vero, possiamo solo, nel mezzo dell’inferno, testimoniare del paradiso» (7). Qui invece il mio pensiero diverge alquanto con quello del celebre filosofo – peraltro costretto da molti politici e intellettuali a recitare l’antipatico (e pericoloso) ruolo del “cattivo maestro” e/o del “Grande Vecchio”. A mio avviso si tratta di uscire dall’inferno capitalistico e di costruire, non il Paradiso in Terra o la “società perfetta”, secondo un’ingenua idea che gli apologeti del capitalismo mettono in bocca agli anticapitalisti per denigrarli agli occhi delle classi subalterne e degli individui umanamente più sensibili, ma una Comunità semplicemente umana – cioè umanizzata. È questa splendida possibilità, oggi negata in mille modi e che potrebbe non conoscere mai il passaggio all’atto, che personalmente cerco di “testimoniare”. Per dirla biblicamente (d’altra parte mi chiamo Isaia!), sono per il Grande Esodo dalla grigia terra del Dominio (8).
Limitarsi ad attestare «la presenza del giusto e del vero» credo che non sia efficace nemmeno come mero atto di resistenza nei confronti di «una società ingiusta e falsa» che non smette di diventare sempre più ingiusta e falsa, con disumana e incoercibile necessità. Penso anche che il modo in cui Agamben pone il problema della «conquista del potere» abbia moltissimo a che fare con le esperienze del cosiddetto “socialismo reale”, a cominciare da quello sovietico. Per questo sostengo che la controrivoluzione stalinista pesa ancora come un macigno sul presente. Quando giustamente si dice che oggi è più facile immaginare la fine del mondo (magari per via epidemica piuttosto che per via climatica) che la fine del capitalismo, è anche a quel macigno che si allude, anche senza averne la minima contezza. Di qui, i miei modesti lavori sulla natura sociale della Russia Sovietica e della Cina – da Mao Tse-tung a Xi Jinping.
Posta la situazione odierna, «la persistenza del futuro» di cui parla con giustificato ottimismo “geopolitico” la rivista Limes rappresenta ai miei occhi la mera continuità del Tempo del Dominio. La scienza come istituzione capitalistica è parte del problema umano, non della sua soluzione.
(1) Il Virus e la nudità del dominio (2020-2021), Miseria dell’individualismo. E dei suoi nemici; La deriva antiscientifica…
(2) Per Sì Vax non intendo semplicemente chi decide di vaccinarsi, ma chi lo fa sulla base di una certa ideologia, di una certa convinzione politica spesso comunicata via social. Ad esempio, e come ho scritto altrove, io mi sono vaccinato perché ho ritenuto, non so quanto fondatamente, il pericolo di ammalarmi a causa del Coronavirus di gran lunga più grande del rischio, comunque esistente (qualsiasi profilassi farmaceutica, anche quella apparentemente più innocua, non è esente da “eventi avversi”), rappresentato dal vaccino. Ho vissuto la cosa come un obbligo, come una costrizione, come una necessità impostami da condizioni create interamente da questa escrementizia (mi si perdoni l’eufemismo!) Società-Mondo che ha letteralmente creato questa Pandemia, e non come un “obbligo etico” o un’opportunità offertami dalla tecno-scienza. Questa società prima ti crea problemi d’ogni tipo (ad esempio, ti spara contro un virus), e poi ti offre i mezzi per lenire le sofferenze e curarti in caso di malattia (metaforica e reale), e in entrambi i casi il Capitale ci guadagna (moltissimo!), come è ovvio che sia in una società che si chiama (ed è: vedi la Cina!) capitalista. Non solo, ma queste “amorevoli” cure vengono vendute dalla politica e dall’intellighentia al servizio dello status quo sociale come la prova che questa società «basata sulla scienza e la tecnologia» dopotutto funziona, e che comunque non ha alle viste alternative valide. Ai profitti economici si sommano dunque i profitti politici e ideologici:è il solo “complotto” ai danni dell’umanità, in generale, e delle classi subalterne in particolare che riesco a concepire. Ma a quanto pare si tratta di un “complotto” troppo poco “complottista” per gli amanti del complottismo.
(3) «Questo non significa impedirgli di parlare: anche il ciarlatano filosofico ha il diritto di parlare, ma deve accettare la possibilità di essere sbertucciato» (Giovanni Boniolo, Avvenire).
(4) Linkiesta, Allucinazioni epistemologiche.
(5) La «sottomissione reale del lavoro al capitale» segnala la nascita «di un modo di produzione specificamente capitalistico (anche dal punto di vista tecnologico) sulla base del quale e con il quale si sviluppano contemporaneamente e subito i rapporti di produzione, corrispondenti al processo di produzione capitalistico, tra i diversi agenti della produzione, e, specialmente, tra capitalista e salariato. […] Le forze produttive sociali del lavoro, ovvero le forze produttive del lavoro direttamente sociale, socializzato (comunitario) mediante la cooperazione, la divisione del lavoro all’interno della fabbrica, l’uso delle macchina e, soprattutto, la trasformazione del processo produttivo in utilizzazione consapevole delle scienze naturali, meccanica, chimica, tecnologica etc. per scopi precisi; […] questo sviluppo della forza produttiva del lavoro associato, in opposizione al lavoro isolato dei singoli etc., e, con esso, l’applicazione della scienza al processo di produzione immediato, tutto ciò si presenta come forza produttiva del capitale, non come forza produttiva del lavoro, nella misura in cui esso è identico al capitale. La mistificazione propria del rapporto capitalistico si sviluppa ora molto di più di quanto avvenisse o potesse avvenire nel caso della sottomissione solo formale del lavoro al capitale» (K. Marx, Il Capitale, libro primo, capitolo VI inedito, pp. 51-52, Newton Compton, 1976). Oggi si può benissimo parlare di sottomissione totale (totalitaria, globale, capillare, “biopolitica”) del Lavoro al Capitale.
(6) M. Horkheimer, Eclisse della ragione, pp. 65-66, Einaudi, 2000. Il Nobel per la Fisica Giorgio Parisi denuncia il dilagare di «fenomeni irrazionali» e si augura un bagno di umiltà da parte della comunità scientifica: «L’attuale profonda integrazione tra scienza e tecnica potrebbe far pensare che la scienza abbia un futuro radioso in una società che diventa sempre più dipendente dalla tecnologia avanzata. In realtà oggi sembra vero tutto il contrario: ci sono forti tendenze antiscientifiche nella società attuale, il prestigio della Scienza e la fiducia in essa stanno diminuendo velocemente. Insieme a un vorace consumismo tecnologico si diffondono largamente le pratiche astrologiche, omeopatiche e antiscientifiche (vedi per esempio i No Vax). […] È possibile che questa sfiducia di massa nella scienza che arriva fino al nostro parlamento sia dovuta anche ad una certa arroganza degli scienziati che presentano la scienza come sapienza assoluta, rispetto agli altri saperi opinabili, anche quando in realtà non lo è affatto. A volte l’arroganza consiste nel non cercare di far arrivare al pubblico le prove di cui si dispone, ma di chiedere un assenso incondizionato basato sulla fiducia negli esperti» (Lectio Magistralis, Il senso della Scienza, Università Sapienza di Roma).
(7) G. Agamben, Dove sta andando la scienza?”, Organisms, Università Sapienza di Roma in collaborazione con la Tufts University di Boston.
(8) Mi permetto di riportare alcuni miei appunti tratti da un recente studio su Freud. «Come abbiamo visto, Freud non concepiva la possibilità di una Comunità che fosse in grado di conciliare i bisogni dell’individuo con quelli della totalità sociale anche attraverso l’umanizzazione – non la repressione o la sublimazione – degli istinti, a partire da quelli legati alla sfera sessuale – la quale è sempre stata socialmente mediata, e non è mai stata un mero groviglio di ciechi impulsi naturali/bestiali. Per la dottrina dello scienziato moravo la totalità sociale non può non avere la meglio sul singolo individuo, meritevole peraltro delle migliori cure anche sul terreno della clinica. Cura dei corpi, cura delle anime, cura della psiche: curare senza mai mettere in questione la radice del male. Per riprendere un passo drammaturgico citato da Freud nel Disagio della civiltà, per me si tratta invece di cadere “fuori di questo mondo”, ossia di fuoriuscire dalla dimensione del Dominio – che presuppone e pone sempre di nuovo lo sfruttamento della natura e degli esseri umani frantumati, alienati e divisi nella dimensione classista.
L’alternativa non è tra civiltà e barbarie, ma tra umanità e disumanità, tra una Comunità incentrata sul principio di umanità, il quale presuppone e pone sempre di nuovo un assetto sociale privo di classi sociali e degli organismi politici necessari alle società classiste (a cominciare dallo Stato, cane da guardia posto a difesa del Dominio), e una società centrata su rapporti sociali di dominio e di sfruttamento, come sono appunto quelli capitalistici. Freud individua l’esistenza di una «miseria psicologica della massa», la caratterizza come «temuto male della civiltà», ne descrive bene la fenomenologia, ma la considera come un inevitabile prezzo da pagare sull’altare, appunto, della civiltà, mentre la miseria sociale (non solo “materiale”) sottostante non lo riguarda. […] Freud non si faceva insomma alcuna illusione intorno alla “nostra civiltà”, ossia alla civiltà capitalistica, pur considerandola un male necessario che non aveva altra alternativa se non il precipitare dell’umanità nella barbarie delle comunità preistoriche non ancora assoggettate al processo di civilizzazione. A mio avviso è proprio questo pessimismo, questo atteggiamento disincantato e poco incline alle illusioni di stampo progressista, l’aspetto di gran lunga più fecondo del pensiero freudiano.
Caro Sebastiano, quel che penso, in una sostanziale concordanza con i tuoi scritti, è facilmente riassumibile in tal modo: chi sostiene, con buone ragioni, che la cosiddetta critica al Green Pass (ed altri obblighi) sia un’arma di distrazione di massa, di carattere politico piccolo-borghese, spesso dimentica le potenti armi di dissuasione di massa che speculari ideologie borghesi adoperano a tutela della produttività della forza-lavoro e delle compatibilità capitalistiche. L’usabilità di queste armi borghesi (dalla distrazione alla dissuasione) è possibile entro la società borghese ed il suo catalogo merceologico e professionistico.
Stiamo parlando soltanto della cosiddetta Pandemia? No, vale per ogni questione (sanitaria, ecologica, etc, etc) che emerge dalla crisi sociale ossia dalle contraddizioni del modo di produzione capitalistico
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