XINJIANG. LA COLONIA PENALE HIGH-TECH CINESE

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Ovunque si vada nello Xinjiang si trovano “dea del canto” e “re della danza”: come si fa a non provare un senso di profondo affetto per questa terra? (Quotidiano del Popolo Online).

In the Camps: China’s High-Tech Penal Colony (Nei campi: la colonia penale high-tech della Cina) è il libro che Darren Byler ha dedicato al cosiddetto «capitalismo del terrore» impiantato nello Xinjiang. In che modo questo capitalismo con caratteristiche cinesi fondato sull’oppressione e sullo sfruttamento degli uiguri si collega all’economia globale? Mentre il contributo centrale del libro è basato sulle interviste con gli uiguri colpiti dallo stato di emergenza instaurato nello Xinjiang, per il resto l’autore indaga attentamente il ruolo fondamentale che le aziende della Silicon Valley, in particolare Microsoft, hanno svolto nella costruzione del «capitalismo del terrore». darrenbyler-1536x845«Come la Cina ha costruito una rete di sorveglianza per detenere oltre un milione di persone e produrre un sistema di controllo precedentemente sconosciuto nella storia umana. Una forma crudele e high-tech di colonizzazione si è sviluppata negli ultimi dieci anni nella vasta regione nord-occidentale cinese dello Xinjiang, dove ben un milione e mezzo di uiguri, kazaki e hui sono scomparsi nei campi di alta sicurezza e nelle fabbriche associate. È il più grande internamento di una minoranza religiosa dalla seconda guerra mondiale. Darren Byler, uno dei maggiori esperti mondiali di società uigura e sorveglianza cinese, attinge a un decennio di ricerche sulla regione, esaminando migliaia di documenti governativi e conducendo molte ore di interviste sia con i detenuti che con i lavoratori del campo. Byler racconta le storie di persone che mostrano come una sofisticata rete di sorveglianza facciale, riconoscimento vocale e tecnologia di tracciamento degli smartphone, costruita da società private, abbia permesso alle autorità di inserire i musulmani nella lista nera per “pre-crimini” che a volte consistono solo nell’aver installato app di social media. Le loro storie narrano un processo di sorveglianza che travolge la vita e spingono Byler a esaminare come gli strumenti tecnologici che vengono costruiti in luoghi da Seattle a Pechino vengono adattati per creare forme di non libertà per le persone vulnerabili in tutto il mondo» (Columbia Global Reports). xin1«Nello Xinjiang, tutte le minoranze musulmane sono state colpite dalla campagna di internamento di massa. Mentre gli uiguri sono stati l’obiettivo principale, nelle località del nord dello Xinjiang, dove ci sono meno uiguri e un numero maggiore di kazaki e hui, un numero significativo di questi due gruppi è stato detenuto. Ciò ha a che fare con le pressioni esercitate sulle autorità locali in queste località per trovare “terroristi ed estremisti” da detenere, e con l’applicazione estremamente ampia delle leggi antiterrorismo che considerano la frequente frequentazione delle moschee e l’installazione di WhatsApp un crimine terroristico o di estremismo. La mia sensazione è che gran parte del cambiamento che abbiamo visto nello Xinjiang dal 2020 sia stato in risposta alla pressione internazionale e alle sanzioni economiche. Mentre questa pressione non ha portato al rilascio dei detenuti e a una drastica inversione delle politiche statali, la mia sensazione è che abbia portato lo Stato ad abbandonare in gran parte il sistema dei campi di internamento e le nuove detenzioni si sono in gran parte fermate. Invece, c’è stato uno spostamento verso l’incarcerazione di massa più formale e il lavoro coercitivo. Forse questo è ciò che le autorità statali hanno pianificato da sempre, ma la mia sensazione è che abbiano agito in modo più rapido e reattivo di quanto avrebbero potuto inizialmente prevedere. Sembra che gran parte dell’attenzione della politica statale nella regione sia ora abbastanza fissata sul controllo della narrativa sull’internamento di massa e sui processi extralegali. Il modo in cui i marchi globali hanno trasferito le loro catene di approvvigionamento al fine di evitare la manodopera assegnata coercitivamente nello Xinjiang, ha prodotto il più grande costo economico finora. I costi reputazionali del sistema di internamento di massa si faranno probabilmente sentire per molti anni a venire» (D. Byler, SupChina). xin2Scrivevo qualche tempo fa: «Nel frattempo, ci sono sempre più testimonianze, fonti e documenti interni trapelati sui campi uiguri nello Xinjiang, dove si stima siano detenute un milione di persone. La repressione va dalla sostituzione della lingua uigura con il cinese mandarino, alla prevenzione delle visite alle moschee e alla sorveglianza pervasiva, alla reclusione, ai lavori forzati, alla riduzione delle nascite uiguri e alla tortura. Nella propaganda di stato, i campi di lavoro sono descritti come programmi di addestramento, rieducazione, lotta al terrorismo o, nello stile del colonialismo, come l’illuminazione di popoli incivili. La Cina è il più grande produttore mondiale di pomodori; provengono principalmente dallo Xinjiang, spesso sotto forma di concentrato di pomodoro. Allo stesso modo, l’80 per cento del cotone cinese viene coltivato lì. Dovremmo criticare l’accusa propagandistica di “genocidio”; secondo le prove, ciò che sta accadendo è oppressione, non sterminio, e anche i cinesi han sono tra le vittime. Ma rivelare le politiche occidentali come propaganda non dovrebbe significare negare l’esistenza dei campi! Le misure draconiane a Hong Kong e soprattutto nello Xinjiang bloccano il PCC in una strada a senso unico in cui il Paese può solo muoversi verso l’autoritarismo. Il dispotismo dei campi di lavoro, la povertà, i bassi salari e la crisi demografica sono correlati e reciprocamente dipendenti» (Pianeta Cina). Ovviamente il regime, centrato sul Partito Capitalista Cinese, smentisce “con sdegno e fermezza” le accuse che arrivano dall’Occidente, in primo luogo dagli Stati Uniti, i quali secondo Pechino userebbero i cosiddetti diritti umani come uno strumento di lotta geopolitica ed economica per affermare la loro sempre più traballante supremazia imperialistica. L’accusa di Pechino centra in pieno il bersaglio, ma è di quelle rubricabili come Da quale pulpito viene la predica! Detto altrimenti, il bue dà del cornuto all’asino – ognuno può scegliere l’animale che gli sta più simpatico, oppure può cucinarli criticamente nella stessa pentola: è quello che da sempre fa chi scrive. D’altra parte in Italia il Partito Cinese è tutt’altro che insignificante, e può contare su autorevoli, diciamo così, personaggi appartenenti al mondo della politica, dell’economia e della cultura. Ne ho parlato qualche anno fa su un post dedicato ai 5 Stelle: La Cina Di Maio… FOREIGN202110131630000206283910239 A proposito di pentastellati! Scriveva qualche giorno fa Beppe Grillo, in vena di “populismo generazionale” sul suo “mitico” Blog: «Certamente i giovani sono pronti a qualcosa di nuovo. Mentre fino agli anni ottanta si pensava al socialismo come un modello alternativo, oggi non sembrano esserci alternative soddisfacenti. L’unico modello alternativo è quello cinese ispirato al Beijing Consensus, che propone un capitalismo privato e un capitalismo di stato sotto il ferreo controllo di un regime autocratico: certamente un modello difficilmente adottabile nei nostri sistemi occidentali, ma che al tempo stesso pare l’unico possibile». Inutile dire che il noto comico associa, sulla scia dello stalinismo internazionale (incluso quello con caratteristiche cinesi), il “socialismo” al Capitalismo di Stato che del primo è la negazione. A quanto pare ultimamente Beppe Mao è parecchio intrigato dal “populismo generazionale” inteso a mettere i giovani contro gli anziani: «I giovani di oggi sono sempre più scontenti del modo in cui gli anziani gestiscono il mondo». Per chi scrive, commentare simili perle concettuali è oltremodo difficile. xiiMa ritorniamo a faccende più serie, ossia al «capitalismo del terrore» e alla risposta del regime cinese alla provocatoria quanto strumentale propaganda occidentale. Solo alcuni esempi tratti dal Quotidiano del Popolo Online: «Nel corso della conferenza stampa ordinaria del 2 dicembre al ministero degli Esteri cinese il portavoce Wang Wenbin ha detto queste parole: “I cittadini cinesi che abitano nello Xinjiang lavorano e conducono una vita felice in una regione dove i gruppi etnici coesistono in armonia. Dire che nello Xinjiang esistono i ‘lavori forzati’ non è altro che la bugia del secolo”. Wang Wenbin ha anche sottolineato che alcuni politici occidentali, in particolare alcuni degli Stati Uniti, sostengono a gran voce che in questa regione della Cina esiste il fenomeno dei lavori forzati; tuttavia queste loro parole, pronunciate con il pretesto della difesa dei diritti umani, nascondono in realtà un tentativo di manipolazione politica che interferisce negli affari interni della Cina, frenando e ostacolando il suo sviluppo, in particolare quello dello Xinjiang. Secondo il portavoce questo modo di fare è immorale e spregevole». xiiii«Il 19 dicembre 2021, i rappresentanti della Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang hanno smentito le bugie del “lavoro forzato”, inventate dalle forze anti-cinesi degli Stati Uniti e dell’Occidente. Amatjan Abduhalik, professore associato presso l’Università di Finanza e Ecomonia dello Xinjiang, ha affermato in una conferenza stampa che le politiche e le pratiche della Regione per il lavoro e l’occupazione sono conformi alle leggi cinesi e agli standard internazionali sul lavoro e sui diritti umani. Amatjan Abduhalik ha aggiunto che il cosiddetto “lavoro forzato” nello Xinjiang è la bugia del secolo. Abdusalam Hoji, che lavora in un’azienda di silicio nella Regione, ha affermato che nell’azienda non esiste il lavoro forzato. Nel settembre 2020 Hoji è entrato nell’azienda, la quale dispone di una mensa halal per gruppi di minoranza etniche e offre alloggio gratuito agli impiegati. Amar Jelil, coltivatore di cotone nella città di Korla, ha affermato che durante la stagione del raccolto, assumeva dipendenti temporanei e li pagava in base agli accordi. “Ora si usa la raccoglitrice di cotone e non c’è bisogno dei lavoratori manuali”, ha aggiunto». intel headquarters in mission college blvd of santa clara «Il produttore di chip statunitense Intel si è scusato sul suo account ufficiale WeChat con i clienti, i partner e il pubblico cinesi per aver detto ai suoi fornitori di non acquistare prodotti o manodopera dalla regione autonoma cinese uigura dello Xinjiang il 23 dicembre. In quanto società multinazionale esposta a un complesso ambiente globale, Intel dovrebbe rispondere e affrontare i problemi con cautela, ha detto la società. Intel ha affermato che la sua menzione di evitare le catene di approvvigionamento dallo Xinjiang era solo per esprimere conformità e legalità piuttosto che una dichiarazione della sua posizione sulla questione. L’azienda ha recentemente pubblicato una lettera annuale ai fornitori in diverse lingue datata dicembre. “Intel è tenuta a garantire che la nostra catena di approvvigionamento non utilizzi manodopera o beni o servizi di provenienza dalla regione dello Xinjiang”, si legge nella parte della lettera che “proibisce il lavoro involontario”. “Speriamo che l’impresa coinvolta possa rispettare i fatti e distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato”, ha detto il 23 dicembre Zhao Lijian, portavoce del Ministero degli Affari Esteri cinese, rispondendo a una domanda sulla dichiarazione di Intel. La Cina ha ribadito che l’accusa di lavoro forzato nello Xinjiang è una bugia fabbricata dalle forze anti-cinesi negli Stati Uniti per offuscare la reputazione della Cina, destabilizzare lo Xinjiang e opprimere lo sviluppo della Cina, ha affermato Zhao. Se alcune imprese scelgono di non utilizzare prodotti realizzati nello Xinjiang, è una loro perdita, ha detto. Dal 2015, la Cina continentale e Hong Kong sono stati il più grande mercato di Intel in termini di entrate. L’anno scorso, secondo i suoi archivi, oltre il 26% delle entrate dell’azienda proveniva dalla Cina continentale e da Hong Kong». vvv A occhio, non mi sembrano argomenti che possano convincere chi nutre qualche scetticismo, diciamo così, sulla bontà del capitalismo con caratteristiche cinesi nella nuova era. Chiudo con una gran bella notizia (soprattutto per i “marxisti”): «È stato recentemente pubblicato dalla People’s Publishing House il libro di aneddoti del PCC raccontati da Xi Jinping. Questo contiene una selezione di più di 80 aneddoti sulla storia del Partito raccontati dal segretario generale cinese e interpretati con grande profondità. Le storie nel libro sono toccanti, ricche di pensieri e facili da capire, e aiutano il lettore a comprendere profondamente i punti di forza del marxismo e il motivo del successo del PCC e del socialismo con caratteristiche cinesi». Corro subito a comprarlo – con la speranza di capire finalmente qualcosa di questo maledetto “marxismo”! chiiinSulla natura sociale della Cina e sulla storia della Cina moderna: Centenari che suonano menzogneri; Tutto sotto il cielo – del CapitalismoChuang e il “regime di sviluppo socialista”Sulla campagna cineseŽižek, Badiou e la rivoluzione culturale cinesePiazza Tienanmen e la “modernizzazione” capitalistica in Cina. Il ruolo degli studenti e dei lavoratori nella primavera cinese del 1989Tienanmen! Pianeta Cina

2 pensieri su “XINJIANG. LA COLONIA PENALE HIGH-TECH CINESE

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