Nel suo ultimo discorso propagandistico televisivo, il macellaio di Mosca ha riproposto la sua escrementizia, quanto menzognera, narrazione: «Sono sempre convinto che i russi e gli ucraini siano un unico popolo, nonostante gli ucraini siano spaventati dalla propaganda nazionalista». Il virile dittatore si vende cioè all’opinione pubblica interna e internazionale come il campione del multinazionalismo e dell’antinazionalismo – oltre che come provetto denazificatore: ridiamo! Ebbene, questa risibile e cinica autorappresentazione, peraltro molto apprezzata dai suoi italici tifosi di “destra” e di “sinistra” (a ulteriore dimostrazione del fatto che gli opposti politici si toccano quando poggiano sullo stesso piano di classe), mi ha fatto ritornare alla mente quanto disse una volta Trotsky a proposito dello sciovinismo Grande Russo, il quale amava spesso presentarsi sotto le vesti del multiculturalismo e dell’internazionalismo, «dietro la superba condanna dello “sciovinismo” ridestato. Lo sforzo della nazionalità dominante per conservare lo statu quo è spesso mascherato da superamento del nazionalismo, come lo sforzo di un paese vincitore di conservare quello che ha saccheggiato, assume un aspetto pacifista».
La verità è che al sempre più impoverito e oppresso proletariato russo, il Predente della Federazione Russa non ha altro da offrire che un sempre più colmo bicchiere di veleno nazionalista e revanscista.
Su un post di qualche giorno fa ho pubblicato un articolo, intitolato L’Ucraina, scritto da Lenin il 27 giugno 1917; oggi pubblico alcuni passi del capitolo che Trotsky, nella sua classica quanto fondamentale opera sulla Rivoluzione d’Ottobre, dedicò alla Questione nazionale. Come per il precedente post, è un interesse puramente “storiografico” che mi invita a toccare vecchie questioni, le quali potrebbero avere una qualche relazione con le vicende attuali e una residuale pregnanza politica solo se considerate alla luce della prospettiva storia e del processo sociale, il quale, ad esempio e a mio giudizio, pone oggi la questione nazionale come si dà nello spazio geopolitico realizzato dall’Impero zarista e dall’Imperialismo – cosiddetto – sovietico su un terreno completamente ultrareazionario, cioè avverso agli interessi delle classi subalterne.
Approfitto dell’occasione per sintetizzare il significato dei miei post dedicati alla guerra in corso in Europa. Anche se la Russia avesse ragione, si tratterebbe pur sempre della ragione di una Potenza imperialista che sfrutta, opprime, uccide, inquina e quant’altro; lo stesso discorso si applica ovviamente al “Fronte Occidentale”. Vogliamo parlare delle ragioni dell’Ucraina? Si tratta delle ragioni di un Paese capitalista che sfrutta e opprime le classi subalterne, esattamente come fa ogni altro Paese di questo capitalistico mondo. Rimanere sul terreno degli interessi economici, politici e geopolitici delle nazioni, piccole o grandi che siano, per cercarvi “torti” e “ragioni”, significa presentarsi disarmati e inginocchiati dinanzi al nemico, che per me si chiama Dominio sociale capitalistico. La vicenda ucraina, tra l’altro, dimostra per l’ennesima volta quanto sia illusoria, velleitaria e pregna di nefaste conseguenze la ricerca della sovranità nazionale, soprattutto per Paesi che per costrizione o per “scelta” devono accomodarsi in una delle “sfere di influenza” che fanno capo alle maggiori Potenze mondiali. Il punto di vista della Nazione (della Patria) è il punto di vista delle classi dominanti, del Capitale, dello Stato, e questo in Ucraina come in ogni altro Paese del mondo – a cominciare dal mio, dall’Italia, ormai coinvolta a pieno titolo nella vicenda ucraina.
E allora, che fare? A mio avviso la risposta è, ormai da molti decenni a questa parte, sempre la stessa: bisogna costruire l’autonomia politica, ideale e psicologica del proletariato, dei lavoratori, dei senza riserve. Se il proletariato mondiale non diventa una Potenza sociale in grado di incutere paura nelle classi dominanti e poi di spezzare il meccanismo capitalistico di dominio e di sfruttamento, tutto il male concepibile, e anche quello che oggi non riusciamo nemmeno a concepire, è non solo possibile ma altamente probabile, come del resto ha dimostrato anche la crisi sociale capitalistica mondiale chiamata Pandemia. Per questo mi fanno ridere quelli che blaterano di «ritorno della tragedia in Europa» piuttosto che di «ritorno della storia», oppure di «lancette della storia portate indietro di decenni, se non di secoli»: si tratta purtroppo della stessa storia che continua ormai da fin troppo tempo. Si tratta del tempo del Dominio di classe. Non c’è pace senza umanità, e non c’è umanità nella società classista. Se vuoi la pace, prepara la rivoluzione sociale!
Ecco adesso il breve testo di Trotsky. Buona lettura.
La questione nazionale
La lingua è il principale elemento di unione tra gli uomini e quindi di collegamento nell’attività economica. Diviene lingua nazionale con il prevalere della circolazione delle merci che unisce una nazione. Su questa base si crea lo Stato nazionale, che è il terreno più adatto, più vantaggioso e più normale per lo sviluppo dei rapporti capitalistici. In Europa occidentale, se lasciamo da parte la lotta per l’indipendenza dei Paese Bassi e il destino dell’Inghilterra insulare, l’epoca della formazione delle nazioni borghesi si è iniziata con la grande rivoluzione francese e si è sostanzialmente conclusa, dopo un secolo circa, con la costituzione dell’Impero tedesco. […] La Russia si era formata non come Stato nazionale, ma come Stato multinazionale. Ciò corrispondeva al suo carattere arretrato. Sulla base di un’agricoltura estensiva e dell’artigianato contadino, il capitale commerciale si sviluppava non in profondità, non trasformando la produzione, ma in estensione, allargando la sua sfera di azione. […] L’estendersi dello Stato era essenzialmente l’estendersi di un’economia agricola che, nonostante il suo primitivismo, appariva superiore a quella dei nomadi del Sud e dell’Oriente.
Lo Stato burocratico di casta, che si formò su questa base immensa e in continuo allargamento, divenne abbastanza potente da assoggettare in Occidente certe nazioni culturalmente superiori, ma, incapaci a causa della scarsa popolazione o di crisi interne, di difendere la loro indipendenza (Polonia, Lituania, province baltiche, Finlandia) (1). Ai settanta milioni di Grandi Russi che costituivano la massa fondamentale del paese si aggiunsero gradualmente circa novanta milioni di “allogeni”, suddivisi nettamente in due gruppi: gli Occidentali, superiori ai Grandi Russi come cultura, e gli Orientali, a un livello inferiore. Così si costituì un impero in cui la nazionalità dominante non rappresentava che il 43 % della popolazione, mentre il 57 % (di cui il 17 % di Ucraini, il 6 % di Polacchi, il 4,5 % di Russi Bianchi) comprendeva nazionalità diverse per grado di cultura e per diseguaglianza di diritti. […] In Russia l’oppressione nazionale era infinitamente più brutale che negli Stati confinanti, non solo alla frontiera occidentale, ma persino alla frontiera orientale. Il gran numero di nazionalità prive di diritti e la gravità della loro situazione facevano sì che nella Russia zarista il problema nazionale acquistasse una forza esplosiva enorme. […]
Lenin aveva compreso tempestivamente l’inevitabilità in Russia di movimenti nazionali centrifughi e per anni aveva lottato ostinatamente, soprattutto contro Rosa Luxemburg, per il famoso paragrafo 9 del vecchio programma del partito che proclamava il diritto delle nazioni all’autodecisione, cioè anche a una completa separazione. Con ciò, il partito bolscevico non si impegnava affatto a fare propaganda separatista. Si impegnava solo a opporsi intransigentemente a qualsiasi forma di oppressione nazionale e quindi anche al mantenimento con la forza di questa o quella nazionalità entro i confini dello Stato. Solo per questa via il proletariato russo poté gradualmente conquistare la fiducia delle nazionalità oppresse.
Per tutte le nazionalità oppresse della Russia, il rovesciamento della monarchia, doveva necessariamente implicare una rivoluzione nazionale. Ma su questo piano doveva verificarsi quello che si era verificato con il regime di febbraio [1917] in tutti gli altri campi: la democrazia ufficiale, legata dalla sua dipendenza politica nei confronti della borghesia imperialista, si dimostrò assolutamente incapace di distruggere le vecchie catene. […] L’eguaglianza giuridica non significava niente per i Finlandesi che volevano non l’eguaglianza con i Russi, ma l’indipendenza dalla Russia. Non significava niente per gli Ucraini che in precedenza non avevano subito nessuna restrizione perché erano stati dichiarati russi a forza. Non mutava per nulla le condizioni dei Lettoni e degli Estoni, schiacciati dalla proprietà fondiaria tedesca e dalle città russo-tedesche. […] Lo Stato democratico restava sempre lo stesso Stato del funzionario grande russo che non era disposto a cedere il posto a nessuno. […]
Se la borghesia russa si rassegnava si rassegnava ancora a riconoscere una certa indipendenza alla Finlandia, che aveva con la Russia solo deboli legami economici, non poteva in nessun modo acconsentire all’«autonomia» del grano dell’Ucraina, del carbone del Donetz e dei minerali di Krivoirog. […]
Nelle regioni periferiche la popolazione delle città, come nazionalità, si differenziava completamente dalla popolazione delle campagne. Nell’Ucraina e nella Russia Bianca, il proprietario terriero, il capitalista, l’avvocato, il giornalista sono grandi russi, polacchi, ebrei, stranieri: mentre la popolazione delle campagne è ucraina e russa bianca nella sua totalità. Nelle province baltiche, le città erano centri della borghesia tedesca, russa ed ebraica: le campagne erano integralmente lettoni ed estoni. […] Le campagne, sinché tacevano, potevano essere ignorate. Ma, anche quando cominciarono a levare la voce con crescente impazienza, le città si intestardirono nella loro resistenza, nella difesa della loro posizione privilegiata. Il funzionario, il mercante, l’avvocato impararono rapidamente a mascherare la lotta per la conservazione dei posti-chiave dell’economia e della cultura dietro la superba condanna dello «sciovinismo» ridestato. Lo sforzo della nazionalità dominante per conservare lo statu quo è spesso mascherato da superamento del nazionalismo, come lo sforzo di un paese vincitore di conservare quello che ha saccheggiato, assume un aspetto pacifista. Così, di fronte a Gandhi, MacDonald si sente internazionalista. […]
Quando, in una polemica postuma sul programma della rivoluzione di ottobre, Rosa Luxemburg sosteneva che il nazionalismo ucraino, che era stato in precedenza un semplice «divertimento» per una dozzina di intellettuali piccolo-borghesi, era stato artificialmente gonfiato grazie al lievito della formula bolscevica del diritto delle nazioni all’autodecisione, nonostante la sua intelligenza luminosa, commetteva un errore storico assai grave: i contadini dell’Ucraina non avevano formulato in passato rivendicazioni nazionali per la semplice ragione che, in genere, non avevano raggiunto il livello della politica. Il merito principale della rivoluzione di febbraio, diciamo pure l’unico merito, ma del tutto sufficiente, consistette appunto nell’offrire finalmente la possibilità di parlare a voce alta alle classi e alle nazionalità più oppresse della Russia. Il risveglio politico dei contadini non poteva tuttavia realizzarsi se non tramite la lingua natia, con tutte le conseguenze che ne derivavano sul piano della scuola, della giustizia, delle amministrazioni autonome. Opporsi a questo significava tentare di far rientrare i contadini nel nulla.
La differenziazione nazionale tra città e campagna aveva ripercussioni dolorose anche nei soviet in quanto organizzazioni essenzialmente urbane. […] Dietro la falsa insegna dell’internazionalismo, i soviet spesso conducevano una lotta contro il nazionalismo ucraino o mussulmano, mascherando l’oppressione russificatrice delle città. […] In Finlandia, in Lettonia, in Estonia, in misura minore in Ucraina, la differenziazione del movimento nazionale assunse già a in ottobre [1917] una tale acutezza che solo l’intervento delle truppe straniere poté impedire il successo della rivoluzione proletaria. […] Se si considera il processo complesso e contraddittorio nel suo insieme, la conclusione è chiara: il torrente nazionale, come il torrente agrario, si riversava nel letto della rivoluzione d’ottobre (2). L’ineluttabile e irresistibile passaggio delle masse dai compiti più elementari dell’emancipazione politica, agraria e nazionale all’obiettivo del potere proletario era determinato non da una agitazione «demagogica», da schemi preconcetti, dalla teoria della rivoluzione permanente, come supponevano i liberali e i conciliatori, ma dalla struttura sociale della Russia e dalla situazione mondiale del momento. La teoria della rivoluzione permanente non faceva che cogliere il carattere combinato del processo di sviluppo. […]
Nel periodo della controrivoluzione (dal 1907 al 1917), quando la direzione del movimento nazionale era concentrata nelle mani della borghesia allogena, quest’ultima cercava un’intesa con la monarchia ancora più apertamente dei liberali russi. I borghesi polacchi, baltici, tartari, ucraini, ebrei andavano a gara nel dar prova di patriottismo imperialistico. Dopo l’insurrezione di febbraio, si nascosero dietro le spalle dei cadetti o, seguendo l’esempio dei cadetti, dietro le spalle dei conciliatori nazionali. La via del separatismo, la borghesia delle nazionalità delle regioni periferiche la imboccarono verso l’autunno del 1917, non per lottare contro l’oppressione nazionale, ma per lottare contro la rivoluzione proletaria che si avvicina. In complesso, la borghesia delle nazionalità oppresse dimostrò nei confronti della rivoluzione una ostilità non minore di quella della borghesia grande russa. […] Le recenti sorti di due Stati multinazionali, la Russia e l’Austria-Ungheria, hanno messo in luce la contrapposizione tra bolscevismo e austro-marxismo. Per circa quindici anni Lenin sostenne, con una lotta implacabile contro lo sciovinismo grande russo di tutte le gradazione, il diritto di tutte le nazionalità oppresse di distaccarsi dall’Impero degli zar. I bolscevichi erano accusati di tendere allo smembramento della Russia, mentre un’audace concezione rivoluzionaria della questione nazionale assicurò al partito bolscevico la fiducia indistruttibile dei piccoli e arretrati popoli oppressi dalla Russia. Nell’aprile del 1917 Lenin diceva: “Se gli Ucraini vedono che abbiamo una repubblica dei soviet, non si distaccheranno; ma se abbiamo una repubblica di Miljukov, si distaccheranno”. Anche questa volta aveva ragione (3).
(1) «Lenin, nei suoi scritti del 1917, accomunò frequentemente l’Ucraina alla Polonia e alla Finlandia, parlandone come d’un paese le cui rivendicazioni indipendentiste erano state accettate dai bolscevichi senza riserva. […] In Ucraina i contadini costituivano non soltanto la vasta maggioranza della popolazione, ma anche la sola classe che avesse dietro di sé una lunga tradizione. Le loro rivendicazioni sociali ed economiche – base costante di ogni nazionalismo contadino – erano dirette contro i proprietari terrieri (polacchi, per la maggior parte, ad ovest del Dnepr, e russi altrove). […] L’Ucraina comprendeva un quinto dell’intera popolazione della Russia zarista, e le sue terre erano le più fertili della Russia, e le sue industrie, come pure i loro quadri, erano prevalentemente gran-russe; il suo carbone e il suo acciaio restavano indispensabili per l’industria russa nel suo insieme» (E. H. Carr, La rivoluzione bolscevica. 1917-1923, pp. 282-284, Einaudi, 1964).
(2) La questione agraria e la questione nazionale furono i due fattori che, per la stessa ammissione di Trotsky e di Lenin, rappresentarono, al contempo, il punto di forza e il punto di debolezza della Rivoluzione d’Ottobre. Appoggiando il poco numeroso ma assai combattivo proletariato russo d’avanguardia, il movimento contadino e il movimento nazionale resero eccezionalmente agevole la conquista del potere politico da parte dei Soviet egemonizzati dal Partito Bolscevico; ma nella misura in cui la rivoluzione proletaria nei Paesi capitalisticamente avanzati d’Occidente ritardava, «il torrente nazionale, come il torrente agrario» minacciavano di spazzare via il proletariato rivoluzionario, e questo perché entrambi i “torrenti” trasportavano istanze sociali (come la riforma agraria) e politiche (come l’autonomia nazionale) del tutto coerenti con uno sviluppo capitalistico della Russia.
Il fattore di gran lunga decisivo, dirimente, nella complessa equazione storica e sociale determinata dalla Rivoluzione d’Ottobre, ossia la rivoluzione in Europa (quantomeno in Germania), alla fine non si presentò sulla scena, e ciò determinò prima il riflusso dell’onda rivoluzionaria, Lenin ancora vivo, e poi la tempesta controrivoluzionaria, passata alla storia con il nome di Stalin (cosa che riduce tutto a una singola persona: quanto di più sbagliato!), che distruggerà completamente la breve esperienza dei Soviet rivoluzionari a guida proletaria.
Per questo non condivido la tesi trotskista della «degenerazione burocratica» del Partito bolscevico e del regime sovietico («Stato operaio degenerato»), il quale avrebbe comunque lasciato sostanzialmente in vita le conquiste sociali dell’Ottobre rivoluzionario, nonostante e contro la «cricca burocratica stalinista». Affronto la questione della burocrazia (e oggi della tecnocrazia) come – supposta – nuova classe dominante in uno scritto intitolato Dialettica del dominio capitalistico. Sulla mia interpretazione della sconfitta della Rivoluzione d’Ottobre rimando a Lo scoglio e il mare. Altri scritti sulla Rivoluzione d’Ottobre: Lenin e la profezia smenaviekhista; Il Grande Azzardo. Sul Capitalismo di Stato, che molti associano del tutto arbitrariamente al “socialismo”, rimando anche al post La relazione Capitale-Lavoro come rapporto di classe
(3)L. Trotsky, Storia della rivoluzione russa, 1929-1932, pp. 926-954, Mondadori, 1978.
Leggi: UCRAINA. SHARING THE SHAME; ALCUNE RIFLESSIONI SULLA GUERRA IN CORSO IN EUROPA; L’UCRAINA DI LENIN; TANTO TUONÒ…; FATTI COMPIUTI E “TRATTATIVE DI PACE”; AGGRESSORI E AGGREDITI…; E IL PACIFISMO? NON PERVENUTO!; DEI TORTI E DELLE RAGIONI. MA DI CHI?; TRASFORMARE LA PREPARAZIONE DEL CONFLITTO ARMATO IN CONFLITTO SOCIALE GENERALIZZATO!; L’IMPERIALISMO VIENE DA OVEST E DA EST; IL CAPITALISMO COSTRUISCE LA GUERRA NEL CUORE DELLA SUA “PACE”; PENSARE LA RIVOLUZIONE OLTRE LE IDEOLOGIE NOVECENTESCHE; LA SINDROME DI MONACO; ESSERE VLADIMIR PUTIN; L’IMPERIALISMO ENERGETICO DELLA RUSSIA
E io che pensavo si trattasse di Imperialismo!
In tutti gli istituti scolastici russi viene trasmesso un cartone animato in cui l’Ucraina (Nikola) e la Russia (Vanya) vengono mostrati come amici fino a quando gli ucraini non si macchiano di tradimento nei confronti degli amici russi: «Vanya e Nikola erano amici; Vanya stava proteggendo Nikola, perché era più forte, ma poi Nikola ha avuto nuovi amici che gli hanno insegnato come ferire gli altri. Vanya ha dovuto prendere il bastone di Nikola perché nessuno si facesse male».
Della serie: È tutta colpa delle cattive amicizie!
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