Diventi un predatore, i tuoi sensi si affinano in
quell’odore di pietra e di fumo. Ti devi abituare
all’instancabile lezzo della carne imputridita
sotto i palazzi crollati. La cosa più spaventosa
degli uomini che combattono questa guerra è
proprio il loro feroce coraggio. Non si possono
abbattere gli uomini come le bestie al mattatoio.
Bisogna affaticarsi a ucciderli (D. Quirico).
Dall’assai interessante e molto criticata intervista che Luciano Canfora ha rilasciato ieri a Umberto De Giovannangeli, si capiscono soprattutto tre cose: 1) in materia di geopolitica il prestigioso intellettuale appartiene alla scuola cosiddetta “realista” (solo due nomi: Henry Kissinger e Sergio Romano), ossia a quella corrente di pensiero che assume la potenza delle nazioni come principale chiave di lettura dei conflitti tra le Potenze («Punto uno, è un conflitto tra potenze. È inutile cercare di inchiodare sull’ideologia i buoni e i cattivi, le democrazie e i regimi autocratici»; 2) egli si augura che quanto prima l’Unione Europea possa diventare un soggetto geopolitico autonomo, indipendente dagli Stati Uniti («L’Unione europea, che purtroppo non esiste, avrebbe dovuto avere una politica [estera] unica su e, dulcis in fundo, 3) il Nostro è un nostalgico dell’equilibrio interimperialistico venuto fuori dalla Seconda guerra mondiale: «Nessuno può toglierci il diritto di dire quello che ha scritto, poco prima di morire, Demetrio Volcic. E cioè che la situazione di equilibrio esistente al tempo delle due super potenze, garantiva la pace nel mondo». «La pace nel mondo» con caratteristiche capitalistiche, mi permetto di aggiungere; la “pace” cioè fondata su quei rapporti sociali di dominio e di sfruttamento che preparano i conflitti sociali d’ogni genere: da quelli tra le classi (e all’interno delle stesse classi) a quelli tra le nazioni. Pare di capire che Canfora sostiene il concetto e la prassi delle sfere di influenza come realtà ineluttabile.
In realtà si capisce, o quantomeno si intuisce, una quarta convinzione che lo studioso «controcorrente» non rende esplicita ma che traspare chiaramente dal suo ragionamento: gli piacerebbe molto un accordo tra Russia e Unione Europea che passasse sopra la testa dell’Ucraina e degli Stati Uniti. Della Cina Canfora non parla. La posizione “europeista” di Canfora è tutt’altro che minoritaria. Vittorio Emanuele Parsi scrive oggi che «L’Europa deve trovare la strada della potenza» (Il Messaggero), e Sergio Fabbrini invoca un rapido e decisivo «salto di qualità» nella difesa europea: «L’aggressione russa all’Ucraina non è l’atto crudele di un Macbeth uscito da una tragedia shakespeariana. Essa esprime la visione del gruppo dirigente della Federazione Russa finalizzata ad allargare lo “spazio vitale” (o meglio imperiale) di quest’ultima. Occorre contenere con determinazione tale visione affinché si creino le condizioni interne a quel Paese per il suo rovesciamento. Se la Federazione Russa si comporta militarmente come “Stato canaglia”, come tale va affrontata» (Il Sole 24 Ore).
Personalmente trovo parimente odiosa l’Europa a trazione Atlantica, l’Europa indipendente auspicata dagli europeisti e l’Europa a Trazione Asiatica auspicata dai sostenitori del cosiddetto multipolarismo – la gran parte dei quali militano nella galassia tardo stalinista che appoggia il Celeste Imperialismo Cinese, definito con assoluto sprezzo del ridicolo da questi “simpatici” personaggi orwelliani «Socialismo con caratteristiche cinesi». I tifosi sinistrorsi di Putin e Xi Jinping hanno in testa un’idea di “socialismo” e di “comunismo” che fa letteralmente rabbrividire chi lotta per l’emancipazione delle classi subalterne e dell’intera umanità dalla società capitalistica, la quale ha oggi le dimensioni del mondo.
A differenza di canfora, io credo che più che l’espansione della Nato, la Russia tema l’influenza che l’Unione Europea esercita sulla società ucraina: Mosca non teme tanto la superiorità missilistica dell’imperialismo concorrente, o la sua prossimità geografica (fattore assai relativo sulla base della tecnoscienza del XXI secolo), quanto, soprattutto, la sua superiorità capitalistica, la sua potenza sistemica (economica, tecnologica, scientifica), quella che ha consentito al cosiddetto Occidente (con Giappone incorporato) di stravincere la Guerra Fredda. Ricordo a me stesso che il Muro di Berlino, che a giusta ragione rimane il simbolo di un ciclo storico, fu costruito dal regime stalinista non per scopi difensivi di natura militare, ma per impedire l’afflusso dei tedeschi dell’Est in direzione di una società capitalistica che appariva ai loro occhi più prospera e meno repressiva di quella “con caratteristiche sovietiche”. Insomma, al «paradiso socialista» di cui cianciavano soprattutto gli stalinisti italiani, i tedeschi orientali preferivano di gran lunga «l’inferno capitalistico». Ricordo anche che fu la svolta “europeista” di gran parte della classe dirigente ucraina, sostenuta dalla maggioranza della popolazione attratta dal “sogno europeo” (e ancora memore dell’incubo stalinista), che nel 2014 spinse Mosca a intervenire nel Donbass (approfittando di una crisi interna all’Ucraina) e a mettere le zampe sulla Crimea, area di fondamentale importanza strategica per la Russia (*). Detto en passant, mi chiedo quanti russofoni (molti dei quali discendono dai detenuti che Stalin mandò a lavorare nelle miniere di carbone del Donbass) che vivono nelle “Repubbliche Popolari” (sic!) di Donetsk e di Lugansk preferirebbero avere oggi, alla luce di quello che sta accadendo, rapporti di buon vicinato con Mosca piuttosto che con Kiev.
Chi attribuisce l’aggressione della Russia all’Ucraina all’espansione della Nato verso Est deve anche interrogarsi se Paesi come la Polonia, l’Ungheria, la Cecoslovacchia, la Romania e i Paesi Baltici non si sentissero e non si sentano più a loro agio, per così dire, sotto la tutela Occidentale piuttosto che sotto quella Russa della quale questi Paesi hanno fatto larga e tristissima esperienza. Dopotutto, anche il “comunista” Enrico Berlinguer ammise nella sua famosa intervista del 1976 a Giampaolo Pansa di sentirsi più sicuro sotto l’ombrello della Nato che sotto il Patto di Varsavia. In epoca imperialistica alle nazioni piccole e medie non rimane che la scelta, più o meno “libera”, di mettersi sotto l’ombrello di qualche grande Potenza mondiale.
Le cause di questa guerra, come delle altre che l’hanno preceduta e di quelle che la seguiranno, sono molte ma tutte riconducibili a un solo concetto, quello di potenza: potenza economica, potenza politica (inseparabile dalla sua manifestazione militare), potenza geopolitica, potenza sistemica. È con la disumana logica di potenza che anche la società del XXI secolo deve fare i conti, come e assai più delle società del passato. Di qui la necessità della rivoluzione sociale anticapitalista. È questa la differenza fondamentale che realizza un baratro concettuale e politico tra il “realista” che si limita a presentare la realtà nella sua nuda e disumana realtà (il cinismo è nella cosa, non nel pensiero che la esprime), accettandola come un fatto indiscutibile e immodificabile («L’idealismo produce solo disastri!»), e l’anticapitalista.
Come fa notare Alberto Negri sul Manifesto di oggi, l’ingaggio di mercenari siriani da parte di Putin lascia immaginare una più devastante spedizione punitiva sui civili e una vera e propria pulizia etnica finalizzata a irrobustire la presenza della popolazione russofona in Ucraina. Domenico Quirico la pensa allo stesso modo e inoltre fa valere la sua esperienza sul campo: «Il soldato normale ha momenti di quiete, gli danno il cambio, c’è la retrovia con altra gente normale. Uccidere è un lavoro a tempo, afferri le armi e poi se sei ancora vivo li riponi fino al prossimo turno. Gli assassini della guerra urbana no, non possono avere ondeggiamenti di irresolutezza. Ad Aleppo ho incrociato questi piccoli gruppi saturi di morte tornare all’alba portandosi dietro i cadaveri dei compagni uccisi nelle loro fosche epopee. Anche gli altri combattenti si ritraevano in silenzio. Sembravano appena usciti da una bara, tremavi se quegli occhi ti sfioravano. In quella guerra di imboscate erano uomini tornati a istinti oscuri diabolicamente ingegnosi, come se li avessero incontrati in una foresta selvaggia non fitta di alberi, ma di macerie, di relitti dell’uomo. In azione non parlano, solo cenni. L’aria si riempie ogni tanto di rumori metallici» (La Stampa). Alla fine della guerra saranno molte le fosse comuni sotto il cielo delle città ucraine: di questo si può star certi.
Ma riprendiamo il filo del discorso. Ancora una volta l’imperialismo russo si vede costretto a rispondere a una sfida sistemica (esistenziale) con l’uso dello strumento militare: è una maledizione, una coazione a ripetere che si spiega soprattutto con la struttura capitalistica, centrata fondamentalmente sull’esportazione di materie prime fossili e agricole, che la Russia si porta dietro dai tempi di Stalin e che solo in minima parte è stata smantellata dal processo di “privatizzazione” degli anni Novanta – con la formazione della famigerata “cricca oligarchica”. Ma comunque stiano le cose sul terreno dei rapporti di forza e delle dinamiche interimperialistiche, e al netto delle opposte propagande politico-ideologiche («La Nato si vuole mangiare la Russia», «La Russia si vuole mangiare l’Europa», «Bisogna denazificare l’Ucraina», «Bisogna salvare la democrazia, la libertà e la civiltà dall’autocrazia putiniana», ecc.); in ogni caso, dicevo, dal punto di vista anticapitalista la guerra in corso ha una natura radicalmente disumana, reazionaria, ostile alla vita e alla libertà, in altri termini: si tratta di una guerra imperialista – e da tutte le parti in tragedia.
La reductio ad hitlerum (o a stalinum: si può dire?) del macellaio di Mosca non ha alcun senso storico, e non permette di capire le radici storiche e sociali della guerra in corso in Ucraina. Le analogie storiche, che nel caso in questione abbondano, hanno un senso solo se non si sostituiscono alla puntuale analisi della situazione, ma aiutano il pensiero a portare l’analisi su una più vasta prospettiva storica. Quella reductio naturalmente serve in chiave propagandistica ai nemici di Putin per additarlo all’opinione pubblica occidentale in guisa di Mostro, di Male Assoluto che bisogna abbattere anche al prezzo di sacrifici molto salati – e non a caso qualche analista politico del nostro Paese comincia a paventare la possibilità che il malessere sociale connesso all’economia di guerra si saldi con il partito filoputiniano. All’estrema “destra” e all’estrema “sinistra” sono già pronti alla bisogna…
I pacifisti del «Neutralismo attivo» chiedono a gran voce la resa incondizionata dell’Ucraina in nome della pace (capitalista) e della fratellanza universale (sic!); Canfora chiede, sostanzialmente, la stessa cosa, ma in nome della realpolitik geopolitica. Per Francesco Merlo quelle espresse da Canfora «Sono le posizioni di Putin di cui penso tutto il male possibile. Dico però che preferisco Canfora e il suo pensiero chiaro e spavaldo – e cinico – alla vigliaccheria del Né-Né» (La Repubblica). Personalmente preferisco il punto di vista anticapitalista/antimperialista che non va alla ricerca delle “ragioni” e dei “torti” che insistono sull’escrementizio terreno degli interessi capitalistici (come osserva giustamente Canfora «le potenze in lotta fanno ciascuna il loro mestiere»).
Scrive Marco Revelli: «Non si tratta qui di decidere “da che parte stare” tra aggrediti e aggressori, tra più deboli e più forti: si sta con gli aggrediti e i più deboli, con buona pace dei manifestanti fiorentini che denunciano il pacifismo “equidistante”. Ma di scegliere, consapevolmente, “come stare”» (Il Manifesto). Per me si tratta invece «di scegliere, consapevolmente», su quale terreno di classe stare: si sta sul terreno delle Patrie, delle Nazioni, delle Potenze, del Capitale, oppure su quello della lotta di classe, dell’internazionalismo proletario, della rivoluzione sociale? Ecco perché mentre Revelli si appella alla «coscienza di causa (penso al generale Fabio Mini, ad esempio)» per orientarsi nella complessità della guerra in corso, chi scrive cerca di riflettere e di far riflettere alla luce della coscienza di classe. È precisamente questo che distingue il pacifista d’ogni tendenza ideologica e politica dall’anticapitalista.
Chi, come Revelli, suggerisce ai leader mondiali di «compiere ogni possibile sforzo per favorire un negoziato accettabile per entrambe le parti in una prospettiva di pace onorevole» non comprende, o fa finta di non comprendere per salvarsi l’anima “pacifista”, che è proprio in vista di un «negoziato accettabile» (per il più forte, of course) che si fa la guerra, e che è proprio il giorno prima del negoziato che chi è più forte preme l’acceleratore bellico, per conquistare sul terreno ciò che poi cercherà di far ratificare il giorno dopo, quando potrà portare a casa una «pace onorevole». Quale sia, realisticamente, la «pace onorevole» per la Russia di Putin, oggi nessuno (probabilmente nemmeno lo stesso “Zar” russo) è in grado di dirlo.
Come ho scritto nei precedenti post, mi sembra sciocco, oltre che inutile, suggerire come comportarsi alla popolazione ucraina che soffre, che muore, che fugge dalla guerra; posso solo sperare che le persone trovino il modo di non farsi uccidere dall’esercito russo e di non uccidere a loro volta i giovani militari russi mandati in guerra dal sanguinario regime putiniano. Posso solo augurarmi l’irruzione sulla scena di un’onda di fraterna solidarietà tra gli ucraini e i russi, vittime entrambi di interessi che nulla a che fare hanno con la felicità, con la libertà e la prosperità degli uomini e delle donne, dei bambini e dei vecchi: insomma di tutti gli esseri umani. Rifiutare di combattere per difendere le ragioni/interessi della Patria, della Nazione, dello Stato, in una sola parola: delle classi dominanti può apparire un gesto di vigliaccheria e di tradimento solo a chi è vittima dell’ideologia dominante, la quale presenta le ragioni e gli interessi di cui sopra come le ragioni e gli interessi generali, senza distinzione di classe: «Siamo tutti Ucraini!», «Siamo tutti Russi!», «Siamo tutti Italiani!», «Siamo tutti Europei!», ecc. Ed è esattamente questa ideologia, che oggi avvelena la stragrande maggioranza della popolazione mondiale, che l’anticapitalista cerca di attaccare, come sa e come può, e soprattutto senza coltivare eccessive illusioni circa un prossimo o comunque sicuro successo della sua battaglia politica. D’altra parte non esistono né scorciatoie né alternative – le quali in ogni caso non stanno certo, e per fortuna, nella testa dell’anticapitalista, ma nel reale processo sociale.
(*) «Continuano le manifestazioni di piazza in Ucraina contro la scelta del governo di aderire all’Unione doganale di Putin a scapito del graduale avvicinamento a Bruxelles: almeno 200mila persone si sono radunate nelle piazze di Kiev, anche se è difficile che il presidente Viktor Yanukovich possa avere un ripensamento visto il cappio messo al collo del paese rappresentato dalle forniture di gas e dall’indebitamento con le banche russe, un “buco” nei conti dello Stato di 30 miliardi di dollari» (Notizie geopolitiche, 8 dicembre 2013). «L’operato di Vladimir Putin in Crimea ricorda quello di Hitler prima della Seconda Guerra Mondiale. Quello che sta accadendo in Ucraina ha qualcosa di familiare. È quello che Hitler fece negli Anni Trenta. A tutti i tedeschi “etnici”, i tedeschi di ascendenza che vivevano in Cecoslovacchia, in Romania e in altri luoghi, Hitler continuava a dire che non erano trattati bene. Diceva: “devo andare a proteggere il mio popolo”. La missione di Putin appare quella di voler ripristinare la grandezza russa, riaffermando in particolare il controllo sui Paesi dell’ex Unione Sovietica. Quando guarda l’Ucraina, Putin vede un luogo che crede essere, per sua natura, parte integrante della “Madre Russia”» (Hillary Clinton, incontro elettorale in California del marzo 2014).
Scrivevo nel marzo del 2014: «Il diritto della Russia di annettere la Crimea con tutti i mezzi necessari è inscritto non solo nel retaggio storico dell’impero russo, dagli zar “neri” a quelli “rossi” e infine tricolori, ma in primo luogo nei suoi interessi nazionali. Il diritto di europei e americani di contrastare questa annessione è radicata sulla stessa base, risponde cioè alla stessa logica, la logica di Potenza. Ed è precisamente questa logica che bisogna demistificare, per far emergere la natura capitalistica della competizione interimperialistica nascosta dietro le solite menzogne ideologiche intorno al “diritto di autodeterminazione dei popoli”, alla “libertà dei popoli”, alla “pace”, alla “democrazia”, allo “Stato di diritto” e via discorrendo» (È scoppiata una nuova Guerra Fredda?). «Il Segretario di Stato John Kerry ieri ha dichiarato in un’intervista alla CBS, ripresa oggi da La Stampa, che “Non si può agire con i metodi del XIX secolo nel XXI secolo, invadendo un altro Paese con motivi costruiti e pretestuosi”. Affermata da un esponente di punta della prima potenza imperialista del pianeta, la quale ha portato manu militari “la democrazia e lo Stato di diritto” in mezzo mondo (è dagli anni Quaranta del secolo scorso che lo fa), la tesi suona abbastanza poco credibile, diciamo così. Come sanno molto bene anche i realisti geopolitici, i bistrattati “metodi del XIX secolo” sono sovrapponibili, almeno nelle linee essenziali, a quelli del XX e del XXI secolo: sono, infatti, i metodi di dominio e/o di egemonia basati sulla forza delle Potenze che stiamo vedendo all’opera in questi giorni e in queste ore anche – non solo – in Ucraina. Piuttosto si tratta di capire la natura e l’evoluzione “strutturale” di questa forza» (Sull’Ucraina e non solo, 3 marzo 2014).
Aggiunta del 15 marzo 2022
Luciano Capone versus Luciano Canfora: «Il militante nostalgico di Stalin può apprezzare Putin, ma lo storico non deve manipolare la realtà per piegarla alla sua ideologia. Le fake news dell’intellettuale comunista su resistenza ucraina, profughi e Zelensky sono inaccettabili» (Il Foglio). Mi permetto di aggiungere che in quanto «militante nostalgico di Stalin» Canfora non è (non può essere!) un «intellettuale comunista». Sull’abissale (radicale) differenza che corre tra comunismo e stalinismo non posso che rimandare ai miei scritti dedicati allo stalinismo.
Leggi: IL PREZZO DA NON PAGARE; GUERRA E – COSIDDETTA – PACE; PER UN ANTIMPERIALISMO ATTIVO E INTRANSIGENTE. ALTRO CHE “NEUTRALITÀ ATTIVA”!; TROTSKY E LA NARRAZIONE DEL MACELLAIO DI MOSCA; UCRAINA. SHARING THE SHAME; ALCUNE RIFLESSIONI SULLA GUERRA IN CORSO IN EUROPA; L’UCRAINA DI LENIN; TANTO TUONÒ…; FATTI COMPIUTI E “TRATTATIVE DI PACE”; AGGRESSORI E AGGREDITI…; E IL PACIFISMO? NON PERVENUTO!; DEI TORTI E DELLE RAGIONI. MA DI CHI?; TRASFORMARE LA PREPARAZIONE DEL CONFLITTO ARMATO IN CONFLITTO SOCIALE GENERALIZZATO!; L’IMPERIALISMO VIENE DA OVEST E DA EST; IL CAPITALISMO COSTRUISCE LA GUERRA NEL CUORE DELLA SUA “PACE”; PENSARE LA RIVOLUZIONE OLTRE LE IDEOLOGIE NOVECENTESCHE; LA SINDROME DI MONACO; ESSERE VLADIMIR PUTIN; L’IMPERIALISMO ENERGETICO DELLA RUSSIA
Dal fronte interno russo
(AGI/INTERFAX) – La polizia ha arrestato circa 300 persone per aver partecipato a una protesta non autorizzata contro la guerra in Ucraina nel centro di Mosca: lo ha reso noto il ministero dell’Interno russo aggiungendo che queste persone saranno denunciate per aver violato la legge. Dall’inizio dell’invasione russa, oltre 14mila persone sono state arrestate in 122 città russe per aver partecipato a proteste contro la guerra.
Dal fronte interno ucraino
Pare che diversi giovani ucraini che non vogliono combattere per difendere l’integrità territoriale dell’Ucraina sono stati arrestati dall’esercito regolare ucraino. Per quel che vale, esprimo la mia solidarietà a questi giovani che vogliono vivere e non vogliono uccidere.